Steve Hackett – Teatro Dal Verme, Milano – 4 novembre 2024

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Per i 50 anni di “The Lamb Lies Down on Broadway” il chitarrista dei Genesis, il britannico Steve Hackett, regala ai fan di vecchia data e alle nuove generazioni uno show generoso e nostalgico

Era il 1974 quando uscì uno degli album più rivoluzionari della musica internazionale: “The Lamb Lies Down on Broadway”, il sesto dei Genesis, nonché l’ultimo con la partecipazione di Peter Gabriel al microfono. Un concept album che narra l’odissiaco viaggio di Rael, l’alterego di Gabriel, che lo porta dal quartiere di Manhattan al suo ossimoro, il sotterraneo. Una storia avventurosa e piena di simboli che, dopo 50 anni, il pubblico del teatro Dal Verme ha potuto rivivere grazie a Steve Hackett.

Lo show

Lo show è iniziato poco più tardi delle 21:00 con “People in the Smoke”, dall’ultimo album “The Circus and the Nightwhale” che inaugura la prima parte dedicata ai pezzi dell’Hackett solista. Un album che coinvolge gli strumenti dei Genesis, le loro atmosfere e si confronta con la misura di una musica statuaria.

La prima parte si è conclusa dopo un’ora e un quarto e, in seguito a una pausa di venti minuti, “The Lamb Lies Down on Broadway” ha inizio. Il viaggio, però, salta qualche tappa: la band infatti non ha suonato integralmente l’album e, poiché è un concept, è come se avessimo visto gli highlights di una bella partita di calcio.
Alla voce Nad Sylvan che, rispettosissimo di Gabriel e a tratti somigliante, interpreta il Rael dei Genesis, guidato senza dubbio dalla regia perfezionistica di Steve Hackett; alle tastiere Roger King la cui interpretazione di “Firth on Firth” vale da sola il prezzo del biglietto; al basso Jonas Reingold, un virtuoso polistrumentista che, insieme al sassofonista e flautista Rob Towsend e al batterista Craig Blundell, rendono carismaticamente contemporaneo lo show con la loro verve.

Leggende a confronto

A ognuno dei componenti della band è stata dedicata una parte dello spettacolo: i loro assoli hanno impressionato il pubblico che avrebbe potuto reputarli la cornice di un grande artista, le sue appendici.
Il virtuosismo di questi musicisti è stato ancora più apprezzato dalla fedeltà che ognuno di loro ha dimostrato nei confronti dell’album e alla perfezione esecutiva.

Nessuna sbavatura ha, infatti, spezzato il ritmo di quello show e le mani di Hackett, a 74 anni, sono le stesse di allora… neanche una ruga. E questo non è affatto scontato, perché l’esempio di Gilmour il mese scorso non può essergli paragonato. Molte leggende del rock infatti ignorano il passare degli anni e pensano che il pubblico non si accorga delle grossolanità, ubriaco d’emozione. Anche gli Yes, sempre quest’anno, avevano portato una versione di “Roundabout” discutibilmente frettolosa ma il progressive rock è un genere che non perdona.

Conclusioni

Il progressive rock è un genere che, come la musica classica, fa del rigore un valore imprescindibile: pensiamoci, il punk è il suo secondogenito ribelle e quando il suo neoclassicismo si sgretola è impossibile non far caso alle crepe. Il tempo passa e non tutti lo accettano ma, per quanto riguarda Hackett, è un bene che questo non sia ancora successo, anche perché, in fondo, i secondi per lui, come nel progressive, sono a volte dispari e inconsueti.

a cura di
Benedetta D’Agostino

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