“Exit”, Blindur ci parla del suo nuovo disco
Oggi, 30 settembre, esce il terzo album di Blindur intitolato Exit. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo al live di presentazione per farcelo raccontare
Massimo De Vita, in arte Blindur, è una delle realtà più premiate e riconosciute della scena alternativa dell’ultimo decennio. Torna con il terzo album dal titolo Exit. Anche stavolta ci colpisce con il suo stile musicale che fonde il tradizionale cantautorato italiano con il folk, la musica nord europea e il post rock.
Immaginate una grande porta anti panico con sopra la scritta luminosa “Exit”. Immaginate di avere il coraggio di tirare giù la maniglia della porta e vedere cosa c’è oltre. Quelle porte servono a salvarsi, ma quando esci sei solo nel mondo immenso. Un mondo molto più pericoloso.
Blindur è stanco della paura, quell’emozione troppo frenante, quasi immobilizzante. Lo scrive anche sul retro del vinile: “Prova a non avere paura e vedrai…”
La copertina di “Exit” è fisicamente un gioco di società: aprendolo c’è il percorso e in un sacchetto rosso ci sono i dadi e le pedine con cui percorrerlo. Ad avvolgere il vinile c’è il foglio con le regole: salta una casella, torna indietro di cinque, resta fermo per un turno.
Le canzoni sembrano quasi di accompagnamento a questo concept grafico bellissimo. E invece no, ascoltando “Exit” suoni e parole contribuiscono in egual misura a costruire un immaginario un po’ epico e un po’ onirico, molto complesso ma accessibile a tutti.
Il gioco consiste in un tradizionale gioco dell’oca, e non è un caso. In questo tipo di gioco non contano sforzo e bravura, conta solo la volontà iniziale di tirare i dadi e poi l’intervento della fatalità. Il senso della vita, secondo Blindur, è quello di tirare i dadi e vedere cosa viene fuori. Sperando in una casella fortunata.
Il 21 settembre, al Feria Lanificio di Roma per il Big Time Release abbiamo assistito all’intimo live di presentazione di “Exit” e in questa occasione, poco prima che suonasse, abbiamo potuto fare qualche domanda a Blindur.
“Exit” è stato concepito graficamente e musicalmente come un vero e proprio gioco di società, ci spieghi quali sono le regole per giocare?
Tre regole su tutte: la prima regola in assoluto è non barare. Quindi bisogna fare un ascolto sincero, con purezza e senza pregiudizio. La seconda regola è essere capaci di prendersi del tempo e godersi “l’adesso”. La terza regola, che è scritta sul retro del vinile, è non aver paura.
Napoli è la tua casa, come si sente forte e chiaro dall’accento. In questo terzo disco cosa c’è della tua città?
Credo che i luoghi di nascita sono ineludibilmente incastrati nel nostro dna, puoi anche scappare lontanissimo ma il posto dove sei nato te lo trascinerai dietro in qualche forma strana. Questa è una domanda che mi faccio spesso anche io. Forse ritrovo Napoli nella ricerca del caos. C’è una sorta di anarchia latente che mi spinge sempre a cercare, provare, tornare indietro, poi provare di nuovo. Quel caos che Napoli ha nella sua storia, essendo un crocevia di gente che andava e veniva e lasciava pezzi e qualcuno li raccoglieva. A me succede più o meno lo stesso: lascio dei pezzi di me quando scrivo o quando compongo, poi cerco di andarli a recuperare, magari li perdo e non li trovo più. Quindi il caos e l’anarchia sono le due cifre della mia napoletanità.
Ma anche la stratificazione, nel senso che Napoli è una città costruita non in orizzontale ma in verticale: ogni volta che è stata distrutta e ricostruita si è costruito sopra, lasciando dei pezzetti sotto. Ed è un po’ quello che accade nei nostri arrangiamenti: c’è questa costruzione verticale, quasi cerchiamo di innalzare il brano.
Ho letto tempo fa “Blindur ha incantato il mondo”, infatti vanti aperture molto importanti e collaborazioni immense, per citarne solo due Damien Rice e Sigur Rós. Tra tutte qual è stata la più importante a livello umano più che musicale?
Allora, sarà anche perché è una frequentazione che poi è diventata un’amicizia, quindi più duratura nel tempo, ma con Damien Rice è stato sicuramente un rapporto speciale. Ho imparato un sacco di cose da lui, stando con lui, guardandolo come professionista. Mi ha insegnato tanto. È una persona che non ha mai paura di condividere quello che fa, ha sempre una grande curiosità di mischiarsi con le altre persone e questa cosa mi sembra meravigliosa, una lezione enorme che mi ha consegnato.
Stessa cosa mi è capitata con J Mascis dei Dinosaur Jr. Me lo avevano raccontato come una persona inavvicinabile e invece si è creato subito un rapporto per cui sembravamo amici di vecchia data. Ed è anche il motivo per cui ha risposto senza esitare quando gli abbiamo chiesto di suonare un brano del nuovo disco.
Ma potrei citarti anche Niccolò Fabi, Cristina Donà, i Tre Allegri Ragazzi Morti che poi sono stati talmente accoglienti dei confronti di Blindur che da cinque anni a questa parte siamo con la loro etichetta. Di fatto sono tutte persone, prima che musicisti, che mi hanno guidato nel percorso di Blindur e che per fortuna ci sono ancora. Persone incrociate che sono rimaste.
Il brano di “Exit” a cui sei più legato?
Qual è il figlio a cui vuoi più bene, è difficilissimo. Nel senso che se lo chiedessi agli altri della band ognuno avrebbe la sua risposta prontissima. Io faccio un po’ di fatica, per vari motivi ce ne sono vari. Forse, se dovessi sceglierne una su tutte, credo che sia proprio “Exit”. Perché è venuta fuori come un fiume in piena, io sono stato totalmente travolto da quella canzone. Travolto nel vero senso della parola: il testo è brevissimo e mi è sembrato di aver detto veramente tutto quello che dovevo dire in quelle pochissime parole. È stato un esorcismo, un’esperienza molto profonda.
Invece quello che è stato più difficile creare?
Ce ne sono almeno un paio, forse mi verrebbe da dire “La casa degli spiriti”. È stato il più complicato perché da subito ci è sembrata una buona canzone e quando succede questa cosa si creano un sacco di aspettative. Quindi quando entri in studio sei lì a valutare ogni minima cosa, con timore di rovinarla. L’abbiamo registrata in sei versioni diverse, cambiando sei arrangiamenti in maniera radicale, fino a quando l’abbiamo poi riportata alle origini, quasi solo voce e pianoforte, e ci è sembrato tutto improvvisamente molto chiaro. È stato un lavoro di un anno e mezzo.
Hai calcato tanti palchi importanti, tanti riconoscimenti del tuo lavoro, ma se ci dovessi dire un sogno che Massimo vorrebbe realizzare?
In Italia mi piacerebbe riuscire a suonare in un bel teatro nella mia città, che è sempre un po’ matrigna. Sarebbe una grade soddisfazione per me e per i ragazzi con cui suono. Sarebbe un bel regalo. Forse mi piacerebbe anche Sanremo. Se dovessi volare più in alto, ma forse anche un po’ più in basso, vorrei recuperare il tour negli Stati Uniti che abbiamo perso per la pandemia.
Infine, tu sei un polistrumentista e mi incuriosiva sapere quale strumento ti rappresenta di più come persona.
Anche questa è una bella domanda perché io nasco pianista, eppure ci ho messo una vita a registrare un pianoforte su un mio disco del quale potessi dirmi soddisfatto. Questo perché col pianoforte ho sempre un rapporto di soggezione. Quindi devo dire che, nonostante non sia lo strumento che suono meglio, la chitarra è la cosa che lego di più al viaggio. Il viaggio per me è la cosa più importante della vita, quindi ti dico che la chitarra mi protegge e riesce ad accompagnarmi, non mi tradisce mai.
“Ora stasera mi saltano tutte le corde”, conclude ridendo.
TRACKLIST “EXIT”
- 540 bar
- Eclisse feat. Roberto Angelini
- Sereno
- Stati di agitazione feat. Rodrigo D’Erasmo
- La casa degli spiriti
- Mr. Happytime feat. J Mascis
- La festa della Luna feat. Monique Honeybird Mizrahi
- Secondo Giovanni
- Adesso
- Aar
- Exit
a cura di
Lara Melchionda
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