Quattro chiacchiere con Andrea Dodero: dal Sogno per il Cinema a Blocco 181!

Quattro chiacchiere con Andrea Dodero: dal Sogno per il Cinema a Blocco 181!
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Andrea Dodero è un giovane attore genovese, che, in queste ultime settimane, sta facendo parlare molto di sé per il suo ruolo in Blocco 181, la nuova Serie Tv Sky Original che lo vede protagonista, trasmessa ogni venerdì, dalle 21:15, su Sky Atlantic e in streaming su Now TV. Qui Andrea interpreta Mahdi, il Principe del Blocco, che, stanco di quel mondo, cercherà, con il tempo, di sottrarsi ad esso. Noi di “The Soundcheck” abbiamo avuto la fortuna di intervistarlo, e di porgli qualche domanda su questa nuova ed eccitante esperienza, che viene raccontata qui, in questo articolo! 

Ciao, Andrea, sono Maria Chiara Conforti, di “The Soundcheck”. Grazie per questa intervista e per il tempo che ci stai dedicando. Ho visto le prime due puntate di Blocco 181, la nuova Serie Tv di cui sei protagonista, che mi sono piaciute molto! Parto subito col chiederti, quindi, come ti senti per l’uscita di questa tua nuova serie. Sei emozionato?

Ciao, Maria Chiara. Parto subito col dirti che è un periodo molto intenso per me questo, tra la promozione di “Blocco 181″ ed altri progetti a cui sto lavorando. Devo mettere in fila una serie di cose, e ho molto, tuttora, da elaborare. “Blocco 181” è stata sicuramente l’esperienza più completa e complessa della mia vita.

Dell’uscita, che dire? Ho visto anch’io solo le prime due puntate, e sono emozionato per il rilascio. Come ogni esperienza nuova è difficile da decifrare. Non sono bravo a capire le cose in corso d’opera, come penso – spero – la maggior parte delle persone! E tutt’ora, con Blocco 181 siamo in corso d’opera, tra l’uscita e la promozione.

Per quanto mi riguarda, sto cercando di farmi toccare da tutti questi eventi, senza però nutrire aspettative di alcun tipo. La serie sta andando bene, sta piacendo, ed io ne sono molto contento! 

Questa è una delle tue prime grandi esperienze in ambito cinematografico. Ti volevo dunque chiedere com’è nato questo desiderio di recitare. È stato da sempre radicato in te, o si è sviluppato successivamente? 

È un sogno nato tanti anni fa.
Sono genovese, e ho frequentato, nella mia città, La Quinta Praticabile, che è sì una scuola di recitazione amatoriale, ma anche un qualcosa di più: un luogo di incontro tra persone meravigliose, adulti e bambini.
Da essa provengono tanti attori di spicco, come Francesco Patané e Giordana Faggiano, che hanno lavorato in ambito cinematografico e teatrale. Questa passione è sicuramente nata in quel periodo della mia vita.

Ho avuto, poi, una fase di “perdizione adolescenziale”, in cui ho messo da parte questo mio sogno, che però è riemerso in seguito ad una chiacchierata, con un mio amico, durante una serata. Io mi ero appena diplomato e facevo il pasticcere, all’epoca, ma non ero per niente soddisfatto della mia vita. A quella domanda, a quel “Perché non riprendi? Perché non vai a Roma?”, mi si è smosso qualcosa dentro. Così, con due soldi in tasca, ho fatto le valigie e sono partito, e da lì è nato questo mio percorso di quattro – quasi cinque – anni!

Inizialmente ho preso parte a piccoli ruoli, facendo tanti callback, come nel caso di “Non odiare”, il film di Mauro Mancini. Alla fine non venni scelto, ma Mauro mi richiamò, chiedendomi di andare a fare cinque pose, cinque giorni di lavoro. Da lì nacque tutto… .

Quell’anno, il famoso 2019 – che menziono molto spesso nelle interviste – entrai al Centro Sperimentale di Cinematografia e ottenni altri piccoli ruoli.
Piacevo. Non so perché piacessi, non lo dico per circostanza, non lo so davvero, ma mi chiamavano per piccole parti.

Questo fino alla nascita di “Blocco 181”, quando ho partecipato a sei mesi di provini ed a cinque callback, per ottenere la parte. Solo all’ultimo conobbi Laura ed Ale, e nacque quello che è stato – e quello che, di fatto, è – Blocco. 

È stata quindi un’esperienza diversa, che ha cambiato, in modo significativo, la tua vita?

Assolutamente. Come attore, ed in tanti piccoli aspetti, come ad esempio nella gestione dell’ansia sul set. Poi sai, avere anche la fortuna di lavorare 108 giorni su 124 di riprese ti fa capire tante cose di te stesso e del lavoro che ti accingi a fare in prima persona.

Per quanto una persona possa rimanere più o meno soddisfatta della sua prima esperienza importante sul set, inevitabilmente questa ti trasmette alcune certezze che vanno al di là della tua interpretazione. Certezze che mi sono portato dietro, anche per la realizzazione di un altro progetto, un’altra serie di Disney+, a cui ho partecipato come co-protagonista. 

Questa è un’altra domanda che volevo porti. Ne approfitto per fartela adesso! A cosa stai lavorando – e a cosa hai lavorato – in questo ultimo periodo? 

Ho preso parte a questo progetto in corsa, perché stavo girando ancora Blocco. La mia agente mi mandò Chiara Mocci, e riuscii a prendere parte ai provini di “The Good Mothers”, una serie tv di Disney+.
Girata da Julian Jarrold, regista meraviglioso (che ha diretto anche “The Crown” e “Becoming Jane”), e da Elisa Amoruso, “The Good Mothers” è una serie tv realizzata tutta in calabrese!

Ho vissuto, quindi, questa esperienza fantastica in Calabria, che, ormai, è – ahimè – quasi giunta al termine. Mi mancano, infatti, dieci giorni di riprese, da incastrare, in contemporanea, alla promozione di “Blocco 181”.
È sicuramente un periodo molto bello, per me, questo, anche se parecchio intenso! 

La realizzazione di “Blocco” e quella di “The Good Mothers” sono state due esperienze diverse, anche lavorativamente parlando? 

Sì, è stata un’esperienza diversa, anche perché sono due serie tv differenti tra loro. Innanzitutto per le storie che raccontano: “The Good Mothers” è ispirata ad un fatto di cronaca, un omicidio familiare portato avanti dalla ‘Ndrangheta, quello di Lea Garofalo, compiuto da Carlo Cosco e Carmine Venturino, il mio personaggio.

È stata realizzata tutta in calabrese, e per la parte mi sono dovuto preparare molto, con un mio collega e amico, Nicola Quaranta. 
È stato un lavoro lungo, e non ce l’avrei mai fatta senza di lui. Ho dovuto studiare a lungo la parlata, entrando in contatto anche con la popolazione locale e i luoghi stessi dove abbiamo effettuato le riprese. Abbiamo dovuto fare un grande lavoro vocale e fisico sul personaggio. 

Mentre “Blocco 181” ricorda un po’ “West Side Story”, e presenta personaggi immaginari, qui si parla di una vicenda delicata, realmente accaduta, tratta dall’omonimo bestseller di Alex Perry, che la Disney ha deciso di raccontare proprio qui, in Italia, con un cast interamente italiano. 

Ti è piaciuto recitare in “The Good Mothers”? 

Sì, mi sono divertito tanto. C’erano meno stress e molta più tranquillità, rispetto all’esperienza che ho vissuto sul set di “Blocco 181”. E il mestiere dell’attore – e la performance – riescono meglio quando sei sereno, perché il tuo corpo ti permette lavorare in modo più sciolto, interagendo in modo molto più interessante. 

Non che sul set di Blocco non mi sia divertito, ma è stata un’esperienza complessa, che ho vissuto in modo diverso. Mi sono sentito poco al centro delle cose, godendomele meno di quanto avrei voluto, cosa che ritengo fondamentale per qualsiasi esperienza che si ci accinge a fare! 

Volgiamo ora lo sguardo al Futuro. C’è qualche regista e attore in particolare, con cui ti piacerebbe lavorare? Ti piacerebbe fare un’esperienza anche all’estero? 

Certo, mi piacerebbe recitare all’estero! Sarebbe bellissimo lavorare con chi vedo recitare dietro lo schermo, in Sala, da spettatore. Ma questi, per ora, sono solo sogni, realizzabili, si spera, in futuro.

Un regista con cui mi piacerebbe fare un film è sicuramente Xavier Dolan, ora che il mercato estero si è aperto tantissimo ai prodotti italiani – penso ad esempio a “Fargo” – e agli attori della nostra penisola, che hanno preso parte a moltissime produzioni internazionali. Oggi le possibilità ci sono, grazie anche alle nuove piattaforme, e sono sicuramente molte di più, rispetto ad anche solo dieci anni fa! 

Oggigiorno c’è sicuramente una considerazione maggiore per prodotti cinematografici italiani, questo è un fatto. Qualche anno fa le case di produzione, per raccontare una storia in Italia, si sarebbero affidate a una troupe, a un cast, straniero (penso a film come “Il Nome della Rosa”, con Sean Connery, ad esempio). Ora, invece, trovo ci sia grande fiducia negli attori italiani. Per lo stesso “The Good Mothers”, feci  i provini con Julian, e sono certo che Julian, in primis, abbia voluto degli attori italiani per raccontare questa storia. 

Come vedi il futuro del Cinema e, in particolare, quello del Cinema italiano? 

Come vedo il Cinema nel Futuro? Ne parlavo giusto ieri sera con un mio amico al telefono. C’è un suo pensiero che mi ha particolarmente colpito, e che mi sento di condividere, perché trovo molto vero. 

Nicola, questo mio amico, mi ha detto: “Io mi ricordavo i film visti in Sala. Non riesco invece a ricordarmi dei film – e del momento stesso in cui li vedo – quando li guardo a casa, su Netflix. È inevitabile, me li dimentico.”. 

Penso che il Cinema sia un gesto d’amore.
Andare al Cinema è un gesto d’amore. 

È un’esperienza che va oltre, che ti lascia davvero qualcosa. Ti ricordi gli odori, quella leggera fragranza di pop-corn caldi, che aleggia nell’aria. La sala, in cui le pellicole vengono proiettate. L’eccitazione che ti prende, nel momento esatto in cui le luci si spengono.
Io rammento film del 2011, anche di poco spessore, come “Killer Elite”, con Robert De Niro. Ma il punto è che me li ricordo. Mi ricordo le sensazioni di quando sono uscito dalla sala, dopo la proiezione, e ciò che quel momento ha saputo regalarmi. 

Tutto questo si perde.
Tutto questo si è perso, con l’arrivo delle piattaforme streaming
, che sono utilissime, soprattutto per noi attori, poiché ci hanno fornito la possibilità di realizzare molti più progetti. Tuttavia, la visione di un film su piattaforma è un momento che non rimane più nella memoria emotiva delle persone, ma scompare velocemente, senza lasciar traccia di sé. Per noi è così. 

I cinema sono sempre meno frequentati, ed è molto triste realizzare tutto questo. Non trovi più, andando in sala, 200 persone che, armate di pop-corn e Coca-Cola, piangono, ridono, o si spaventano, nel caso di un film horror. Questa penso sia una grave perdita. 

Non so come sarà, un domani, il Cinema italiano.
Ci sono film, che sicuramente appartengono alla nuova storia cinematografica del nostro Paese, realizzati, a mio avviso, forse in maniera un po’ pretenziosa, con il desiderio di produrre, per forza, qualcosa di diverso. Ciò, secondo me, ha fatto sì che venisse meno quella voglia di raccontare tutte quelle storie che affondano le proprie radici nella nostra cultura. Per quanto mi riguarda, per lo meno, “America Latina”, “Freaks Out”, e tanti altri film prodotti recentemente, non fanno parte di quel bagaglio culturale che mi porto dietro. 

Ti faccio ora qualche domanda su Blocco 181, serie in cui interpreti uno dei protagonisti, Mahdi. Com’è stato vivere, in prima persona, questa esperienza?

È stata un’esperienza diversa da come me l’ero figurata.
Si è sempre parlato, con i registi e con il cast, in preparazione a ciò che volevamo raccontare, di “Blocco 181”, come di una favola iperrealista.

Dietro questa storia c’è sicuramente una Milano realmente esistente, un contesto effettivamente riscontrabile nella realtà: quello della criminalità e del coca delivery. Ma i personaggi e le loro storie sono fittizi, non trovano fondamento nella realtà. 

Potremmo definire Blocco 181 una serie tv a metà tra “West Side Story” e “Narcos”, ambientata in una Milano nascosta, dove traffici di droga e criminalità si svolgono nell’ombra. Ci sono due gruppi contrapposti: la Misa e il Blocco. Com’è stato far parte del Blocco (a livello fittizio, ovviamente)? 

Io ho lavorato di più sull’opposto, sul contrario, ovvero sulla volontà di distaccarmi da esso. Questo perché il mio personaggio è un po’ il Principe del Blocco, in quanto nipote di chi lo amministra, Nicola Rizzo. Ho cercato di concentrarmi su questa opposizione, sulla volontà di andarmene, fin dall’inizio. È un’opposizione inconscia, che Mahdi cela dentro.

Tutto questo prima di conoscere il personaggio di Bea, che rappresenterà quel traino che porterà Mahdi e Ludo ad uscire dal Blocco. Nelle movenze, nel lavoro compiuto dal mio personaggio all’interno di questa realtà, in tutto quello che è Mahdi all’interno del Blocco, ho cercato, pertanto, di far intravvedere un po’ di insoddisfazione e di irrequietezza. Questo perché non credo che Mahdi si senta davvero parte di esso! 

Com’è stato lavorare tecnicamente per me, Andrea, con tutti loro?
Sono stati bravi i registi, che ci hanno gestito separatamente. Giuseppe Capotondi, Ciro Visco e Matteo Bonifazio sono infatti riusciti a far nascere spontaneamente il rapporto tra i tre, tra Mahdi, Ludo e Bea, facendo però lavorare separatamente i due gruppi, quello dei misanderos e dei ragazzi del Blocco, creando una vera e propria barriera e alimentando quel senso di divisione che sta alla base del loro rapporto.

Ogni mattina arrivavi in produzione, su a Milano, e trovavi da una parte il gruppo della Misa, e dall’altra noi del Blocco. I misanderos presentano, in realtà, molte più scene corali rispetto ai personaggi che fanno parte del Blocco, ed hanno dunque provato molto di più tutti insieme, rispetto a noi. 

Con il resto del cast come ti sei trovato? 

Molto bene. Ho trascorso molto tempo soprattutto con Laura ed Ale, ma ho lavorato tanto anche con Alessio Praticò, che interpreta mio zio nella serie, e con Alessandro Tedeschi, con cui ho girato qualche scena.

Come ti ho già detto, però, ero così carico di aspettative che solo dopo mesi sono riuscito a farmi toccare da questa esperienza, totalmente nuova per me. Ciononostante, essa mi ha lasciato davvero tanto, anche a livello lavorativo e professionale! È stata sicuramente l’esperienza più completa e complessa della mia vita, e me la porterò dentro per sempre. 

Parlando di Mahdi, il personaggio che interpreti nella serie, Ludo afferma più volte, nel corso delle prime due puntate, quanto sia diverso da tutti gli altri componenti del Blocco. Ti chiedo quindi di rivelarci qualcosa in più sul tuo personaggio, fornendo una sorta di presentazione, per chi si approccia alla serie. 

Come ti ho detto prima, ho cercato di lavorare esattamente sull’opposto.
All’inizio mi ero immaginato Mahdi come un personaggio molto più violento, nelle parole e nei gesti. Un ragazzo più deciso e più secco.

In realtà poi, lavorando con Laura, ho capito che così facendo sarei sembrato agli occhi di Bea, il suo personaggio, una figura molto vicina alla sua realtà e a suo fratello, o al secundero, Victor, un personaggio molto aggressivo. Ho quindi cercato di lavorare sulla dolcezza.
Se dovessi, dunque, definire il mio personaggio con due aggettivi, direi che Mahdi è un ragazzo dolce e sensibile.

Egli è molto attento anche a tutte quelle questioni del Blocco che non sono di sua competenza, di cui non dovrebbe farsi carico e di cui non gli dovrebbe importare.

Un esempio è quando Mahdi assiste all’episodio di violenza domestica nel condominio di fianco, che va successivamente a riferire suo zio. Rizzo gli risponde, però, che finché i pagamenti degli affitti arriveranno puntuali, la cosa non li dovrà mai riguardare.

Rizzo è un personaggio molto importante e molto distante da quello di Mahdi. Ciò emerge, in modo chiaro, nel dialogo con Lorenzo (Alessandro Tedeschi) dove lo zio di Mahdi esprime tutto l’amore che prova per il Blocco. Amore che in realtà si fonda su motivazioni prettamente economiche. Infatti, non c’è un affetto reale nei confronti di questa realtà, ma il sentimento provato da Rizzo nei confronti di essa è dettato esclusivamente dalla sua sete di potere. 

Mahdi è dunque l’unico che nutre in sé il desiderio, sincero e disinteressato, di aiutare le persone all’interno del Blocco. Un altro esempio è quando il ragazzo affitta l’appartamento, e nel farlo si preoccupa per la ragazza, a cui dà dei soldi e che esorta a contattarlo, in caso di problemi. Anche in questo caso Mahdi si preoccupa realmente, cosa che Rizzo non avrebbe mai fatto. La sua debolezza è, però, questo attaccamento incondizionato nei confronti dello zio, rapporto che cambierà, nel corso delle puntate, quando Mahdi capirà di non dovergli davvero nulla. 

Il tuo personaggio ha una serie di rapporti molto importanti per lui. Quello con lo zio, di cui hai appena parlato, e quello con Ludo e Bea, un legame complesso, sia amoroso che lavorativo. C’è dunque un vero e proprio ménage à trois tra i tre protagonisti, che rappresenta sicuramente un qualcosa di nuovo e di estraneo alla tradizione italiana. Vedere questo rapporto in una produzione del nostro Paese è una novità, non tanto per noi, quanto per i nostri genitori. Parlami un po’ di questo rapporto. 

Per rispondere a questa domanda, utilizzo le parole di Alessandro Tedeschi, che ha definito questo tipo di rapporto, descrivendo al contempo anche il suo personaggio, quello di Snake e quello di Rizzo.
“Questa è una storia che parla di tre giovani che cercano il proprio posto nel mondo, e di tre “vecchi”, che cercano di restare aggrappati al loro”.

Penso che questa frase racchiuda un po’ tutto, e risponda alla tua domanda. In Mahdi, come in Bea e Ludo, c’è la volontà di cercare qualcosa di diverso da ciò che hanno sempre avuto. All’inizio il mio personaggio non riesce a scorgere tutto questo, ma sarà l’incontro con gli altri due a far scattare qualcosa in lui.

In Bea e Ludo, Mahdi vedrà qualcosa di nuovo, una Famiglia. La possibilità di creare qualcosa di nuovo, al di fuori di tutto quel marciume, dov’è cresciuto. 
E se questo tipo di rapporto a tre, che esiste e basta, funziona, è perché esso si fonda su questa volontà di andarsene, e non di raccontare un rapporto sentimentale e sessuale, come pensano in molti.

Questi tre ragazzi sono giovani, e insieme appaiono ai nostri occhi ancora più giovani, quasi dei bambini. Essi si vogliono bene e trovano un legame tra di loro, onesto e puro. Un legame che non ha nulla di marcio e di saturo, come risulta essere invece l’ambiente in cui hanno vissuto per tutto quel tempo.

Lo stesso Ludo, che proviene da un mondo borghese e agiato (rispetto a quello degli altri due), nasconde traumi profondi. I suoi genitori sono assenti, la sorella vive in un reparto di psichiatria, abbandonata anche lei dai genitori. Anche Ludo cela, quindi, un profondo senso di inadeguatezza. Questo è sicuramente un punto che accomuna tutti e tre: la volontà di cambiare la propria vita. Nel caso di Ludo, ciò che cambia è il background. Egli è un personaggio più speranzoso nei confronti della vita, molto più ottimista, rispetto al mio personaggio e a Bea. 

Per gioco, durante le riprese, abbiamo definito ogni personaggio con uno degli elementi: Mahdi è Terra, Bea è fuoco e Ludo è acqua. Lo abbiamo fatto così, per divertimento, nonostante ciò rappresenti davvero questi tre personaggi. Laura è decisa, focosa, ha una ferrea determinazione e va contro il segundero, Victor, che fa le veci di suo fratello. Il mio personaggio, al contrario, è molto più attaccato alla sua realtà, e non riesce a staccarsene, nonostante sia insoddisfatto. È un personaggio molto più debole e cinico. 

L’altro rapporto importante è quello con Rizzo, lo zio. Qual è tuo punto di vista riguardo al legame che intercorre tra questi due personaggi

Trovo che Alessio Praticò abbia svolto un lavoro egregio sul set. Il personaggio di Rizzo è davvero scaltro, un gran manipolatore. Nelle prima puntate questo aspetto non emerge più di tanto, ma quando Mahdi inizierà a manifestare insoddisfazione, Rizzo porterà avanti un gioco diverso, facendo leva sul legame che c’è tra i due.

Lo zio gli ricorderà tutto quello che ha fatto per lui e come sia diventato per il ragazzo una figura paterna, poiché il vero padre di Mahdi è in carcere. 
Rizzo cercherà di entrare nella memoria emotiva del ragazzo, attuando una vera e propria tattica di manipolazione, fino a quando si verificherà il momento di rottura totale tra i due. 

Sempre rimanendo in tema di rapporti, penso sia interessante parlare di legami di sangue e di fratellanza, presenti all’interno delle organizzazioni criminali. Rapporti che ritroviamo anche nelle realtà della Misa e del Blocco: qui vigono profondi legami di sangue, a cui i membri di questi due gruppi rimangono molto attaccati, e un vincolo di fratellanza, che si fonda su forte senso di appartenenza. Facendo riferimento in primis alla serie, qual è in questo caso la tua lettura? 

Credo che l’importanza dei legami di sangue sia riconducibile maggiormente alla Misa. Infatti, le bande latinoamericane pongono al centro di tutto i legami familiari e, presso di loro, vige una vera e propria gerarchia, fondata su questo tipo di rapporto. Anche le figure del palabrero e del segundero sono realmente esistenti. Questi legami portano queste bande ad estraniarsi da tutto il resto, creando una dimensione esclusivamente latinoamericana. 

Si parla invece di fratellanza non consanguinea, per chi fa parte del Blocco. Anche questo è un fatto documentaristico: se ti rechi dove abbiamo effettuato le riprese, nella parte più dismessa della Barona, ti accorgi di quanto questo ambiente costituisca una realtà a sé stante!

Qui non esistono chiese, e nemmeno supermercati. Le persone vivono questa realtà come l’unica esistente e si aiutano quindi inevitabilmente tra di loro. Si fanno la spesa a vicenda; c’è un luogo, con una Madonnina, dove gli abitanti del posto si recano per pregare. Si conoscono tutti, andando a costituire una sorta di grande paese, all’interno della città. È una zona abbandonata a se stessa: c’è solo un autobus che passa, ogni tanto, ma nessuno esce mai dal quartiere. 

La stessa cosa accade a Roma, dove esistono veri e propri Blocchi, le città fantasma, fuori dal raccordo. Ci sono interi quartieri, paesi e città, autogestiti, spesso dalla criminalità locale. Questo perché, laddove lo Stato non interviene con aiuti, subentrano di fatto altri soggetti, che si sostituiscono ad esso. I cittadini, a loro volta, si legano, di fatto, a questa realtà differente e non rispettano ciò che è al di fuori di essa, perché si identificano solo con questa dimensione. 

C’è un altro personaggio della serie, oltre al tuo, che ti ha profondamente colpito? 

Sicuramente Lorenzo, il personaggio interpretato da Alessandro Tedeschi.

Egli è il boss, colui che è a capo del traffico di droga, il socio di Snake. Lorenzo compirà un lungo percorso durante la serie, un percorso che pochi personaggi faranno! Io ho doppiato una scena con lui, e sono molto legato ad Alessandro, che reputo un attore straordinario.

Ti dirò di più, percepisco una connessione maggiore con il personaggio di Lorenzo, che con Mahdi. Il rapporto che ho con il mio personaggio è, infatti, complesso, forse dovuto anche a come ho vissuto la mia esperienza di “Blocco 181” e di come ho approcciato con Mahdi stesso, con la sua storia e le scelte che farà.

Tra Mahdi e Carmine, il personaggio ‘ndranghetista che interpreto in “The Good Mothers”, mi sento più legato a quest’ultimo. Di Carmine mi porto a dietro tutto: una serie di fragilità, di debolezze e vigliaccherie, che lo rendono un personaggio che sento profondamente mio. 

Perché consiglieresti Blocco 181 ai telespettatori? 

Ti risponderò in maniera molto onesta.
Perché non consigliarlo? Credo che il Cinema sia, alla fine, una questione di soggettività, ed un prodotto possa piacere o meno, in base al gusto di chi guarda.

Mi stanno, inoltre, scrivendo tante persone, ed alcune hanno sottolineato come Blocco 181 stia raccontando aspetti e realtà della loro vita. Penso che ciò racchiuda tutta la magia di questo mestiere, l’unica prerogativa di cui un attore ed un’attrice si dovrebbero preoccupare: riuscire a trasmettere, attraverso la propria Arte, qualcosa al pubblico. 

Consiglio quindi Blocco perché spero che una persona, approcciandosi ad esso, possa porsi delle domande, rispecchiarsi in qualche aspetto presente nella serie, o anche solo divertirsi, dimenticandosi, per qualche ora, di tutte le sue ansie e preoccupazioni. Aspetto che reputo essere, forse, la principale funzione del nostro mestiere. 

A cura di
Maria Chiara Conforti

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Maria Chiara Conforti

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