Stefano Bruno: “Sono cresciuto con il mito dei Pink Floyd e David Bowie”

Stefano Bruno: “Sono cresciuto con il mito dei Pink Floyd e David Bowie”
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Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Stefano Bruno, cantautore milanese che ha di recente pubblicato il suo primo album dal titolo Per le strade del cielo, un riassunto di una vita passata ad ascoltare musica, ad ascoltarsi, e a raccontarsi. Questo disco è una prima occasione per Stefano per mettersi a nudo, raccontarsi. Una dichiara d’amore per la musica, da parte di chi ha ascoltato a fondo i cantautori della grande scuola, e i grandi del rock dai Led Zeppelin ai Pink Floyd.

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Leggiamo da Dalla a Modugno, cresciuto con il mito di Pink Floyd e David Bowie. Hai voglia di parlarci della tua formazione musicale? Quali sono i tuoi ascolti abituali?

Sono cresciuto ascoltando molta musica italiana. Ogni anno il festival di Sanremo e il Festivalbar erano appuntamenti fissi. E infine le musicassette prima e i cd dopo, ascoltati durante i viaggi in auto fino in Sicilia, ogni estate.

Dalle scuole medie in poi passavo pomeriggi ad ascoltare la radio cambiando continuamente stazione a cercare canzoni. E poi i vinili e i cd dei miei genitori: Deep Purple, Queen, Scorpions, David Bowie, Battiato, Battisti, Carboni, De André.

Dalla e Modugno sono soltanto due degli artisti italiani fra i tanti che mi hanno influenzato. Esempi di “italianità” nel mondo. Artisti che hanno scritto pagine indelebili di musica pop, sperimentando con altri generi, con la musica etnica e con la lingua italiana.

I Pink Floyd e David Bowie, invece, li ho scoperti più verso la fase tardo adolescenziale grazie al cinema e alla controcultura. Grazie a loro ho scoperto altri artisti underground.

Cosa ascolto abitualmente? Non ho un criterio, dipende dal mio mood e dal periodo. Abitualmente ascolto di tutto con un orecchio al passato e un altro al futuro. Mi piace alternare brani acustici a brani più elettronici e moderni, new wave e krautrock. In questo periodo ad esempio sto ascoltando molta musica hip hop e trap per uscire dalla mia comfort zone.

Leggiamo che sei diplomato in ragioneria, indirizzo che non è celebre propriamente per alimentare eventuali indoli artistiche. Com’è andata? Tornando indietro la rifaresti?

In Italia un diploma vale l’altro se poi va usato solo per pulirsi il sedere.

Alla fine della terza media non sapevo bene cosa fare. Non ho mai saputo cosa fare davvero da grande. Peccato che eravamo nel 2004 e i licei musicali sarebbero nati solo nel 2009, quando mi stavo diplomando. Col senno di poi avrei studiato le lingue o avrei fatto il classico, ma allora non volevo essere costretto ad andare all’università.

Non avevo molta voglia di studiare e avevo voglia di finire alla svelta. Pensavo già al diploma, ad avere un posto di lavoro e formarmi una famiglia.

Così mi sono iscritto a ragioneria, scoprendo che alcune cose non cambiano proprio mai; per esempio che anche per me “la matematica non sarà mai il mio mestiere”. Scoprendo materie nuove come il diritto, in particolare branche ed alcuni aspetti del diritto che mi piacevano, diritti inviolabili, l’etica e la Costituzione.

E avendo delle conferme riguardo all’Italiano, alle mie abilità di scrittura e di mettere insieme parole. Per fortuna ho sempre avuto ottimi insegnanti di italiano dalle elementari fino alle superiori. In fondo è anche merito loro se oggi sono qui a discutere di questo insieme a voi.

E nonostante cinque anni dopo mi sia diplomato con 98, l’unico contratto di lavoro serio è stato un lavoro part time all’Esselunga come salumiere, arrivato quasi 3 anni dopo.

Anche se ero sempre un ragazzo timido e impacciato, non ero più lo stesso di cinque anni prima. C’era qualcosa di più urgente che pretendeva spazio e ascolto, insisteva per uscire fuori, al di là che poi fosse o meno capito.

Adesso che avevo un lavoro, avevo trovato la mia strada. Non è neanche una scelta quando capisci che è l’unica cosa che ti è ti è sempre riuscita naturale e che ti fa stare bene. Che potrebbero toglierti tutto ma che non sopravviveresti  senza arte, senza sogni, senza musica.

Mi sono svegliato tardi, lo so. Ma sempre meglio che mai…

Come sono cambiati i tuoi gusti nel corso del tempo?

Come vi ho detto prima sono cresciuto ascoltando principalmente dischi e radio.

Mi sono sempre piaciuti il rock, i cantautori e le sonorità mediterranee, probabilmente anche per via delle mie origini.

Alle medie i miei dischi preferiti erano 111 (Tiziano Ferro), Convivendo (Biagio Antonacci), Elephunk (Black Eyed Peas) e American idiot (Green Day). Con il tempo i miei gusti non sono cambiati. Mi sono orientato verso altri generi ed altri ascolti più impegnativi

Alle superiori ho iniziato ad ascoltare altri sottogeneri del rock in particolare la scena new wave, prog e post punk. Quando ho iniziato a studiare musica e canto ho iniziato ad ascoltare e rivalutare alcuni generi e sottogeneri che prima ignoravo come il jazz modale e la fusion.

Per le strade del cielo è un titolo che sembra rimandare a una dimensione religiosa. E’ così? Come sei arrivato a questo titolo e in che modo rappresenta tutto il disco?

Sai che non l’avevo mai considerato sotto quest’ottica? E’ davvero un’ottima osservazione. Se devo essere sincero non pensavo a questo aspetto quando ho scelto il titolo.

Per le strade del cielo è un’espressione creata per dire “con la testa tra le nuvole”. Può voler dire anche andare via, smarrirsi, essere un puntino nel cielo o nell’universo. E considerando quest’ultimo aspetto, si rimanda anche a una dimensione mistica e spirituale visto che nelle canzoni si fa riferimento anche al senso del sublime, allo sgomento e allo stupore suscitati dall’infinito e dalla natura che assumono un significato quasi religioso.

Le strade del cielo possono essere vicoli ciechi o labirinti. Se trovi quella giusta arrivi all’estasi.

Fino a un anno fa c’erano le canzoni ma non avevo idea di come avrei chiamato il disco tant’è che a forza di rimuginare e affannarmi sulla forma non ne venivo più a capo.

Dicono che il modo migliore per risolvere un rompicapo è dormirci sopra e lasciar perdere per un pò, ma non è semplice quando ci portiamo addosso il peso delle aspettative e dobbiamo fare i conti con delle scadenze.

Ci sono arrivato sia in maniera naturale che per gioco. Staccando la casella dal puzzle in cui era collocato. Dalla prima canzone che ho scritto che è anche la traccia che apre l’album. Ti lascio stare per le strade del cielo.

Ascoltando Per le strade del cielo, si percepisce un’inquietudine molto forte, una sorta di malinconia di fondo che persiste nonostante comunque siamo di fronte a un disco pop. Da dove arriva?

Arriva da un caos che c’è dentro. Ma arriva anche da fuori. Insomma da più punti. Da più direzioni. Sia dall’inconscio, da un mondo interiore, da emozioni, dai pensieri. Sia dal caos di un mondo allo sbando arido di sentimenti, dove tutti siamo soli o siamo numeri.

E’ un uragano da cui possono nascere più uragani. Non penso che l’inquietudine sia un male da estirpare. Bisogna accoglierla, vedere che succede e dove ti porta. L’inquietudine intorbidisce acque limpide e smuove acque che altrimenti resterebbero stagnanti. Fernando Pessoa ne ha fatto la sua vita e la sua fonte di ispirazione.

Sicuramente arriva anche dai miei ascolti. Dalla mia umiltà ma anche dalla mia ambizione. E poi dalla controcultura di valori e modelli che si oppongono a quelli ritenuti gli unici validi.

Chi sarà Stefano Bruno tra cinque anni?

Non lo so. E’ assurdo vivere in un’epoca e in una società che non ti permette di fare progetti a lungo termine perché non sai che cosa succederà domani.

Di sicuro sarò una persona nuova e diversa. Spero sempre di rimanere me stesso, ma mai lo stesso.

a cura di
Giulia Perna

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Giulia Perna

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