MĀYĀ ci fa entrare nell’universo parallelo di Mace
È uscito il terzo album ufficiale “MĀYĀ” di Mace, il secondo se consideriamo solo quelli con ospiti. Questi album vanno molto di moda negli ultimi anni, ma cosa renderà speciale “MĀYĀ”?
Negli ultimi anni i produttori sono sgusciati fuori dalle proprie stanze di lavoro scendendo un po’ alla ribalta e realizzando album da protagonisti; una delle mie prime recensioni per il sito The Soundcheck è stato appunto il primo album di Sick Luke. Sick Luke, Drillionaire, The Night Skinny e lo stesso Mace sono stati tra i principali promotori di questa tendenza artistica urban. Negli ultimi due anni addirittura gli stessi produttori hanno iniziato a portare in concerto questi album facendo salire sul palco i principali interpreti.
In questi dischi lo stesso producer interpreta il doppio ruolo di artista, creando in primis le basi stesse e facendo le sessioni in studio con i vari interpreti, e quello di coordinatore sviluppando un concetto dietro all’album e scegliendo gli artisti più adatti al proprio progetto: quelli più adatti a livello sonoro, quelli per cui ci si toglie qualche sfizio di collaborazione o semplicemente amici con cui si ha una particolare chimica artistica.
Via via verso l’album
Il grosso rischio di questo progetti incappa in quello di essere dei “super contenitori” senza però nessun senso logico che li sorregga. Un’accozzaglia di artisti messi insieme per fare massa critica in modo da sfruttarli solo per il loro hype, ma niente di più. A “OBE“, il precedente album di MACE, non lo imputiamo assolutamente anzi forse è uno dei migliori lavori urban degli ultimi anni e anche il nuovo lavoro “MĀYĀ” è un ulteriore viaggio nella dimensione sonora “maceiana”.
Chiaramente non riteniamo ogni traccia riuscita alla perfezione, ma Mace cerca sempre di trovare una dimensione a livello sonoro che abbia un filone comune per tutto l’album. Per quanto le produzioni infatti non abbiamo nulla da criticare. Anche un brano come “PRAISE THE LORD” seppur non ci vada troppo a genio, l’impalcatura della canzone è un bijoux.
Artisti inaspettati come Marco Mengoni, Fulminacci o Kid Yugi, più lontani dall’immaginario del produttore milanese, acquisiscono senso grazie a un grosso lavoro a livello di produzione; questo è uno dei compiti richiesti a questo tipo di progetti. Finalmente diamo a Cesare quel che è di Cesare.
Gli artisti presenti
Il bello dei lavori di Mace è anche la selezione degli artisti presenti e i conseguenti accoppiamenti. Mai avremmo immaginato di trovare Gemitaiz accostato a Marco Mengoni o Fulminacci con Fabri Fibra per dirne un altro.
Certo alcuni nomi sono lì anche per una questione di popolarità attuale come i già nominati Marco Mengoni, Kid Yugi, non nascondiamocelo. Artisti però come centomilacarie, Ele A, Marco Castello, Altea, sono in una fase ascendente, ma Mace ne risalta ulteriormente le potenzialità e li “spreme” a livello artistico.
Per non parlare dello stesso Izi lontano dai riflettori da tantissimi anni, ma per cui Mace si è “scomodato” di inserirlo in ben tre tracce come Gemitaiz, artisti più presenti nell’album. Mace si è anche un po’ messo nei panni di talent scout inserendo nomi come iako e Vins.
Passando alle canzoni
A livello di brani il progetto sembra ulteriormente maturo rispetto a “OBE” che era stato un po’ un esperimento, seppur ben riuscito. “MĀYĀ” arriva in un momento in cui il produttore sa dove può lanciarsi, certamente con una nuova sfida e nuovi interpreti, ma a più colpo sicuro.
Facendo una top 3 degli inediti:
- “FUOCO DI PAGLIA” in collaborazione con Marco Mengoni, Frah Quintale e Gemitaiz è forse il brano più riuscito dell’intero disco. Frah Quintale e Gemitaiz si poteva anche immaginare potessero funzionare assieme, ma con un Marco Mengoni di mezzo non è per nulla scontato;
- “MAI PIU‘” in collaborazione con Fabri Fibra, Fulminacci e Vins è davvero sorprendente soprattutto per la combinazione degli artisti. Un rapper storico, un nuovo cantautore italiano e un emergente uniti hanno partorito una traccia che ti penetra le cervella;
- “VIAGGIO CONTRO LA PAURA” con Joan Thiele e Gemitaiz è proprio un brano da intro, lo avrei usato per introdurre la mia nascita in questo mondo. La voce di Joan Thiele mischiata alla produzione di Mace è qualcosa di soave, mentre Gemitaiz ti fa riappoggiare i piedi per terra per tenerti ancorato a questa realtà.
La conclusione
Questi album confezionati a modo di “viaggio musicale” sono davvero il nostro punto debole. Hanno una linea comune, ma allo stesso tempo sono estremamente differenziati al loro interno. Nello stesso album puoi ascoltarti artisti distanti a livello stilistico in base un po’ ai tuoi bisogni musicali in quel momento. “MĀYĀ” in questo modo rappresenta un album per cui non ci si stanca di ascoltarlo o comunque lo si “abbandona” in maniera più progressiva, ha una longevità maggiore del normale.
Negli ascolti effettuati per recensire questo album è sembrato di non aver mai sentito prima i brani perché a ogni ascolto ci si diverte a notare un particolare differente: una volta stai attento al sound generale, una volta al testo, una volta a qualche effetto della base e così via. “MĀYĀ” è un viaggio parallelo a “OBE” ma verso una direzione leggermente diversa e forse più soddisfacente.
Se non lo avete ancora fatto, andate assolutamente a catapultarvi in un ulteriore metaverso musicale costituito da Mace per te, per me, per noi e per tutti.
a cura di
Luca Montanari
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