17 anni, il manga liberamente ispirato alla terribile vicenda di Junko Furuta
Negli ultimi anni su internet stanno spopolando le storie di true crime, ispirate a fatti di cronaca realmente accaduti. Tra quelle più conosciute e cruente vi è quella di Junko Furuta.
Siamo alla fine degli anni ’80, Junko Furuta, una studentessa giapponese di 17 anni, viene rapita e tenuta segregata da una banda di teppisti suoi coetanei, per più di un mese. La storia di Junko fece il giro del mondo per la crudeltà e le indicibili torture che dovette subire in quei 44 giorni di prigionia. I motivi che stanno dietro al suo sequestro sono di tipo “sentimentale”, poiché la ragazza declinò la proposta di fidanzamento fattale dal capobanda. Ma si da il caso che questo fosse legato alla Yakuza e volle, assieme agli altri, punirla per averlo rifiutato. Le violenze che i teppisti perpetrarono sulla ragazza furono terribili, tant’è che la sua vicenda viene ricordata come il caso di cronaca nera più sconvolgente della storia del Giappone.
Il manga
17 anni è una mini serie composta da 4 volumi, uscita in Italia nel 2020 ed edita da J pop.
Il manga di Seijii Fuji e Yoji Kamata è liberamente tratto da questo fatto di cronaca, ma ha cambiato alcuni aspetti della vicenda. Nel fumetto i teppisti non rapiscono la ragazza perché lei rifiuta le loro avances, bensì per soddisfare la propria voglia di “divertimento” e la propria brama di potere.
Sachiko, che nel manga sarebbe l’alter ego di Junko, viene notata per strada e prelevata con la forza su ordine di Miyamoto, il leader senza scrupoli della banda. Dopodiché viene portata nella casa di uno dei quattro, Katsuya, e qui tenuta prigioniera per 44 lunghi giorni.
Le torture e gli abusi mostrati nel manga non sono gli stessi della vicenda reale, perché sarebbero stati troppo cruenti da rappresentare, ma sono comunque molto pesanti. Sachiko subisce ripetute violenze sessuali, fisiche e psicologiche da parte di tutti i membri della banda e non solo. Ad un certo punto anche degli altri teppisti, invitati da Miyamoto, si recano in quella casa per farle violenza.
C’è chi non partecipa agli abusi ma assiste senza fare nulla e quindi diventa complice. Hiroki, il co-protagonista della vicenda, fa parte di questa categoria. Più volte nel manga gli viene data la possibilità di redimersi e chiamare la polizia, ma non lo fa per paura di ritorsioni o di subire lo stesso destino.
Oltre a lui, anche altri personaggi della storia mostrano la loro indifferenza e codardia. Tra questi la mamma di Katsuya, che ad un certo punto si accorge di ciò che sta combinando il figlio, ma non fa nulla per salvare Sachiko. In fondo sono tutti terrorizzati da Miyamoto, rappresentato come un mostro.
Il manga parla anche di bullismo, poiché Hiroki e il suo amico entrano nella banda per non continuare ad essere delle vittime a loro volta. I loro personaggi, specialmente quello di Hiroki, sono a metà strada tra il bene e il male. I due cercano di tirarsi fuori dalla vicenda in più occasioni, ma non lo fanno per paura. Forse Hiroki è il personaggio che più di tutti mostra al lettore il suo lato umano, né propriamente buono né interamente cattivo. Certo è, che il lettore non può fare a meno di provare empatia per lui, né tantomeno di detestarlo.
Uno dei pochi personaggi positivi, assieme a Sachiko ovviamente, è Miki, la sua sorella gemella. Miki è un personaggio che nella vera storia di Junko non esiste (nemmeno gli altri esistono, ma rappresentano degli alter ego). Lei lotterà con tutte le sue forze per salvare Sachiko e nel manga rappresenta la bontà che c’è nel mondo. Un altro personaggio semi positivo è il detective Tanaka della sezione minori. Egli è l’unico della polizia a prodigarsi nell’aiutare Miki, a differenza di tutti gli altri agenti che mostrano solo indifferenza.
I temi che il manga affronta sono molteplici: l’indifferenza delle persone di fronte a una vittima che chiede aiuto, le dinamiche che si creano in un gruppo che compie un crimine così efferato, la violenza contro le donne come piaga sociale diffusa in tutto il mondo. Un altro tema è quello del crimine giovanile in un paese come il Giappone, dove si pensa che “non accada mai niente di grave”. La vicenda di Junko, tra l’altro, avviene in pieno boom economico, un momento nel quale il paese sta vivendo un sentimento di grande speranza e positività per il futuro.
Dopo i fatti di Junko Furuta il paese rimase chiaramente scosso. Da quell’evento il sistema legislativo giapponese cambiò: l’età della responsabilità penale dei minori scese a 16 anni.
Giorgio Fabio Colombo, docente di diritto comparato all’Università di Nagoya, lo spiega alla fine di ogni volume, aiutando il lettore a capire il contesto nel quale si svolge la vicenda. Il professore fa anche delle riflessioni sul sistema penale giapponese nei casi di crimini commessi da minorenni.
La forza dell’opera di Fujii e Kamata sta nelle immagini, a partire dalle copertine. In quest’ultime una striscia nera copre i volti dei personaggi principali. Si tratta di quella usata per nascondere i volti dei minorenni nei casi di crimini violenti.
Parecchie immagini sono forti e la loro rappresentazione occupa l’intera pagina. Come quelle che mostrano i volti sconvolti o i corpi deturpati dei personaggi. Talvolta i personaggi sono raffigurati senza dialoghi, perché le immagini valgono più di mille parole.
Il titolo del manga indica l’età dei protagonisti, sia della vittima sia quella dei carnefici, come a dire che gioventù non è sinonimo di innocenza. 17 anni lascia un po’ di amaro in bocca, perché non ci fornisce una spiegazione ai fatti che rappresenta. Noi rimaniamo lì, impotenti e attoniti, a chiederci come sia possibile tanta violenza. Proprio come quando ascoltiamo o guardiamo una storia di true crime.
L’opera è, comunque, senza ombra di dubbio, molto importante perché storie come quella di Junko non possono e non devono essere dimenticate.
a cura di
Silvia Ruffaldi
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