Parthenope: la forza delle immagini
Parthenope è il decimo lungometraggio di Paolo Sorrentino, al cinema dal 24 ottobre e distribuito da PiperFilm. Una rappresentazione di Napoli con le sue miserie e il suo splendore, vista attraverso gli occhi di una ragazza, dalla gioventù fino al passaggio all’età adulta.
Chi conosce e soprattutto ha saputo apprezzare la poetica visionaria di Sorrentino, troverà questo film come un tassello che la completa. Perchè non solo il film è frutto (ancora una volta) dell’ispirazione data da Raffaele LaCapria col suo romanzo “Ferito a morte”, ma è una storia completa negli anni, il sentimento di amore-odio che Sorrentino trasmette attraverso i personaggi del film.
Così troviamo le attrici decadute: Flora Malva (Isabella Ferrari), agente cinematografica dal passato glorioso con una maschera che le nasconde il viso deturpato e la diva Greta Cool (Luisa Ranieri), patetica con una parrucca che le nasconde un’incipiente calvizie. Entrambe appartenenti a momenti gloriosi di una Napoli che cambia aspetto come i rettili e si muove sinuosa verso altri mondi.
La trama
E tutti quei mondi vengono percorsi da Parthenope ragazza (la brava Celeste Dalla Porta), nata e concepita nell’acqua nel 1950. Una carrozza a farle da culla in una famiglia di armatori, la ragazza cresce e ci ritroviamo nel 1968. E qui le immagini diventano azione e vita vissuta attraverso movimenti rallentati, immagini con una luce che sembra abbagliare. Sorrentino la segue, inciampa quasi sul suo sorriso genuino, ma ne presenta la sua voglia di scoprire mondi nuovi, la battuta sempre pronta. Intelligenza e candore che si fondono in un corpo che suscita desideri.
In quel desiderio si perdono due ragazzi, il suo fragile fratello Raimondo (Daniele Rienzo) e il suo primo innamorato Sandrino (Dario Aita). Delusioni e sofferenze che lacerano una Parthenope che trova conforto morale nel professor Marotta (grande interpretazione di Silvio Orlando) che le insegna l’antropologia coi versi di Billy Wilder.
Da quel momento Parthenope rivive una sorta di rinascita, un “battesimo del fuoco”. La ragazza si cala nel cuore della città, l’antropologia diventa così la vita di Napoli in tutte le sue contraddizioni. Nell’audace scena del legame fra due famiglie, al “panaro” calato dal balcone ritratto in una scena onirica e surreale. Parthenope infine realizza la pienezza del momento coadiuvata da un ambiguo cardinale interpretato da Peppe Lanzetta.
Intensa l’interpretazione poi dell’attore Premio Oscar Gary Oldman che ha accettato volentieri la parte dello scrittore John Cheever. Nel film c’è l’incontro fra un uomo disilluso e la ragazza che si affaccia alla bellezza della vita. Sarà proprio l’incontro durante la sua fase iniziale di ragazza ingenua, ad introdurla verso la vita e le sue aspettative, le delusioni e le gioie che proverà.
E dietro questa consapevolezza ci sta tutta Napoli. Nel seguire la vita di questa ragazza che diventa donna (Stefania Sandrelli), Sorrentino mostra alcune vicende e situazioni che hanno caratterizzato la città negli anni. Le ribellioni studentesche all’Università, la disinfestazione ai tempi del colera.
Il film è risultato molto divisivo. Se il precedente E’ stata la mano di Dio risultava più corale e intimo, Parthenope è un’interpretazione della città in senso globale fra sacro e profano, fra eccessi e la bellezza dei faraglioni di Capri che toglie il fiato. La filosofia è un tutt’uno con le immagini che a tratti possono risultare stucchevoli.
L’umorismo, l’arguzia, la tragedia, l’amore, l’ironia, la vita, la perdita sono tratti caratteristici del film e a volte la trama si perde in mille rivoli che, purtroppo, solo Sorrentino conosce e riesce a capire appieno. Al di là di tutto un film di Sorrentino va visto. Perché in Italia è uno dei pochi (forse anche Martone?) che ha un approccio di film internazionale, che altrimenti latita qui in Italia.
Altra nota stonata, a nostro avviso, un’insistente rappresentazione della caducità del tempo e della giovinezza perduta con pieghe che rasentano l’Ozpetek più manieristico. Ma per il resto rimane un film fortemente espressivo nella sua rappresentazione.
Sorrentino ha la capacità di sorprenderti sempre ad ogni immagine. Tutto scorre con naturalezza nel suo cinema, per questo non è mai scontato. D’altronde, ha soddisfatto la richiesta fatta dal regista Antonio Capuano nella scena finale di E’ stata la mano di Dio: avere il coraggio di raccontare una storia. E questo film, che piaccia o meno, è la storia di Napoli vista, odiata, amata e adorata da Paolo Sorrentino.
a cura di
Beppe Ardito
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