“Narciso e Boccadoro”, bestseller contemporaneo

“Narciso e Boccadoro”, bestseller contemporaneo
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Negli anni ho imparato una cosa: il classico, prima di essere definito tale, è stato un bestseller. Se prendiamo come esempio Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse, così come il meno conosciuto – forse – Ivanhoe di Walter Scott, possiamo renderci conto materialmente di come testi datati, e a tratti arcaici, siano arrivati sino a noi. Non c’è una vera e propria capsula del tempo come per il liceo Eliano-Luzzati. Forse è solo il cosa della storia ad essere indispensabile per le generazioni future.

Noi due caro amico siamo come il sole e la luna, o il mare e la terra. Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci l’uno nell’altro, ma di conoscerci l’un l’altro ed imparare a vedere e a rispettare nell’altro ciò che egli è: il nostro opposto e il nostro complemento.

Questa citazione è uno dei motivi per cui Narciso e Boccadoro viene spesso ridotto ad un romanzo la cui storia parla di un amore fra due uomini, uno dei quali è un prete e l’altro un ragazzino. Chi lo ha letto sa che la storia è un’altra e chi lo ha letto nuovamente in età adulta, forse, si è accorto di come in realtà non esiste un’unica chiave di lettura del romanzo.

Narciso e Boccadoro: la confusione

Resta impresso uno stile pedante, lento e dettagliato che poco si confà alla necessità degli ultimi vent’anni: cerchiamo letture e messaggi istantanei, comprensibili a colpo d’occhio. Probabilmente, se venisse illustrato, quel vialetto di cui Boccadoro si innamora appena arrivato al monastero non risulterebbe così noioso.

Siamo nel pieno del Medioevo e Hesse pubblica questo romanzo negli anni ’30 del 1900, immutando il legame che poteva crearsi fra un sapiente e un artista vagabondo, bisognoso di una guida. Il rapporto fra i due manderebbe all’aria l’esultanza contro il Ddl Zan proprio perché vissuto su livelli non più terreni. Narciso e Boccadoro sono maestro e allievo, nave e tempesta.

Narciso e Boccadoro, frame tratto dall’omonimo film diretto da Stefan Ruzowitzky. Foto da internet

Narciso si chinò lentamente verso di lui e fece quello che in tanti anni della loro amicizia non aveva mai fatto, sfiorò con le sue labbra i capelli e la fronte di Boccadoro. Questi si accorse di ciò che accadeva, prima con stupore, poi con commozione «Boccadoro», gli sussurrò all’orecchio, «perdonami di non averlo saputo dire prima».

Superata la difficoltà iniziale di accettare uno stile, come dicevo sopra, un po’ arcaico, bisogna rendersi conto che fra le mani il lettore ha un gioiello, un bestseller contemporaneo. Narciso e Boccadoro è educazione, contatto con la natura, silenzio e arte. Un percorso introspettivo che verte irrimediabilmente sui bisogni e sui vuoti da colmare, sulla necessità di avere un amico, una colonna portante nella propria vita che cade a pezzi. Boccadoro ha fame di vita, di esperienze e di emozioni. Ingurgita tutto con la voracità di un giovane uomo, paragonabile a quella dei nostri adolescenti forse.

Nulla di tutto ciò è reso noto, compresa la fragilità di Narciso, sopraffatto dal ruolo che ricopre nel monastero e dalla stessa filosofia di cui decanta la forza. La narrazione è un non detto, erotica e umana più di quanto l’ecosistema che circonda i personaggi lasci intendere.

Narciso e Boccadoro: vuoti a rendere

Il romanzo di Hesse restituisce un senso di incolmabile vuoto, di una fuga dettata forse dall’insofferenza nell’accettare una vita monotona, ligia alle regole. Boccadoro è il figlio prediletto di Stevenson e della sua idea di uomo a metà governato a tratti dalla ragione, a tratti dal sentimento. Il frutto del seduttore Johannes di Kierkegaard e quel Dorian di Wilde.

Amor Sacro e Amor Profano, Tiziano Vecellio, 1514, Galleria Borghese, Roma.

Con queste caratteristiche Boccadoro è anche l’opposto di Narciso: il contrasto fra natura e spirito, l’amore sacro e profano di Tiziano. Chi siamo noi per giudicare quale delle due condotte è più idonea?

La lettura è agitata in un contenitore che cede sotto i colpi degli scossoni. Gli amori di Boccadoro perdono senso ogni volta che non trova gli occhi della madre in quelli delle donne amate; ogni volta che conclude un’opera d’arte senza sentire appagamento. Lidia, una delle donne che si innamorano del giovane, riesce a leggerne gli occhi.

«Sei tanto bello e sembri tanto sereno, ma in fondo ai tuoi occhi non c’è serenità, c’è solo tristezza; come se i tuoi occhi sapessero che la felicità non esiste, che ogni cosa bella e cara non rimane a lungo presso di noi. Tu hai gli occhi più belli che ci possano essere e i più tristi. Credo che sia perché non hai patria. Sei venuto a me dai boschi, un giorno riprenderai il tuo cammino e tornerai a dormire sul muso e a vagare per il mondo… Ma la mia patria dov’è?»

Una patria che non c’è, una radice recisa, un cordone amputato. Probabilmente Boccadoro non è in grado di dare questa linea guida a se stesso, ma la sensazione per il lettore è che l’artista vagabondo si senta così, un vuoto a rendere senza concessione di riempimento.

Del resto, Medardo di Terralba ci aveva provato anni dopo e con lui Italo Calvino. I lettori non compresero il senso de Il visconte dimezzato, non accettarono l’incapacità dell’uomo di sentirsi incompleto. Per questo Calvino ne scrisse, in una seconda edizione, l’introduzione. Stevenson fece altrettanto per Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde nel 1886. Probabilmente Hesse avrebbe dovuto tener conto di questo.

A cura di
Ylenia Del Giudice

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