“Resta con me, sorella”, l’ultima creatura di Emanuela Canepa
Lo scorso due maggio è uscito, edito da Einaudi, il nuovo (appassionante, tragico, sapiente) libro di Emanuela Canepa, Resta con me sorella, e già ha ricevuto moltissimi elogi dalla critica e dai lettori (diciamolo: il pubblico più critico).
L’autrice ha esordito con il romanzo L’Animale Femmina, con cui ha vinto il Premio Calvino nel 2017, il Premio Letterario Fondazione Megamark, il Premio Anima della Confindustria e il Premio per la Cultura Mediterranea-Fondazione Carical nella sezione Narrativa Giovani.
Anche quest’ultimo nato, però a mio sommesso avviso, non sarà da meno.
La trama
Siamo negli anni ’20 a Padova; Anita Calzavara, già orfana di madre dall’età di sette anni, perde anche il suo caro padre a seguito di un’epidemia di febbre spagnola. Si ritrova quindi sola con la famiglia che l’uomo si era creato dopo la morte della prima moglie. Una matrigna, un fratellastro e una sorellina nata dalla seconda unione, unica anima affine ad Anita e che sarà sempre il solo pensiero dolce che la terrà a galla nei giorni più bui.
La giovane donna e il suo fratellastro, Biagio, verranno assunti dal giornale in cui lavorava il padre. Ma lui, non appagato da una vita di stenti, verrà sorpreso dalla sorella a rubare negli uffici. Anita, ben sapendo che il ruolo e lo stipendio misero di una donna di quell’epoca non sono assolutamente sufficienti per mantenere una famiglia, decide di assumersi le colpe di Biagio e confessare il furto.
La ragazza, cresciuta tra i libri e gli insegnamenti di libertà e indipendenza del padre, si ritroverà così catapultata nel carcere della Giudecca a Venezia. Luogo austero, umido e scarno gestito da suore severe e abitato da detenute scaltre e disilluse. Ma Anita, sotto uno spesso strato di paura e di rassegnazione, nasconde un nervo forte e dritto di dignità e voglia di rivincita. Pian piano conquisterà il rispetto delle suore che decideranno di affidarle un compito particolare.
“Non ho l’abitudine di piangere, non lo nego, ma l’affidabilità si misura soprattutto dal comportamento. Mettetemi alla prova, e valuterete se il risultato vi soddisfa.”
Durante tutto il soggiorno, però, Anita non riuscirà a trovare la simpatia delle altre ospiti, soprattutto quando abbandonerà il posto nelle pulizie dell’istituto per passare a quello negli uffici, generando anzi invidia e sospetto nelle detenute.
L’amicizia
L’unica donna che attira le sue attenzioni e che sembra ricambiarle è la misteriosa Noemi. Nessuno sa perché è in carcere e nessuno le rivolge la parola. Noemi preferisce sempre stare sola e in disparte, e proprio per questo incute timore nelle altre che non riescono ad avere su di lei alcun tipo di potere.
“A tutte piacerebbe tirarmi per la giacca, io però non do confidenza a nessuno e loro se ne risentono. (…) Lo vuoi un consiglio, Calzavara? Fa in modo che dicano male anche di te. A forza di parlare di quel che non capiscono si spaventano da sole, e dopo nessuno ti disturba. Ho imparato a casa mia che con gli stupidi è inutile spiegarsi. Non ottieni amore né rispetto. Io mi accontento che abbiano paura di me”
Le due donne, nonostante il segreto sulla colpa di Noemi, legheranno sempre di più fino a fare progetti per la vita dopo il carcere. Progetti che non comprendano uomini e matrimonio come unica ancora di salvezza, ma che siano sogni solo loro. Un negozio, l’autonomia e la libertà.
“-Ma cosa ve ne fate del re? A cosa vi serve il re?
Siete belle, e vi toglieranno la bellezza. Siete giovani e vi faranno invecchiare!-”
Ma la vita dopo il carcere mostrerà fin da subito che esistono nuovi ostacoli, altrettante sbarre.
L’opera
Emanuela Canepa scrive un romanzo fedele alla storia del tempo in tutte le sue parti. Nella descrizione attenta delle carceri, per le atmosfere che si respirano tra le strade di Venezia, nella fotografia delle diverse famiglie che descrive e dei diversi ceti sociali dell’epoca.
Se dovessi indicare in una sola frase il tema centrale dell’opera, non ne sarei capace. L’autrice, in poco meno di 400 pagine, riesce ad unire diversi temi, tutti importantissimi.
Le condizioni delle carceri (e non solo quelle degli anni ’20, purtroppo), il ruolo (invisibile) delle donne dell’epoca e i retaggi che ancora ci trasciniamo nella società odierna, l’amicizia, l’amore, la guerra e il dolore dei sopravvissuti.
Nello sbroglio degli avvenimenti, tutte queste tematiche si avvicendano una dopo l’altra e finanche una nell’altra, introdotte magistralmente dall’autrice che utilizza sempre un linguaggio mirato e preciso, che lascia trasparire una ricerca sapiente. Lei stessa, al termine del romanzo, ringrazia “i numerosissimi bibliotecari italiani che mi hanno offerto massima competenza e totale disponibilità”. E’ da dire che lo studio e la dedizione si vedono tutti.
Titolo qui
Al netto poi della magistrale costruzione di intrecci e personaggi, quello che mi ha colpito di più è la facilità con cui ci si affeziona ai protagonisti. Non mi succedeva da moltissimo tempo, con un libro di narrativa italiana, di provare quel sentimento di affinità e amicizia verso i personaggi di una storia, che è forse più solito sorgere in una saga. Anita però mi ha preso fin da subito e sicuramente la trama così ben costruita, i luoghi e le numerose vicissitudini hanno aiutato molto.
L’enigma Noemi, invece, è la carta vincente che tiene sempre viva l’attenzione e fa crescere la curiosità per questa donna così diversa da Anita, quasi la sua nemesi.
Ma la protagonista silenziosa del romanzo è proprio Venezia. Sempre presente con la sua eterna umidità, la sua foschia e il rumore incessante dell’acqua stagnante sotto di lei, rende l’atmosfera quasi gotica e dona al lettore una sensazione di angoscia, di soffocamento, come una seconda prigione, dopo la Giudecca. L’autrice, per tutto il romanzo, terrà sempre viva questa sensazione descrivendo ogni volta dettagli diversi di questa città.
“Certi giorni mi sembra una fortezza senza vie di fuga, un carcere sull’acqua che cerca di farti dimenticare la sua natura detentiva con le bifore e i merletti. Tutti la assolvono perché è bella. Ma resta il fatto che, una volta entrati, scappare è difficile”
In ultimo, ma fin dall’inizio, ho amato i versi di Anna Achmatova che la Canepa ha scelto come esergo della sua opera. Questi puntualizzano il fulcro del romanzo che alla fine, in tutti i temi trattati, vede al centro sempre la donna.
“Chi vorrà piangere questa donna?
Non sembra forse la più lieve delle perdite? (…)”
a cura di
Rossana Dori
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