“Le rane”, la dolorosa “politica del figlio unico” raccontata da Mo Yan

“Le rane”, la dolorosa “politica del figlio unico” raccontata da Mo Yan
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Pubblicato nel 2009, Le rane è uno degli ultimi capolavori dello scrittore cinese contemporaneo Mo Yan. Tradotto anche in italiano da Patrizia Liberati, il romanzo abbraccia più di cinquant’anni di storia cinese, ed è ambientato nel villaggio rurale nativo dell’autore a nordest di Gaomi, nella provincia dello Shandong. Romanzo divisivo e spietato, Le rane incarna perfettamente lo spirito progressista e critico dello scrittore che si firma come: “colui che non parla” (Mo Yan)

Piuttosto singolare, ma non casuale, è la scelta di Mo Yan di nominare uno dei suoi racconti più riusciti Le rane (蛙). Questo comune animale, che offre una preziosissima fonte di nutrimento per le famiglie povere contadine nei lunghi periodi di carestia, diventa la metafora perfetta per narrare uno dei periodi più bui della Cina del secondo Novecento. Nella lingua cinese, il suono “wa” ha diversi significati. La variazione del tono determina il significato di una parola; quindi, la parola “wa” può possedere diverse accezioni, molto differenti tra loro ma cruciali per l’estro espressivo di Mo Yan.

Al primo tono “wa” vuol dire rana, al secondo bambino o bambola, mentre il suono pulito senza tono ricorda il gracidio delle rane che assomiglia ai vagiti dei neonati. Quale parola poteva, dunque, meglio riassumere la tematica del romanzo: la tragica politica delle nascite. La fitta rete di allusioni semantiche intessute dallo scrittore non si limita solo al titolo dell’opera. I piccoli della rana, i girini, rischiano di essere costantemente ingeriti da creature più grandi, in altre parole, lottano contro la morte per nascere. In questo breve romanzo, Mo Yan diventa la voce della sofferenza dei contadini, tra la devozione innata verso il Partito e la disperata opposizione verso la pratica dell’aborto forzato.

Un “cuore” per sempre macchiato

Il narratore di Le rane, chiamato da tutti “Girino”, è un giovane ufficiale dell’esercito cresciuto nel villaggio rurale di Gaomi. Con il pretesto di uno scambio epistolare con un conoscente giapponese, Girino racconta la vita travagliata della protagonista nonché sua zia. Nel villaggio, la signora Wan Xin (Xin in cinese “cuore”) è venerata come la dea della fertilità, essendo lei un eccellente ostetrica e unica levatrice del villaggio.

Figlia di un eroe della resistenza contro i giapponesi, Wan Xin non oserebbe mai mettere in discussione gli ordini del Partito, nonostante la sua personalità determinata. Da perfetta eroina progressista che incoraggia le partorienti ad usufruire della sanità pubblica per avere parti più sicuri, la fedeltà allo Stato la porta a diventare il braccio esecutivo della politica del controllo delle nascite.

Wan Xin costringe tutto il villaggio a controlli per impedire che le neospose possano contrarre una seconda gravidanza. Uso sregolato di contraccettivi, vasectomie e aborti forzati sporcano l’animo di Wan Xin per sempre. A poco importa che lei, dopo la Rivoluzione culturale, sia costretta alla pubblica umiliazione e all’autocritica. Il cuore di Wan Xin è e rimarrà per sempre rosso, colore del Partito Comunista ma anche del sangue.

Eseguendo le direttive, la donna arriva ad uccidere membri della sua famiglia. La moglie di Girino, incinta del secondo figlio, muore sotto i suoi ferri dopo aver tentato un aborto al termine della seconda gravidanza. I sensi di colpa dove aver passato una vita, prima ad aiutare poi a contrastare la maternità, la spingono a passare la vecchiaia a costruire statuine dalle fattezze di bambini insieme al marito. Unico modo per lei per espiare i delitti commessi con la speranza che i bambini mai nati possano reincarnarsi in nuove nascite, ascoltando dalla finestra ogni notte, il suono delle rane.

«Venerata come la benevola Guanyin, dea della fertilità, e allo stesso tempo, odiata come il boia inesorabile che esegue le condanne a morte».
 

Uno slogan per pianificare le nascite

La Cina è da sempre stato un paese particolarmente popoloso, ma la crescita demografica più rilevante è stata registrata tra la metà degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Settanta. Nell’ottica del pensiero Maoista, l’autosufficienza di un popolo è possibile solo grazie a tanta forza lavoro. Per questo motivo, le famiglie numerose di quegli anni erano considerate un modello da seguire, e venivano proposte leggi a sostegno delle nascite. Tuttavia, alla morte di Mao, l’eccessivo aumento della popolazione rischiava di minare la realizzazione delle politiche di modernizzazione del paese proposte da Deng Xiaoping. L’unica soluzione possibile era quella di regolamentare le nascite su tutto il territorio nazionale.

Per persuadere le giovani coppie in età fertile alla procreazione, il governo decise di avvalersi di uno slogan: “Procrastinare, allungare, ridurre”. Procrastinare l’età del matrimonio e quindi di una futura gravidanza, allungare l’intervallo tra un figlio e l’altro e, soprattutto, ridurre il numero di figli. Nel 1981, venne creata la “Commissione nazionale per la popolazione e la pianificazione familiare” con l’obbligo del limite posto ad un bambino per coppia. Con eccezione per un secondo figlio nelle zone rurali, dove tanta manodopera era necessaria, e per chi aveva come primo figlio una bambina, in modo da garantire la discendenza familiare.

Questa pianificazione organica delle nascite si allenterà poi dal 2015 con la legge dei due figli, fino ad oggi, con la possibilità di dare alla luce tre figli. Eppure, l’aumento del costo della vita e la precarietà lavorativa spingono la popolazione cinese ad avere comunque un numero ridotto di figli, alimentando così un’altra sfida comune anche all’Italia: l’invecchiamento della popolazione.

Mo Yan vince il premio Nobel, fonte: Venilia Editrice
L’incapacità di prendere una posizione

Le rane è un romanzo che incrocia stili letterari differenti per raccontare la sofferenza quotidiana dei contadini. Definire l’opera come semplice romanzo storico è riduttivo. Mo Yan non si limita ad evocare alcuni tra i più crudi decenni della storia cinese, propone al suo lettore scene vivide e grottesche di un passato impossibile da cancellare. La disperazione e l’impotenza della popolazione di fronte ad una scelta a loro imposta, si scontra con l’assoluta devozione nei confronti del Partito. Il lettore viene accompagnato pagina dopo pagina dalla forza espressiva e dalla crudezza delle immagini proposte dallo scrittore.

Come in altre sue opere, anche in Le rane protagonista sono le donne. Il corpo femminile dilaniato tra la cultura retrograda confuciana e le politiche sociali comuniste è portato allo stremo. Se dal punto di vista dello Stato, la pianificazione delle nascite è la soluzione per il benessere del Paese, per le donne è violenza. Mo Yan decide di non sbilanciarsi e non aderisce ad una posizione in particolare, ma mette in luce le influenze culturali e ideologiche che spingono la protagonista a compiere tali drammi.

Non è possibile definire, quindi, Le rane come un romanzo di denuncia, piuttosto come un racconto in grado di abbattere i pregiudizi conoscitivi che l’occidente ha sulla Cina. La scrittura caotica e silenziosa di Mo Yan rivela l’impossibilità del lettore di dare un giudizio critico al dolore di quegli anni senza vivere la quotidianità di quei contadini da lui ampiamente narrata.

a cura di
Elisa Manzini

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