“Cowboy Bebop”, un cult senza tempo
Ci sono anime che sfidano il tempo e l’etichetta, che si rifiutano di rientrare in schemi rigidi e sembrano parlarti attraverso il linguaggio universale delle emozioni. Cowboy Bebop è uno di questi
Apparso per la prima volta nel 1998, Cowboy Bebop è molto più di un’avventura di cacciatori di taglie spaziali. Si tratta di una meditazione sul destino, una sinfonia jazz di anime perdute in un universo che le osserva indifferente.
Diretto da Shinichirō Watanabe e accompagnato dalle note elettrizzanti e malinconiche di Yoko Kanno e i Seatbelts, Cowboy Bebop è come una vecchia canzone che ti sorprende in radio durante una notte insonne. Racconta di cose che pensavi di aver dimenticato e ti lascia con quel retrogusto amaro, con la consapevolezza che ogni cosa che ami è destinata a sfuggirti dalle dita.
Trama
Il 2071 è un futuro caotico, un mondo in cui le città si espandono come vene su pianeti lontani, mentre la Terra è ormai una pallida ombra di ciò che era. Qui Spike Spiegel e il suo equipaggio di perdenti moderni vagano da un pianeta all’altro. Chi sono? Cacciatori di taglie, anime perse, e chi più ne ha più ne metta. Ma non lasciatevi ingannare dalle apparenze: questi non sono i classici eroi, bensì sognatori un po’ sgangherati, che presentano la stessa fragilità di chi, sulla Terra, cerca qualcosa da cui fuggire o forse un motivo per restare.
L’arte di mischiare
L’innovazione che ha portato in questo anime Watanabe, e che si può ritrovare in opere successive, si evince nell’insieme di comparto sonoro e immagini. Già dall’opening musica e immagini si abbracciano, due amanti timidi ma decisi. L’incredibile insieme di virtuosismi nel mischiare scene di azione e adrenaliniche con spiragli eleganti e raffinati si manifesta in un connubio perfetto.
Il significato del titolo infatti si lega a questo: il “bebop”, infatti, è una sfumatura del jazz degli anni ’40 che si riflette nello stile di vita e nell’atteggiamento ribelle di coloro che si identificavano come “Boppers”. I musicisti che più hanno contribuito alla nascita di questo stile sono Dizzy Gillespie, Thelonious Monk e Charlie Parker, ma anche Billy Eckstin e, soprattutto per le evoluzioni future, Miles Davis. Lo stile bebop si libera completamente dai tipici arrangiamenti delle orchestre swing e si caratterizza, invece, per l’ampio spazio all’improvvisazione. Il tema melodico, infatti, viene proposto solo all’inizio del brano per dissolversi completamente nell’improvvisazione e ricomparire solo alla fine.
Come il bebop, anche l’anime Cowboy Bebop rappresenta a pieno la caratteristiche musicali di questo genere, rendendo difficile la sua identificazione dal punto di vista stilistico.
Di che genere parliamo, quindi, per Cowboy Bebop?
Il punto forte di Watanabe è rendere unico e fresco ciò che esiste già da tempo. La sua passione per i prodotti cinematografici americani come i western e i film d’azione ha fatto sì che questo prodotto fosse iconico anche all’estero. L’inserimento di riferimenti visivi e uditivi al bagaglio personale dello spettatore riesce a far entrare in contatto con la visione dell’autore.
Cowboy Bebpop pare possedere un genere a sé stante. Esso presenta un mix di generi incompatibili tra di loro, come la commedia e il noir, l’hard boiled e il thriller, il western e la fantascienza. Tutte queste sfumature intrinseche fanno in modo che la serie esca dai binari preferenziali del fantascientifico per essere definito uno space western dai fan.
Il comparto fantascientifico presenta tecnologie avanzate, ma lo stile visivo richiama mode passate, una sorta di incentivo al vintage. Il concetto di colonia spaziale si mostra come un’interessante metafora della società odierna.
Fonte: Pinterest
Personaggi reali
L’autore è partito dai personaggi per poi costruire attorno il mondo in cui si sarebbero inseriti. Lo stesso Watanabe ha affermato in un’intervista che la sua intenzione fosse quella di creare un mondo futuristico ma abitato veramente da persone. Il suo obiettivo è stato quello di rappresentare individui che vivono e respirano, l’inquadratura di un marciapiede deserto in cui sono presenti mozziconi di sigaretta o altre tracce che lascino dedurre che qualcuno è passato di lì.
I personaggi nati da questo intento sono reali, non incarnano nessun tipo di archetipo o simbolo, sono solo persone.
Non si piegano al volere e alle necessità del pubblico, è chi guarda a doverlo fare, sempre che lo voglia. Questo è il punto di forza: se un personaggio ha una morale ambigua, sta allo spettatore decidere se empatizzare con esso o meno.
La complessità psicologica data dal realismo, dai passati travagliati e dalla quotidianità rende tutto più interessante. Non è pensato per essere fruito da tutti gli spettatori nello stesso modo e con la stessa visione.
Vediamoli più da vicino
Ogni membro della Bebop porta dentro di sé una storia che risuona come le note di un vecchio blues suonato in un bar ormai vuoto. Spike Spiegel è un po’ come quel tizio che trovi sempre all’angolo del bar con lo sguardo perso in un bicchiere di whisky. Ex killer, abbandonato dai sogni e dai rimpianti, Spike è segnato da un amore passato, Julia, un fantasma che lo insegue nello spazio come una canzone malinconica alla radio.
Accanto a lui c’è Jet Black, il tipico “gigante buono”, un ex poliziotto che ha deciso di sfidare l’infinito per sfuggire alla noia della Terra e trovare forse un po’ di giustizia in un universo che sembra averne sempre meno.
Poi c’è Faye Valentine, una truffatrice senza memoria e senza radici, congelata per decenni e risvegliata in un mondo che le è alieno. Faye è quella persona che va e viene, che non sa a cosa appartenga ma che capisce di non potersi fermare. Ed infine Ed, la piccola hacker prodigio, ed Ein, un cane geneticamente modificato con un’intelligenza superiore. Questi sono i due personaggi che portano una leggerezza quasi assurda in un universo altrimenti fatto di dolore e solitudine. Ed e Ein sono come i colori pastello in un quadro noir, strani e fuori posto ma, in qualche modo, essenziali.
Un’opera d’arte in movimento
L’estetica di Cowboy Bebop è quasi un’ode al cinema noir, unito a un’eleganza jazz che ti prende per mano e ti trascina in una danza lenta e ipnotica. Ogni episodio ha una colonna sonora che non accompagna soltanto le scene: le vive, le interpreta, le fa vibrare. Yoko Kanno e i Seatbelts hanno creato una colonna sonora che si mescola al silenzio dello spazio e che resta impressa nelle ossa, un po’ come quelle canzoni che associ a una persona speciale e che non riesci mai a riascoltare senza un brivido.
L’universo di Cowboy Bebop è fatto di suoni e di ombre, di esplosioni e di silenzi, di movimenti che sembrano coreografati con la cura di un maestro di danza e la brutalità di un incontro di pugilato. Ogni pianeta sembra raccontare una storia, ogni città ha un suo carattere, come se il team creativo avesse voluto renderle vive, quasi palpabili, in un gioco di luci e ombre che richiama i grandi film noir degli anni ’40.
Un anime assolutamente da riprendere
Cowboy Bebop è un viaggio che lascia una traccia, un’anima divisa in 26 episodi che, come tante piccole stelle, formano una costellazione di emozioni e riflessioni. Non è un anime qualunque, ma un’esplorazione esistenziale, un grido silenzioso nello spazio, un blues di mezzanotte. Per chi cerca qualcosa di più di una semplice storia, Cowboy Bebop è un’esperienza che va vissuta, un viaggio in cui perdersi.
Alla fine della giornata, chiudi gli occhi e, come Spike, lascia che le note di Tank! risuonino nella tua mente. E ricordati: “See you, Space Cowboy…”
a cura di
Lorenzo De Bonis
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