Petullà, il cantautore dalla penna sincera
Se dovessi descrivere Alessandro Petullà con tre aggettivi direi: empatico, sensibile e dannatamente romantico. A questi tratti aggiungerei anche la grandissima capacità di saper trasformare esperienze di vita in parole con una naturalezza rara, come se per lui scrivere fosse la cosa più spontanea del mondo e sicuramente lo è, ma in realtà dietro e dentro ogni testo sono nascoste tante piccole fragilità che una volta messe nero su bianco diventano una forza.
Petullà è un evocatore e rievocatore di emozioni, quelle semplici, quelle che abbiamo avuto modo di vivere o viviamo nel nostro quotidiano, tanto che ogni brano sembra appartenere ad un nostro momento, ad un nostro ricordo e in qualche modo riesce sempre a strapparci un sorriso.
Nei suoi testi il bisogno di leggerezza fa a pugni e corre di pari passo con quello di profondità, così come emerge dal suo primo singolo Brera fino ad arrivare a Zara ultimo singolo uscito poche settimane fa, ed è questo il filo conduttore che lega la musica di questo giovane cantautore torinese.
Ecco chi è Petullà…
Raccontaci un po’ di te e del tuo legame con la musica, quando è nato e in che modo è cresciuto?
Il mio legame con la musica non e’ nato mai forse. Mi piace pensare che sia sempre stato lì e che poi un giorno abbia preso la forma di un telecomando usato come microfono davanti alla televisione accesa su Radio Italia. Con Gli angeli di Vasco e mia madre che la canticchia mentre lava i piatti. Ci sono legami che non nascono. Mantenerli, nutrirli, curarli, farli crescere…questo invece è sì una responsabilità. Con la musica per me é stato naturale però: ho cercato una chitarra subito dopo il telecomando (o forse di mezzo c’è stata una batteria giocattolo), degli amici che condividessero la mia stessa passione, qualcuno che credesse a quello che avevo da raccontare. Ed oggi sono questo.
Oltre ad essere un cantante sei anche un autore, come prendono vita i tuoi testi?
Eh, bella domanda. Prendono vita nelle cose che vivo e che mi emozionano. Detta così sembra un concetto astratto invece è esattamente il contrario: può essere una conversazione su whatsapp, una foto, una cartolina, uno scambio di sguardi, un dolore che spezza il fiato, una sigaretta di notte, mentre sei in macchia col finestrino abbassato, prima di tornare a casa. La parola chiave dei miei testi è condivisione: non nascono mai da soli, nascono sempre con o per qualcuno. Non raccontano mai solo di me.
Qual è la canzone alla quale sei più legato e perché?
È una domanda difficile e che non si fa: é come chiedere a una madre quale figlio preferisce. Sono legato a tutte in modo diverso. Le ho viste crescere e cambiare. A volte le ho odiate, avrei voluto non averle scritte, a volte mi stancano, a momenti alterni. Ma per tutte mi é capitato di trovarmi inaspettatamente un giorno sul palco, o in sala prove, o seduto sul pavimento di casa, e pensare: “cazzo non avrei potuto dirlo in un modo migliore”. E in quei momenti mi ricordo che dentro ad ognuna c’è un pezzo di me.
E’ appena uscito il tuo ultimo singolo “Zara” e anche un videoclip di cui sei protagonista, parlaci un po’ di questa nuova canzone e da dov’è nata l’idea del video…
Zara é la mia seconda adolescenza entrata senza chiedere il permesso, con l’irruenza che solo chi l’adolescenza l’ha passata può capire, un giorno di metà dicembre. Anzi una notte. Nella canzone descrivo quel limbo tra l’essere bambino e l’essere adulto. Il desiderio di scappare sia dall’una che dall’altra condizione e rimanere lì, in quel momento, per sempre. Nel video abbiamo cercato di rendere un po’ quest’idea e siamo soddisfatti del risultato.
Parlando dei tuoi progetti artistici… ci sarà un album?
È un periodo di transizione e poche certezze, sarà che la seconda adolescenza mi ha destabilizzato. La vita frenetica di oggi ci lascia poco tempo per pensare, invece per fare della buona musica ne serve. Quello che vi posso dire è che io una vita senza fare musica non me la immagino, per semi-citare Calcutta. Quindi spero che questo si concretizzi sì in un nuovo album.
A cura di Claudia Venuti
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