The Boys in the Band e l’amore per i dialoghi
The Boys in the Band è quel genere di film che nel 2020 non dovrebbe fare scalpore, ma invece fa ancora rumore.
La pellicola diretta da Joe Mantello (prodotta anche da Ryan Murphy) è l’adattamento dell’opera teatrale di Mart Crowley del 1968.
La pièce del 1968 è stata una vera e propria opera di rivoluzione, dramma ambientato nell’Upper East Side, che vede come protagonisti un gruppo di uomini omosessuali alle prese con i problemi e i conflitti che all’epoca dovevano affrontare.
La vera rivoluzione è stata proprio mettere in scena, per la prima volta, senza censure, dinamiche e difficoltà di una comunità che, fino ad allora era rimasta solo parte dello sfondo della società.
The Boys in The Band, disponibile su Netflix, è anche una riedizione del film “Festa per il compleanno del mio caro amico Harold” del 1970.
Di cosa parla The Boys in the Band?
La trama della pellicola ruota attorno ad una festa di compleanno finita nel peggiore dei modi, o quasi.
Siamo a Manhattan nel 1968, dove i nostri protagonisti conducono le loro vite tra corteggiamenti, lavoro e problemi quotidiani. Nel frattempo, durante la giornata è in corso l’organizzazione della festa di compleanno di Harold (Zachary Quinto) nell’appartamento di Michael (Jim Parsons).
Cosa potrebbe andare mai storto durante una festa di compleanno?
Provate a mettere insieme nello stesso appartamento, un gruppo di amici omosessuali, con tante insicurezze, una grande quantità di alcool e conti in sospeso, ed ecco che il dramma si cela dietro l’angolo.
Oltre ad Harold e Michael, a questa festa sono presenti: l’eccentrico Donald (Matt Bomer); il latino americano Emory (Robin de Jésus); il timido Bernard (Michale Benjamin Washington) e la coppia di amanti Hank e Larry ( Tuc Watkins e Andrew Rannels), così estremamente diversi tra loro.
Infine (ma non per importanza) ci sono un “cowboy” affittato come sorpresa di compleanno (Charlie Carver) e Alan (Brian Hutchison) un amico di Michael, ritrovatosi nell’appartamento per fare una sorpresa all’ex compagno di collage.
Tutte le dinamiche vengono fuori dopo svariate frecciatine che gli uni provocano verso gli altri e un gioco che, come un vaso di Pandora, apre e scoperchia vecchie ferite, coming out sofferti e storie d’amore non corrisposte.
L’amore per i dialoghi
The Boys in the Band prima di venire trasposto cinematograficamente, nasce, come spettacolo teatrale nel 2018, sempre curato da Joe Mantello e Ryan Murphy, aggiudicandosi anche un Tony Award.
Quindi, come l’opera originaria, vuole che la parte essenziale siano proprio i dialoghi, quei dialoghi che, non importa il luogo, la scenografia, l’ambientazione, sono loro al centro di tutto.
Soprattutto se poi riguardano una realtà che al giorno d’oggi non dovrebbe esistere.
Il tutto potrebbe sembrare noioso, ma non lo è.
Perché guardare The Boys in the Band?
Anche se inizialmente potrebbe sembrare un film un po’ retrò, più avanti si comprende il perché è necessario dare spazio a trame che sottolineino ancora certi argomenti.
Una grande particolarità, è data anche dal fatto che tutti gli attori (che sono gli stessi dell’opera teatrale di Broadway del 2018) sono dichiaratamente gay. E in un’industria cinematografica che preferisce ancora attori che ostentano il machismo e che attori etero interpretino omosessuali e non viceversa, questo film fa rumore.
a cura di
Francesca Graziano