Paul Weller – Estragon Club, Bologna – 21 settembre 2023
Seconda tappa italiana per Paul Weller e la sua band. Un ritorno tanto atteso dopo sei anni, pandemia compresa. Locale sold out per il ritorno tanto atteso di un’icona della British Culture
Sempre un piacere tornare all’Estragon di Bologna, uno dei pochi locali in Italia a fare una programmazione di qualità e per tutti i gusti. Situato nella zona Parco Nord (dove ho la capacità di perdermi ogni volta, ma ,sapete, l’età gioca il suo ruolo). Col tour bus fuori dal locale, situato in un recinto che ti permette di vedere il tuo artista/Band preferito (anche se rischi di fare foto in stile carcere). L’acustica buona sia sotto che in fondo al palco. Insomma ogni volta che siamo qui pensiamo che il dio della musica e delle buone cose esista ancora, malgrado tutto.
Il concerto
Detto questo, ad aprire lo show alle 21.00 troviamo Allbhe Reddy. Artista irlandese accompagnata dal chitarrista, ha coraggiosamente affrontato un pubblico per lo più di boomers proponendo le sue canzoni alt-folk. Alle 21.30 Paul Weller fa il suo ingresso accompagnato da una band solida e coesa. Spiccano, fra gli altri, il fido Steve Cradock alla chitarra, Jacko Peake sax e flauto traverso, Andy Lewis al basso, Steve Pilgrim alla batteria, Andy ‘Crofty’ Crofts alle tastiere, Ben Gordelier alle percussioni. Non solo una band di turnisti ma di collaboratori per Weller, un valore aggiunto che crea un’approccio solido e preciso. Sensibilità, gusto, mestiere e raffinatezza tutta british dei componenti quindi,come elemento fondamentale per le composizioni di Weller.
Diciamo che la scaletta della serata si divide abilmente fra passato e presente con preponderanza degli ultimi album, in particolare Fat Pop vol 1 e On Sunset come a dire che “i’m still standing here“. Paul Weller sfoggia la sua candida t-shirt bianca e invidiabili pettorali che denotano una splendida forma come un leone dalla bianca criniera che, attenzione, rugge ancora alla grande.
Luci ed ombre
E infatti sarà proprio Cosmic Fringes ad aprire le danze seguita da My Every Changing Moods, pescata dal repertorio degli Style Council. Ma, attenzione, non c’è spazio per rigurgiti nostalgici. La band gira bene, a barra dritta. E poi le successive I’m where I should be fino a Old Father Tyme dagli album sopra citati e Headstart for Hapiness, ancora Style Council revisited. E qui Paul Weller si gioca il jolly di Jacko Peake che si alterna fra sax baritono, tenore e flauto traverso coprendo in modo egregio le partiture dei fiati.
C’è spazio anche per l’inedito Jumble Queen infarcito da riff rock tenute insieme da tracce soul. Con Stanley Road il ModFather siede al piano donandoci la sua magia. Più avanti c’è spazio per due perle tratte da Wild Wood: All The Pictures on the Wall e Hung Up. Si sale poi ancora sulla giostra dei nuovi brani fra cui spicca la lunga cavalcata di More (tratta da On Sunset) dove gli strumenti godono di ampio respiro. A questo proposito però quello che risulta un po’ in ombra è Steve Cradock alla chitarra, che colpisce al cuore un paio di volte durante il set ma poi si defila dietro la presenza un poco ingombrante proprio di Jacko Peake.
Un mare di..Smartphone
Shout to the Top ci scuote tutti dal torpore di brani interessanti ma non epici. Lo capisci dal fiorire di smartphone sopra le teste dei presenti. E lì cominci a pensare che la richiesta di Bob Dylan di tenere fuori i telefonini dai suoi concerti poi non era poi tanto sbagliata. E a proposito di brani epici ritroviamo Into Tomorrow iin tutta la sua carica. A corredo del brano due intensi assoli di Steve Pilgrim e (del solito) Jacko Peake sul finale. Ma c’è spazio ancora per rinfrescare i Jam con Start!.
Il primo encore si apre con On Sunset che ricorda maledettamente My Sweet Lord di George Harrison. Con Broken Stones poi rimaniamo incantati dagli interventi canori di Steve Pilgrim. E poi ancora la vecchia magia di Wild Wood fino a una Rockets che quasi commuove per l’omaggio implicito a David Bowie. Il secondo encore invece chiude la serata con Town Called Malice, brano di spicco dei Jam che contiene tutto l’amore di Paul Weller per il soul e le sue meraviglie. Come quelle che ci lascia, in questa serata di un settembre dal caldo anomalo, che non sarebbe pesata così, vent’anni fa o giù di lì.
Conclusioni
In definitiva un concerto che dimostra la statura da gigante di un artista che è riuscito a traghettare il rock inglese dai The Who fino ai Blur, Oasis etc. Una figura di riferimento che si è sempre contraddistinto fra passione e ricerca, amore per i classici e mestiere da rocker sul palco. Un equilibrio invidiabile fra raffinatezza e istinto che sta ancora in piedi e questa sera ha voluto dimostrarlo ancora una volta.
a cura di
Beppe Ardito
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