“La donna che pensava di essere triste”: come la vita cambia forma
La donna che pensava di essere triste è il romanzo di Marita Bartolazzi, edito Exorma, che racconta dei nostri frammenti per gioco
Nella gestione di un gruppo di lettura capita sempre di incontrare il lettore scontento. La storia non piace, non piace lo stile, la carta, qualsiasi cosa può diventare motivo di rifiuto. Così come esiste il lettore scontento, però, ne esistono tanti altri che invece si ritrovano in quelle pagine e sentono di appartenere, in qualche modo, alla storia.
La donna che pensava di essere triste è esattamente uno di questi testi. Versatile, breve, tascabile, con una copertina fresca, che porta la mente, magari, in un posto lontano – un luogo senza nome.
Marita Bartolazzi, autrice di questa storia, viene pubblicata nel 2017 da Exorma e io la leggerò solo qualche anno più tardi, scoperta casualmente.
Come cambia un libro
La prima lettura non fu assolutamente portata avanti con l’intento di studiarne il non detto ma, da brava Capricorno, cercavo il modo di distruggerlo, smembrandolo in ogni sua parte per cercare di trovare un senso, una spiegazione, una via di fuga e, peggio ancora, quell’avevi ragione, non ha senso questa storia.
Avevo la pretesa di dire a me stessa che avevo sbagliato lettura, che non mi sarei dovuta lasciar ammaliare dai colori intensi della carta stampata. Arrivai alla fine con molta fatica, un po’ divorato un po’ no, provai anche a troncare di netto quel la donna che pensava di essere triste continuamente ripetuto perché forse poco abituata alla musicalità. Poi, a gennaio, ho affrontato nuovamente la lettura per il GdL Parole di Lana. Questa volta è stata centellinata, non riuscivo a proseguire per più di uno, due capitoli al giorno. Che sono forse una decina di pagine.
Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo.
Emil Cioran
A quel punto la storia era cambiata. Erano cambiati il significato delle parole, il ritmo, la musicalità. Era anche mutato il mio bisogno, mi ero messa in ascolto di una storia che forse non mi avrebbe dato nulla di più o, peggio ancora, non avrebbe lasciato nulla ai lettori.
Una preoccupazione importante per me che cerco sempre storie logoranti.
Quale donna?
La protagonista di questa storia è una donna della quale sappiamo solo che pensava di essere triste e che forse, proprio come la storia del bambino terribile, ha dimenticato il suo nome. Il suo scopo è quello di trovare chi possa aiutarla a realizzare la coperta di tristezza e in tutto questo affannoso cercare incontra tante parti di sé, più piccole, felici, assenti o ingombranti.
A confondere ancora di più il lettore ci sono i capitoli che si spostano nel supermercato dei sogni, dove la donna che pensava di essere triste si reca come tutti per fare acquisti. Fuori da qui ci sono sarti e gatti con gli occhiali, ci sono statue egocentriche, venditrici d’infanzia e buchi neri nei quali soggiornare per riposarsi. C’è un sacco blu davanti la porta di casa con cose da portare e altre da togliere, c’è la paura di partire e lo schiaffo della realtà che quelle parti di te, senza te, vivono comunque benissimo.
Morale della favola
Non ho idea se ci sia o meno ma di sicuro è una storia così aperta che lascia spazio per vederci dentro tutto ciò di cui abbiamo bisogno. C’è chi dopo averla conclusa ha sognato, chi ha dovuto leggerlo di nuovo, chi si è sentito smarrito. E chi, come me, ha dato nuovi nomi ai capitoli.
a cura di
Ylenia Del Giudice
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