“Il paese dove non si muore mai”, una prospettiva albanese

“Il paese dove non si muore mai”, una prospettiva albanese
Condividi su

C’era una fiaba di Italo Calvino che aveva proprio questo titolo, Il paese dove non si muore mai. C’è un giovane che va alla ricerca della terra dove si vive per sempre e la trova ma, come ogni fiaba, ecco pronta la morale: in un modo o nell’altro, la morte arriva sempre. Nel paese raccontato da Ornela Vorpsi sembra che la morte colga invece solo gli altri. Pubblicato nel 2005 da Einaudi e successivamente da Minimum faxIl paese dove non si muore mai racconta l’Albania che si trasforma nello specchio del mondo.

La colonna vertebrale è di ferro. La puoi utilizzare come ti pare. Se ti capita un guasto, ci si può sempre arrangiare. Il cuore, quanto a lui, può ingrassare, necrosarsi, può subire un infarto una trombosi e non so cos’altro, ma tiene maestosamente. Siamo in Albania, qui non si scherza.

Il paese dove non si muore mai: di lame e di libri

Ornela ci mostra l’Albania della sua infanzia, quella legata al comunismo, alla Madre-Partito e alle vecchie tradizioni. Una forza, quella albanese, che non concede mai il lusso della morte ma neanche quello della vita. “Al massimo muoiono gli altri perché tu, albanese, sei più albanese del morto“.

Ina, una donna la cui storia viene narrata in prima persona dall’infanzia all’età più adulta, ha scoperto come sopravvivere in questa terra fatta di regole non scritte, di schiaffi, di righelli bollenti e di insegnanti che bruciano la pelle. La penna della Vorpsi non necessita di traduzione, è capace di imprimere su carta la sottile linea che separa la tradizione culturale dal maschilismo più arcaico.

Il paese dove non si muore mai, Ornela Vorpsi, edito Minimum Fax. Foto di Ylenia Del Giudice

Nel frattempo ho scoperto il mio nutrimento. I libri. Leggendo fino all’esaurimento di me stessa, dei miei occhi e a volte fino al ritorno della mamma: io non faccio in tempo a nascondere il libro – il libro è preso, censurato, chiuso a chiave nell’armadio. Era la più grande punizione che mi potessero infliggere, l’interruzione del libro interrompeva il mio scorrere d’essere.

Ina sopravvive grazie ai libri, il suo premio per aver resistito alla giornata magari conclusa. Gli uomini al contrario, come si legge nel testo, non avevano il lusso di poter sfogliare un volume. A loro il compito, invece, di spogliare le donne con gli occhi, condendo il tutto con sopraffini complimenti. Una disgrazia, dice Ina, quella di essere nata bella come è successo a sua mamma. Una sventura anche quella di assomigliare al papà, secondo i parenti.

Il paese dove non si muore mai: formazione per donne formate

Potrebbe essere classificato come un romanzo di formazione; gli elementi ci sono tutti. Potrebbe perché, forse, il lettore più esigente, che cerca qualcosa che lo accompagni nell’abisso, corre il rischio di trovare invece l’equivalente di una storia di lamentela, fatta di stereotipi che ci impegniamo a combattere da anni: la donna oggetto, quella che si lamenta di essere bella, complimenti che non sono più tali e che ti portano a dire che se nasci puttana, in qualche modo, non puoi morire santa.

Il paese dove non si muore mai, dettaglio della copertina di Minimum Fax. Foto di Ylenia Del Giudice

Eppure in questa breve storia ci sono molta vita e voglia di scrollarsi di dosso obblighi imposti da uno stato di uguaglianza tipico del comunismo, per esempio. Ci sono le tracce dei traumi generazionali di cui non si parla mai e di come certe storie si ripercuotano nei sogni di notte e nella vita sotto al sole.

Così scorre la vita nel paese dove tutto (tranne quello che succede agli altri) è eterno. Ma ci sono cose che appartengono alle case di questa gente più della morte. Una di queste, senza esagerare, è quasi il centro della loro vita.

La questione della puttaneria.

Quanto li appassiona, quanto infiamma i loro cuori (che si accendono per un niente), a quali febbri e deliri conduce! È la questione vitale, interessa i vecchi e i giovani, i colti e gli incolti.

Ci sono regole che nello spirito di un popolo nascono così, in modo naturale, come le foglie su una pianta. Queste regole da noi si fondano su un’unica tesi: una ragazza bella è troia, e una brutta – poverina! – non lo è.

In questo paese una ragazza deve fare molta attenzione al suo «fiore immacolato», perché «un uomo si lava con un pezzo di sapone e torna come nuovo, mentre una ragazza non la lava neanche il mare!».

L’intero mare.

Il paese dove non si muore mai: sante e puttane a ripetizione

Il romanzo si muove con la stessa velocità di una diga aperta ma le parole sono centellinate, scelte per restare nella mente sotto forma di eco sommessa. Nonostante sia chiaro l’intento dell’autrice e il periodo storico di riferimento, alcuni lettori hanno notato una forma espressiva noiosa e ripetitiva e un sovraccarico di cliché.

Non me la sento di dissentire in merito alla ripetitività perché è vero. La classificazione di una donna viene sottolineata quasi allo sfinimento e immagino – spero – fosse quella l’intenzione, il peso sul petto pur sapendo che quella di Ina non è la nostra storia, non del tutto.

Una lettura da dover fare assolutamente? Direi di no. Si corre il rischio persino di chiudere il romanzo dopo poche pagine, a causa di quelle ripetizioni di cui parlavo. Però azzardo un’ipotesi: questa di Ornela Vorpsi potrebbe essere una lettura di sostegno, una di quelle che in qualche modo ha la sua via di fuga e, azzardo, un lieto fine. Un sostegno a chi oggi cerca di liberarsi degli strascichi che lasciano tabù e credenze sociali e sente il bisogno di ritrovarsi anche nelle parole di altri, come quelle di Ina.

a cura di
Ylenia Del Giudice

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – “Frieren”: un fantasy atipico che pone al centro le emozioni umane
LEGGI ANCHE – La luna e la genitorialità condivisa degli scrittori: una booklist
Condividi su

Ylenia Del Giudice

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *