“Piccola storia grande”, il sentire in un piccolo tutto
Piccola storia grande (tradotto da Francesca Bononi), romanzo d’esordio di Marion Fayolle, fa parte di quei romanzi che non devono essere capiti, ma solo sentiti.
Ma che cos’è un romanzo da sentire?
Non un audiolibro perché avrei scritto ascoltare. Scelgo proprio sentire. Consiglio perciò di leggere la note della traduttrice perché meglio delle sue parole non riuscita a fare.
v. tr. [lat. sĕntire] (io sènto, ecc.). – In senso ampio, avvertire un qualsiasi stato di coscienza indotto in noi dal mondo esterno attraverso i sensi o un qualsiasi stato affettivo insorgente nell’animo. Nella varietà degli usi e delle particolari accezioni, i sign. fondamentali del verbo si possono ricondurre a questi tre: avvertire una percezione; avvertire una sensazione; provare un sentimento. 1. a. Apprendere attraverso i sensi; ricevere una o più impressioni sensoriali e averne coscienza. b. Con valore più attivo, portare l’attenzione su un’impressione sensoriale, cercare di percepirla; si riferisce ai varî sensi (tranne la vista) e comprende quindi in sé i sign. specifici di ascoltare, annusare, assaggiare, toccare (per avvertire e intendere il suono, per cogliere l’odore, il sapore, le qualità tattili).
Sempre grata alla Treccani, questo è ciò che intendo. Perché, però?
Chi è Marion Fayolle
Fra le più importanti Illustratrici francesi, è anche artista e scrittrice. Piccola storia grande è il suo primo romanzo; fino ad oggi ha lavorato prettamente come illustratrice per albi pubblicati, in Italia, da Gallucci editore.
Certamente complesso il lavoro di traduzione delle parole in immagini, ma quando si fa il processo inverso, quali difficoltà si incontrano? E la traduzione del testo, quanto incide?
Piccola storia grande, i sensi
Da libraia, lavorando spesso anche con gli albi illustrati, ho sempre trovato meraviglia lì dove illustratore e autore riuscivano a combaciare, dove forse prima nasceva il senso e poi l’immagine e dall’immagine si passava alle parole; l’ho sempre pensato così. Quando perciò è uscito il primo romanzo di Fayolle non sono riuscita a resistere. Pubblicato da NNE, non è ben chiara la trama nella seconda di copertina.
Una famiglia che abita e si prende cura di una fattoria, una famiglia grande, dove si vive insieme e si lavora insieme, una ragazzina che nasce e cresce e che ha un peso dentro, una bestia, come si leggerà poi. Così piccola e così ingombrante, ma nessuno ci fa caso, è l’abitudine oramai. Ma se per noi che leggiamo tutto ciò pesa, per chi è raccontato in quelle 130 pagine circa sembra una cosa normale, una croce da portare, un comunissimo “lo sai che è così, fai finta di nulla”.
Non ci sono nomi, luoghi e tempi specifici. Sembra tutto sospeso in un limbo e, come sempre in certi casi, questa scelta permette a chi legge di accomodarsi fra le pagine, di poter sostituire una fattoria con un’azienda di famiglia, lo zio che beve e che vive nell’ala est con un familiare di cui non puoi liberarti. L’impaginazione non è usuale, una pagina che racconta in giustifica, quasi a doversi far perdonare queste incomprensioni, questi parenti ingombranti e aver scelto di non scegliere la fattoria.
In questa fattoria del sud della Francia, in Ardèche, ci vivono tutti; genitori zii nonni e figli. Tutto mischiato eppure diversificato, le radici si annodano, provano a prendere strade diverse ma qualcosa sembra ritirarle verso un unico punto. Quelle di Piccola storia grande sono parole che generano immagini vive, che risvegliano i sensi per qualcosa non più tangibile: persino i colori si traducono in plaid generazionali che odorano di naftalina.
La nonnina ha il viso segnato dal vento e dal sole, e le anche imbottite di formaggio e carne buona della fattoria. Il paesaggio si riversa su di lei, che non avrebbe potuto vivere in nessun altro luogo. Ha la stessa forma del prugno in giardino, quello accasciato sotto i suoi troppi frutti, piegato sotto il peso della sua stessa generosità. Le braccia, la schiena, le gambe sono affaticate da una vita trascorsa a dare.
[…]
Lei non cerca di rimanere giovane, perché sa che a un certo punto la vita ti uccide. Finché riesce a vivere nella sua fattoria e a cavarsela da sola, dice che le piacerebbe resistere ancora un po’. Il nonnino aveva più paura di morire, per questo ha avuto bisogno di perdere la testa, per perdere anche la paura. Lei, invece, non ha nessun timore, ha già superato l’età dei genitori, ha avuto una bella vita; non rimpiange niente e non tornerebbe indietro.
Specchi graffiati dal tempo
Sembra esserci una voce narrante in grado di cogliere frammenti di quelle vite che si incrociano, tramutandoli in una scia di piccoli ricordi che sono quelli che, in ogni famiglia, finiscono per creare una storia. Fatta di buchi per il lettore e di spazi compressi per chi si fa leggere.
I bambini fanno da ponte tra un’ala e l’altra, corrono per portare le uova fresche ai genitori e le casseruole vuote alla nonnina. Inciampano tra i ciottoli e guardano il loro futuro dietro le sue finestre. Qui si resta per tutta la vita sotto lo stesso tetto, si nasce nel letto di sinistra, si muore in quello di destra, e nel frattempo ci si occupa delle bestie nella stalla.
I bambini fanno da ponte, come i vitelli. Sono la chiave per l’eredità, per non far morire quelle fatiche, per non vederle ridotte al nulla.
La rabbia crepa i muri, le mani strappano i capelli a ciocche, le unghie graffiano la pelle, la testa penzola, le frasi si ripetono come fossero canzoni. Bisogna farlo uscire, scorrere, sgorgare. La disperazione della ragazzina si spande, scende dalla sua camera, gocciola da un piano all’altro. I genitori non sanno più cosa fare, monta dentro di loro per capillarità. La ragazzina gli restituisce la tristezza che le hanno trasmesso.
Una Piccola storia grande che fatico a definire dolce e rassicurante. Una di quelle che, quando recensite e raccontate, perde la magia. Le citazioni proposte (compresa questa probabilmente) possono limitare l’orizzonte perché non credo che il romanzo si possa spezzettare in frammenti singoli. Come prendere una sola foto dall’album di famiglia e fare, di quella foto, l’immagine delle generazioni precedenti.
Per questo, come dicevo sopra, la trama non è chiara. Non si può ridurre in qualche riga la storia di tante vite che convergono e rosicchiano terra, spazio e tempo. Queste pagine riflettono forse le nostre storie o quelle di chi c’era prima di noi, sono specchi. E pur di non affrontare quel riflesso li graffiamo, scacciando via l’immagine che si delinea, pagina dopo pagina.
Una storia, Piccola storia grande, che ho difficoltà a non suggerire ma nello stesso tempo c’è qualcosa che mi dice che forse, se non amate una scrittura scomposta nel tempo, non è il caso, per ora, di leggerla.
La creatura sistema delle barriere tutt’intorno alla madre. Cos’è, hai paura che me ne vada? O forse è per non far scappare le mie bestie, è per questo?
[…]
La ragazzina si alza per portare il bambino a fare il bagno.
Crisi totale.
Ha ribaltato la sua storia, ha fatto scappare tutte le bestie.
a cura di
Ylenia Del Giudice
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