“Follemente”, la nuova commedia di Paolo Genovese, si presenta alla stampa. In uscita al cinema il 20 febbraio, il film porta sul grande schermo un viaggio interiore emozionante e profondo, in cui le emozioni prendono vita e hanno caratteristiche ben delineate, dando voce ai conflitti più autentici dell’animo umano
Paolo Genovese racconta in conferenza stampa Follemente, il suo ultimo film in uscita al cinema il 20 febbraio. Un’opera che ci trascina in un viaggio alla Inside Out dentro la mente umana, dove le emozioni prendono vita e si fanno personaggi. Attraverso i binari di un primo appuntamento, il film esplora il caos interiore, i dubbi e le contraddizioni che accompagnano le nostre scelte di vita, mettendo in scena un mondo in cui le emozioni pilota si scontrano e si influenzano a vicenda. Follemente racconta con tanta ironia e profondità la battaglia quotidiana tra cuore e ragione, da un punto di vista inedito.
Da quale idea deriva questa bellissima follia che uscirà al cinema il 20 febbraio?
Paolo Genovese: “È sempre difficile capire quando nasce l’idea. La genesi è da ricercare sicuramente nel ’99 durante la realizzazione di uno spot per Rai, dove i protagonisti erano personaggi pluriabitati e mentalmente combattuti che affrontavano un conflitto interiore fino al raggiungimento di una decisione che prevaleva sulle altre. Non è mai stata sviluppata negli anni, perchè non abbastanza convincente.
Abbiamo continuato a provare finché non è arrivata questa versione di “Follemente”, che penso sia la più efficace a raccontare la confusione mentale collocata in un momento specifico della vita.”
L’autoironia è una condizione fondamentale per il personaggio di Trilli, interpretato da Emanuela Fanelli: quanto c’è di personale in ciò che vediamo sullo schermo?
Emanuela Fanelli: “L’autoironia è qualcosa di fondamentale non solo nel mio lavoro, ma anche nella mia vita prima di tutto. Interpretare la parte istintiva per me è stato ed è vitale, perché alleggerisce i pensieri. Quando, in alcune situazioni della mia vita, prevale la mia parte razionale, mi faccio ridere da sola, in un trionfo di mitomania forse, non so. Però, siccome mi sto simpatica, mi alleggerisco in questo modo.”

Quale genere di commedia ha voluto portare sul grande schermo?
Paolo Genovese: “Sicuramente una commedia che abbia un umorismo di situazione e non di battuta: trovo che la commedia di situazione sia più difficile di qualunque altro genere, perché devi costruire una situazione che fa ridere. Essa è una magia, un’alchimia, un gioco di prestigio che speri che riesca col pubblico.
Come in questo film: ciò che fa ridere non sono le battute, ma i personaggi che improvvisamente aprono i cassetti in cerca della parola giusta. Quindi, per rispondere alla domanda, ho ricercato la commedia di stile inglese ironico e sarcastico, dove i meccanismi funzionano ma te ne accorgi solo in sala. Lì capisci se il gioco di prestigio è riuscito oppure no.”
Una domanda per Edoardo Leo: cosa pensi delle differenze incolmabili tra uomini e donne?
Edoardo Leo: “Il momento del primo incontro esiste da sempre, quell’istante in cui devi approcciarti con rispetto e un po’ di timore, tenendo sotto controllo le tue emozioni e cercando di non mostrarti vulnerabile immediatamente: è una meravigliosa partita a scacchi che uomini e donne fanno da sempre.
Il film suggerisce che converrebbe abbandonare questo approccio timido e sospettoso e mostrarsi da subito per ciò che siamo veramente, poiché a volte quelle insicurezze e fragilità che tendiamo a nascondere sono affascinanti e per di più la carta vincente.“

In fase di scrittura il cast era ancora da formare o avevi già scelto in base a determinate caratteristiche che questi attori hanno nella vita?
Paolo Genovese: “Il mio metodo di lavoro è immaginare il cast dopo: quando mi stanco di scrivere ma l’idea è già ben formata, mi metto a fantasticare su chi potrebbero essere gli attori perfetti per quel ruolo. Altrimenti c’è il rischio di schiacciare la sceneggiatura sull’attore e peccare poi di immaginazione. Per esempio, quando ho scelto Marco Giallini in “Tutta colpa di Freud” e “Una famiglia perfetta”, volevo che interpretasse un padre di famiglia molto caldo, accogliente e sensibile. Quando glielo proposi, lui mi disse: “Ma sai chi sono io?”, perchè veniva dal periodo di “Acab, Romanzo” ed era dunque un personaggio antitetico per quel ruolo (che poi invece ha messo in scena meravigliosamente).”
Cosa significano gli attrezzi ginnici che ogni tanto vediamo nel film? Che metafora rappresentano?
Paolo Genovese: “La metafora della fisicità degli attrezzi si riferisce al fatto che non tanto l’amore, quanto la mente agisca con fatica: facciamo fatica a scegliere, pensiamo tutto e il contrario di tutto, e poi ciò che esce è solo una piccola parte del nostro mondo interiore, che ha lavorato per arrivare lì.”
”Follemente”
Follemente si presenta come un viaggio unico nel labirinto delle emozioni, un film che riesce a trasformare il caos interiore in una narrazione vivida e coinvolgente. Assieme ad un cast straordinario, Paolo Genovese porta sul grande schermo una storia che, con il suo mix di ironia e profondità, promette di lasciare il segno nel cuore del pubblico. L’appuntamento è per il 20 febbraio, esclusivamente al cinema!
a cura di
Michela Besacchi
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