Da venerdì 11 ottobre è disponibile su Mubi Occupied City di Steve McQueen, un documentario in cui il passato e il presente di Amsterdam si incontrano e scontrano sulla scena.
Venerdì 11 ottobre Mubi ha reso disponibile nel suo catalogo Occupied city di Steve McQueen, documentario presentato a Cannes nel 2023 e incentrato sul rapporto tra il passato e il presente di Amsterdam. Il film è tratto dall’atlante psicogeografico Atlas of an Occupied City, Amsterdam 1940-1945 di Bianca Stigter, moglie di McQueen.
Nell’arco dei suoi 262 minuti di durata, Occupied City, contrappone gli eventi storici dell’occupazione nazista della città di Amsterdam ad immagini del presente. Ogni piccolo episodio del passato si accompagna al luogo esatto in cui è avvenuto. Il risultato? L’affresco di una città che, nonostante lo scorrere del tempo, rimane ancora legata alla sua storia.
Arrivata alla fine del film, mi sono rimaste però due domande connesse tra loro, alle quali cercherò di rispondere qui. La prima è quanto sia giusto definire quest’opera un film. La seconda, invece, riguarda la sua lunghezza e quanto essa sia giustificata.

Occupied City: un documentario o un’installazione artistica?
Prima di guardare effettivamente Occupied City, le mie aspettative erano tutto sommato piuttosto semplici. Immaginavo che sarebbe stato un documentario sulla storia di Amsterdam con un’alternanza tra passato e presente. Tuttavia, già solo dopo i primi minuti ho capito di essermi sbagliata.
Il film è una riflessione su quanto la storia continui ad influenzare una città anche dopo tanto tempo. Il suo aspetto cambia e le vite vanno avanti, eppure, camminando per le vie si può ancora sentire un eco di ciò che è stato. Ecco, dovendo determinare quale sia lo spirito di questo documentario, direi proprio questo: è l’impatto di un eco del passato sul presente. Non a caso, l’occupazione nazista è narrata da una sola voce, quella di Melanie Hyams, che, a suo modo, diventa anche la voce della stessa Amsterdam.
Dovendo scegliere, però, non so se definirei Occupied City un semplice documentario. Non si può infatti ignorare la sua vena fortemente sperimentale e multisensoriale. Da un lato c’è l’esperienza uditiva: il racconto degli eventi dell’occupazione nazista di Amsterdam dal 1940 al 1945. Dall’altro, da un punto di vista visivo, ci sono le immagini contemporanee della città, girate tra il 2020 e il 2022. Proprio per questo senso di immersione sia geografica che temporale, ritengo che l’opera di McQueen potrebbe funzionare al suo meglio come installazione artistica, più che come film.

Una durata eccessiva o un’immersione artistica?
Partendo, quindi, dal presupposto che Occupied City debba essere considerata un’installazione artistica, si può ora fare un ragionamento sulla sua durata.
Indubbiamente 262 minuti non sono pochi e potrebbero spaventare anche lo spettatore più coraggioso. Normalmente, sono piuttosto critica nei riguardi dei film con una durata, a mio avviso, eccessiva e, se questo fosse stato un documentario comune, non avrei esitato a muovere delle critiche. Tuttavia, questa è un’opera di carattere differente e, pertanto, merita una riflessione differente.
Cambiando prospettiva e valutando Occupied City come installazione artistica, tutto ad un tratto la sua lunghezza comincia infatti ad avere un senso. Il suo carattere fortemente immersivo mi porta a ritenere che questo non sia un film da vedere necessariamente come opera unitaria. Si potrebbe tranquillamente iniziare la visione in un qualsiasi momento, senza che questo modifichi l’esperienza di fruizione. Anche il fatto che McQueen abbia rivelato l’esistenza di una versione integrale di trentasei ore, mi sembra un’ulteriore conferma della mia teoria.

In sintesi, se siete alla ricerca di un documentario tradizionale, forse questo film non fa per voi. Se, invece, siete interessati a fare un’esperienza artistica immersiva nella storia di una città, ecco che cambiano le carte in tavola.
a cura di
Claudia Camarda
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