Un giorno con la Croce Rossa – Comitato di Sassuolo “Traporti Covid”

Un giorno con la Croce Rossa – Comitato di Sassuolo “Traporti Covid”
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Li avevamo conosciuti a Maggio, durante la prima ondata della Pandemia, parliamo della Croce Rossa Italiana – Comitato di Sassuolo.

Nel nostro incontro ci avevano illustrato i servizi meno conosciuti, ma non meno importanti, che l’associazione di volontari offre, oltre a quello di ambulanza e di soccorso.

 Nello specifico avevamo trascorso un pomeriggio svolgendo l’attività del “Pronto Spesa e Pronto Farmaco”. Uno strumento molto importante che la CRI mette a disposizione per le persone sole o che hanno difficoltà a procurarsi la spesa o le medicine. Per tutti coloro i quali non possono uscire di casa per problemi di deambulazione, patologie ed altri motivi.

Questa volta abbiamo voluto far conoscere un altro servizio della Croce Rossa di Sassuolo chiamato “Traporto Covid”.

Traporto Covid: di cosa si tratta

Si tratta di un servizio sanitario composto da cinque ambulanze e la Croce Rossa di Sassuolo, impegnata con un mezzo. Fanno la spola sul territorio della provincia di Modena per smistare da un ospedale all’altro pazienti Covid, a seconda dell’impegno dei posti liberi nelle varie strutture.

Ci viene concesso di partecipare ad un trasporto pomeridiano all’interno di un turno. Arrivato in sede, dopo pochi minuti, arriva il mio equipaggio: Fabiano, un bel ragazzotto sugli anta, e Giulia una giovane ragazza poco più che ventenne. Sono appena tornati dalla bonifica, più avanti vedremo che cos’è.  

La vestizione

Dopo le presentazioni siamo pronti per partire, ma prima c’è la fase di protezione dal covid. Comincia la “vestizione”, quella che ormai siamo purtroppo abituati a vedere da troppo tempo sui TG. Anche se non avrò un ruolo operativo durante il trasporto, è necessario che indossi anche io le stesse loro protezioni. E qui comincia il bello, chiamiamolo così.

Si parte dalla tuta. Aiutato da Giulia riesco ad infilarmela prima dai piedi per poi passare alle braccia. Ho una doppia mascherina, sotto ffp2 e sopra chirurgica. Ora è la volta dei calzari, poi cappuccio in testa con un elastico. Rimangono fuori si e no gli occhi. Poi è la volta dei guanti che ti arrivano all’avambraccio.

Infine si passa alla fase di chiusura: cerniera fino al collo e via con la banda adesiva da coprire la cerniera. Sono immobilizzato ma sono pronto. Ah no, manca ancora qualcosa la visiera.

La prima cosa che mi viene da dire è: ma come fate a lavorare così?

Sono “bardato” da neanche cinque minuti e mi sembra di essere dentro ad una lavatrice senza aria, a guardare fuori attraverso l’oblò. Ma non c’è tempo per le chiacchiere, o meglio possiamo farle sull’ autoambulanza durante il trasporto.

Si parte

Fabiano si mette alla guida e Giulia all’interno della lettiga, con la mia reflex a tracolla mi siedo di fianco a Fabiano. Giusto il tempo di “bussare” dietro e chiedere a Giulia se è tutto ok e si parte.

Chiedo a Fabiano dove stiamo andando. Mi risponde che ci stiamo recando al P.S. di Sassuolo per un ricovero di un covid positivo.

Verrà ricoverato nel reparto di malattie infettive al policlinico di Modena. Ci dicono che probabilmente il paziente è in uno stato avanzato e viene trasferito in un reparto più operativo.

Fabiano mi spiega che adesso ci sono cinque ambulanze a diposizione per questi trasporti. Prima si lavorava dalle 8 del mattino alle 20 di sera mediamente, mentre adesso in H24 e che i loro turni sono solo, soltanto Covid.

Il tono che usa per dirmi quel “solo soltanto Covid” mi fa capire quanto sia pesante per tutti, ma soprattutto  per loro operatori, questa situazione di emergenza.

Fabiano aggiunge che proprio in mattinata erano stati nel Hub inaugurato presso RSA di Soliera, (Comune nel Modenese) perché quello di Novi (altro comune Modenese) aperto tre settimane fa era già pieno.

Mi viene da chiedere se allora in questa seconda ondata ci siano più casi rispetto alla prima, visto che non si riesce a star dietro ai numeri dei posti letto.

Fabiano mi risponde che quello che li mette in difficoltà è la tracciatura, perché i focolai sono sparsi e si attivano in un secondo. La loro problematica sta lì.

L’arrivo al Pronto Soccorso: il primo trasporto

Intanto siamo arrivati al P.S. di Sassuolo dentro, dove arrivano le ambulanze. Il mio istinto sarebbe quello di scendere ed iniziare a fare il mio “fotografare” ma Fabiano mi dice “aspetta pure lì che noi dobbiamo caricare”, e chiude lo sportello.

Senza discutere cerco di scattare qualche foto dal vetro che separa l’abitacolo dal resto dell’ambulanza, con una visiera che mi si appanna, ed un cappuccio in testa che appena mi muovo mi copre gli occhi. E intanto penso a loro che in queste condizioni lavorano sulla vita delle persone.

Mentre mi guardo intorno mi vengono in mente i numeri del bollettino dei nuovi contagiati, dei nuovi decessi e dei ricoveri che ogni sera ormai sono entrati nel nostro quotidiano.

Anche se a volte sembrano solo numeri virtuali, qui ti arriva dritto nello stomaco che quei numeri sono persone, come me, come te, e proprio uno di quei numeri lo stanno caricando dietro, su una barella e con una bombola d’ossigeno.

Fabiano sale alla guida, un cenno a Giulia – che è dietro col paziente – per sapere se è tutto ok e si parte. Una telefonata alla centrale per avvisare che è iniziato il trasporto e che ci stiamo dirigendo verso il Policlinico di Modena.

La gestione dei trasporti speciali

Fabiano mi spiega il funzionamento di questa gestione di trasporti speciali, dicendomi che ci sono due persone: una che prende le richieste dai presidi ospedalieri e fa l’elaborazione della richiesta (parliamo sempre di covid) e l’altra che si occupa della logistica del trasporto, a seconda della distanza, dei tempi di arrivo o dell’ambulanza più vicina. Tutte collegate in rete fra loro.

Questi servizi vengono gestiti come servizi secondari dalla Centrale Trasporti Interospedalieri (COSMO) e vanno da ospedale ad ospedale.

Il Servizio di Emergenza Territoriale 118 (SET) invece svolge il compito di emergenza e soccorso e va da territorio ad ospedale e da ospedale a territorio, con la differenza sostanziale che il trasporto che stiamo facendo noi, non ha bisogno di rilevare la base di conoscenza del paziente. E’ già stata rilevata. Invece, nel servizio primario di emergenza devi rilevare la situazione per gestire il soccorso e dare i dati al pronto soccorso.

Una volta” dice Fabiano, “riuscivi a programmare questi trasporti speciali, ma adesso in periodo di emergenza sanitaria ce n’è uno dietro l’altro“.

Fabiano e il Covid

Mentre continuiamo il nostro percorso, Fabiano si lascia andare e mi racconta quando lui stesso è stato colpito dal virus.

“Io e il Covid abbiamo una sorta di conflitto tra anima e personalità” per lui è diventata una guerra, dice che vinceremo “è solo una questione di tempo”.

Mi racconta i suoi undici giorni passati in ospedale: “io ho provato sulla mia pelle 48 ore con il casco in testa a 24 litri al minuto, e quando sento dire ma dai è solo una banale influenza… bip”.

Gli chiedo se ha paura del lavoro che svolge, nonostante lui sia già stato contagiato, mi risponde che ha più paura quando non lavora.

“Qui abbiamo tutte le protezioni e non abbassiamo mai la guardia” e continua con “non c’è posto per la paura nel nostro lavoro. La paura fa fare errori che noi non possiamo permetterci”.

L’arrivo al Policlinico di Modena

Arriviamo al Policlinico che sono circa le 17 ci dirigiamo verso il padiglione di malattie infettive. Giù in retromarcia, la barella con il paziente viene scaricata dall’ambulanza e Fabiano la parcheggia fuori dal padiglione.

Ecco, adesso puoi scendere” mi dice, “vado giù ad aiutare Giulia”. Ok, dico io, mentre provo a scendere dai gradini dell’ambulanza senza ammazzarmi. Ti devi ricordare che ai piedi hai della plastica e si scivola, quella tuta che prima ti faceva morire di caldo.

Pensa d’estate con 40 gradi” parole di Fabiano. Adesso ti fa la reazione opposta hai un freddo bestia. Una controllata al cellulare, una sigaretta mentre scatto qualche foto ed eccoli che tornano spingendo la barella su per la rampa.

Prima di caricarla comincia la fase di sanificazione: Giulia spruzza disinfettante su ogni centimetro dell’ambulanza e finalmente si può caricare la barella, anche lei sanificata.

Finalmente anche i ragazzi si prendono cinque minuti di relax, ma neanche a dirlo che Fabiano riceve una telefonata dalla centrale: ci sarebbe da andare a prendere un altro paziente.

Il loro turno cominciato alle 7:30 del mattino sarebbe già finito, il trasporto appena concluso è stato fatto in più per darmi la possibilità di fare il servizio, ma loro sono CRI. Si consultano cinque secondi: “Giulia cosa facciamo? Arriviamo a casa tardi però” e Giulia “se è da fare è da fare” e via di nuovo a bordo, controlliamo l’indirizzo sul navigatore e si parte.

Direzione Corlo (Comune di Modena)

Siamo di nuovo in strada e andiamo a prendere a casa un signore positivo al covid, che deve recarsi al P.S. di Sassuolo e non lo può fare chiamando un taxi, ma ha bisogno di un trasporto “speciale”.

Mi viene da dire a Fabiano che loro non finiscono mai di lavorare, mi spiega che lui e Giulia sono dipendenti dell’associazione.

Oltre al normale orario di lavoro, viene pagata un’ora di straordinario tutto il resto è volontariato: “qui di solito si fanno dalle 10 alle 12 ore a volte anche 14 mia moglie mi dice ma perché non vai a fare il fisioterapista? Io sono anche fisioterapista, con uno stipendio più alto e un orario diverso? Le rispondo che amo troppo il mio lavoro e non potrei fare altro”

Nelle sue parole, nel tono della sua voce traspare l’amore e l’orgoglio di portare sulla sua divisa, l’emblema della Croce Rossa.

E’ strano, o forse no, ma tutte le persone di Croce Rossa con cui ho parlato fino adesso, sembrano la stessa persona, cambiano i volti, il sesso, l’età, ma il significato ed il peso delle loro parole sono gli stessi.

Gli aneddoti di Fabiano

Fabiano mi racconta alcuni aneddoti durante i loro turni “quella volta che ci siamo fermati in gelateria, c’era un caldo bestia e abbiamo preso un gelato, vado per pagare ed una coppia di ragazzi avevano già pagato per noi, ma no dai dico io, e loro mi rispondono no scherzi? Grazie per quello che fate sono queste cosi qui, capisci? Che ti fanno andare avanti, non lo stipendio”.

Continua dicendomi che si vedono anche delle scene strazianti “abbiamo portato via la settima scorsa un signore che è stato due settimane ricoverato, di quei ricoveri belli pesi, e quando è arrivato a casa ha abbracciato sua moglie sulle scale ed ha iniziato a piangere, sia lui che sua moglie, io mi ero immagonato, e la mia collega la Giulia piangeva”.

Dalle sue parole capisco che nonostante ne vedano tutti i giorni, e forse un po’ ci si abitua, alla fine è impossibile estraniarsi completamente dalle emozioni delle persone che aiuti, condividerle forse è questa la benzina che li fa andare avanti.

Mentre faccio le mie riflessioni mentali Fabiano chiede conferma a Giulia per il numero civico dell’abitazione del paziente, sbagliare indirizzo e suonare alla porta di un’altra persona conciati così non è il massimo. Chi ti apre la porta rischia l’infarto. Allora bussa nel retro dell’ambulanza la chiama ma lei non risponde.

Giulia ventiduenne, è una macchina da guerra instancabile, ma dopo un turno di dieci e passa inizia anche lei ad accusare la stanchezza e si è appisolata.

Ci credo, è un’ora e mezza che indosso questa tuta seduto qui a far niente e mi sembra di aver fatto un’ora di palestra. Non posso nemmeno immaginare come si sentano loro.

Alla fine, dopo ripetute bussate, si sveglia e conferma l’indirizzo. Ormai siamo prossimi al domicilio.

Accostiamo e Mario (nome di fantasia) è sulla porta che ci aspetta, il tempo di farlo salire di comunicare con la centrale e ci dirigiamo verso il P.S. di Sassuolo. Il tragitto è breve, in un attimo arriviamo e consegniamo il paziente agli infermieri del P.S. ed il nostro turno è finito.

La Bonifica

Dopo l’ultimo servizio sinceramente credevo che fosse tutto finito lì. Invece no. Rimane da fare l’ultima cosa importantissima la bonifica del mezzo e dell’equipaggio.

Vi ricordate quando all’inizio l’ho nominata e vi ho detto la vedremo dopo? Bene, ora ci siamo.

Ci dirigiamo verso una zona adibita a questo scopo che, per darvi l’idea, sembra uno di quei lavaggi a gettoni con le pulivapor. E, proprio come un lavaggio, c’è la fila.

Sembra in un sabato di inizio primavera quando tutti corrono a fare lavare la macchina per poi andare a sfilare al bar, e ti trovi infognato in mezzo al caos.

Visto l’orario, sono le 18:30, e come ho detto c’è la fila, Giulia (geniale) propone, o meglio ordina di andarcene e di chiamare dentro la sede della CRI “digli che accendano la macchina e la bonifica la facciamo noi”.

Così è, e al nostro arrivo i ragazzi della CRI sono già pronti con tutto il necessario, Fabiano chiede: “Giulia vuoi che faccio io?” e lei risponde “no no faccio io”, le sono bastati quei dieci minuti in cui si è appisolata ed è già pronta carica come nulla fosse.

Si comincia dal mezzo, poi sulle tute, ci si spoglia (è un’impresa anche quella) poi sui vestiti e finisce la bonifica.

Adesso che anche Giulia si sveste sì che è finito davvero il turno. Io mi accendo una sigaretta e vedo i ragazzi che mi vengono incontro per gli ultimi saluti e chiedo: “andate a casa finalmente?”

“No andiamo a far gasolio all’ambulanza perché è in riserva così domani chi la usa è già a posto” ma porca vacca penso io, che gente questi della Croce Rossa.

Il Presidente di CRI – Comitato di Sassuolo Carlo Albero Venturelli

Finita la mia esperienza con il traporto covid mi trattengo in sede a fare una chiacchierata con il Presidente di Croce Rossa Italiana – Comitato di Sassuolo Carlo Alberto Venturelli.

Dopo i ringraziamenti per l’opportunità che ci ha concesso e le mie impressioni a caldo sul trasporto covid, chiedo ad Alberto come la Croce Rossa ha affrontato questa emergenza, e se è cambiato qualcosa dalla prima ondata alla seconda, nel gestirla. Ecco cosa mi risponde.

Come Croce Rossa ha affrontato l’emergenza

“Croce Rossa è entrata a piedi pari in questa pandemia. Noi siamo abituati alle emergenze anche se normalmente sono concentrate in un unico punto. Magari un terremoto prende una zona più estesa, ma rimane sempre un unico punto e i soccorsi, gli aiuti, convergono in un unico settore.

Ci siamo trovati impreparati anche se la Croce Rossa è preparata, sull’ambulanza abbiamo sempre avuto il kit di bio contenimento. Ti puoi trovare davanti ad un caso di tubercolosi ma è comunque concentrato lì.

In questo caso, visto che il “punto” alla fine era tutto il paese, se non tutto il mondo, la prima settimana è stata dura. Non sapevamo le procedure che già conosciamo, in che necessità di urgenza metterle in atto.

Si capiva ma non si capiva allo stesso tempo, ed è per questo che nella prima settimana, me compreso, insieme ad altri ci siamo contagiati. Ancora non c’era chiarezza su quali servizi continuare a svolgere e quali no per limitare il rischio.

Passata una settimana, iniziando a mettere in pratica quelle procedure già consolidate, ma che non sono mai state usate dai volontari se non dal personale che gestisce le emergenze, le cose sono cambiate.

Anche se abbiamo dovuto rinunciare a molti servizi che svolgiamo, passata la prima settimana è stato tutto molto facile, siamo arrivati così a maggio e l’igiene pubblica ci diceva: preparatevi che a giugno ci sarà il secondo picco.

In realtà così non è stato.

Giugno e la fine dell’estate

I sacrifici fatti, anche economici, e le chiusure hanno dato i loro frutti, poi a giugno con le riaperture tra regioni e ancora di più verso l’estero ci siamo ritrovati a settembre con la crescita dei nuovi contagi e adesso con questi numeri davvero elevati che iniziano a saturare la sanità pubblica, in questa seconda ondata riusciamo ad aggredire prima il virus.

Per noi di Croce Rossa lo stato di allerta e i nostri protocolli di sicurezza sono rimasti invariati quelli del 15 Marzo, diciamo che oggi abbiamo qualche strumento in più che ci permette di lavorare meglio.

Ti faccio un esempio: prima la sanificazione veniva fatta con il cloro, adesso abbiamo metodi più incisivi, meno dannosi e più sicuri, abbiamo riattivato delle attività che erano ferme.

Tipo “Il mondo con i miei occhi”, un’attività scolastica con i bambini. Viene svolta con protocolli di sicurezza con poche unità in zone separate, insomma Croce Rossa c’è!”

L’emblema della Croce Rossa

Finite le parole con Carlo Alberto, prima di lasciarci, fa un regalo a noi di The Soundcheck.

Un omaggio che ci fa molto piacere ricevere e ci rende pieni di orgoglio, soprattutto adesso, che sappiamo sempre di più cosa ci sia dietro e dentro ad una divisa della Croce Rossa e di tutte le attività che svolgono per il bene della collettività.

Ci viene donato il loro emblema!

Lo porteremo sempre nei nostri cuori, grazie ragazzi per tutto quello che fate.

a cura di
Enrico Ballestrazzi

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Enrico Ballestrazzi

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