Martin Scorsese e l’emozionante Masterclass al Cinema Massimo di Torino
Si è tenuta ieri, martedì 8 ottobre, al Cinema Massimo di Torino, la Masterclass del regista Martin Scorsese. Una Masterclass profonda e intima, durante la quale il regista ha raccontato diversi episodi della sua vita, legati anche alla sua infanzia e alla sua famiglia, mettendosi a nudo davanti ad una sala gremita. Ma soprattutto ha parlato del suo amore per il cinema.
La Masterclass di Martin Scorsese tenutasi ieri a Torino è stata di grande impatto emotivo. Il famoso regista, sceneggiatore e produttore cinematografico americano ha coinvolto il pubblico, raccontando aneddoti sulla sua vita e parlando anche degli indimenticabili protagonisti delle sue storie.
Il ragazzino di Elizabeth Street e il Neorealismo
La lectio magistralis di Scorsese si apre con un filmato contenente alcune delle sue pellicole che hanno lasciato il segno nella storia del cinema. Partendo dall’iconica scena del ristorante di Quei bravi ragazzi, per poi accompagnarci per le strade di New York nella macchina guidata da Travis – il protagonista di Taxi Driver – e catapultandoci tra gli uomini bianchi ed i pellerossa di Killers of the Flower Moon, i frame sono stati accompagnati dalla musica di Jumpin’ Jack Flash dei Rolling Stones. Quel rock fatto di chitarre vibranti e coinvolgenti, che tanto piace all’amato regista americano.
Ma chi è veramente Scorsese? Martin parla del suo amore per il cinema, nato quando era molto piccolo. Viveva insieme ai genitori in Elizabeth Street, soffriva d’asma e per questo motivo, non potendo fare sport, i genitori lo portavano spesso al cinema per distrarsi. La passione per i film è nata grazie anche alla tv: il regista racconta, infatti, di come insieme alla sua famiglia passasse ore a guardare i programmi televisivi, nella piccola casa dove abitavano.
Citando alcuni registi italiani come Rossellini, De Sica, Antonioni, Pasolini, Rosi, Fellini, spiega inoltre di quanto fosse da loro affascinato, perché in quei film si parlava italiano – lingua dei suoi familiari – e ciò contribuiva a farlo empatizzare con i personaggi.
Il suo amore per il realismo è nato sin da piccolo.
Il cinema di Martin
Scorsese racconta anche dei protagonisti dei suoi film e di come abbia trasposto la vita di quartiere nelle storie da lui scritte per il cinema. Da ragazzino era un grande osservatore, si affacciava dalla finestra del terzo piano della casa in cui viveva e, mentre scivolavano nell’aria musiche differenti, provenienti dalle finestre delle abitazioni che lo circondavano, osservava scene di vita quotidiana. Ricorda come nella sua zona ci fossero molti alcolisti, che spesso morivano, e di come osservava le loro battaglie (a suon di bottiglie) dalla finestra della sua casa.
Da qui il suo amore per gli emarginati: gente del suo stesso quartiere, di cui non importava niente a nessuno, che anche lui conosceva. Gente che finiva sui tabloid americani all’ultima pagina, per fatti di sangue. Proprio così nasce dentro di lui l’amore per il realismo.
Il regista americano ribadisce come sia stato attratto dai peccatori, persone che per il resto del mondo erano semplicemente “spazzatura”, considerati invece da lui a tutti gli effetti esseri umani degni di rispetto.
La solitudine di Travis
Durante la Masterclass è stato dato spazio anche ai film di Scorsese, in particolare a Taxi Driver e alle scene iconiche del film. Scorsese descrive come abbia fortemente voluto (anche tramite l’uso di alcuni escamotage, come le riprese fatte con gli specchietti) rappresentare scenicamente l’enorme solitudine vissuta dal protagonista.
Travis esprime infatti allo spettatore la sua solitudine attraverso i suoi occhi, e questo si percepisce soprattutto attraverso le inquadrature. In particolare, c’è la scena della telefonata in cui il protagonista cerca di uscire nuovamente con una ragazza che vorrebbe conquistare, ma non ci riesce. Per rappresentare il momento doloroso vissuto da Travis, la cinepresa si sofferma non sul protagonista, ma su lungo corridoio, che rappresenta il vuoto e il dolore da lui vissuti in quel momento.
Inoltre, il regista racconta anche un aneddoto sull’iconica scena di fronte allo specchio di Taxi Driver, nata per caso e diventata una tra le più belle della pellicola. Ci parla anche della sua collaborazione con Robert De Niro, dettata – come quella con DiCaprio – da un rapporto di fiducia reciproco. Soffermandosi anche sul fatto che Robert riesca comunque a continuare a portare, anche al di fuori delle scene, un personaggio.
E sulla difficoltà di raccontare Taxi Driver dichiara: “Era difficile scrivere quel film, è tutto basato sul personaggio di Robert De Niro: sono state energia e passione a costruire ogni immagine, e così anche i movimenti e i sentimenti del personaggio”.
L’amore per la musica
Scorsese coltiva sin da bambino anche la passione per la musica. Nelle scene dei suoi film, questo legame è molto forte. Il regista racconta come passasse dall’ascoltare Beethoveen, la musica classica, la lirica, in particolare l’Aida e la Tosca, al rock dei Rolling Stones e di Hendrix. Il rock è stato un genere musicale che si è cucito sulla pelle ed è riuscito a regalargli molte emozioni. Lo ha spesso usato anche nelle sue pellicole.
La passione per la musica nasce nel quartiere multiculturale in cui è vissuto. Ogni famiglia, proveniva da un contesto diverso e gli ha consentito di ampliare gli orizzonti musicali. Scorsese sottolinea come il rock and roll gli abbia cambiato il ritmo della vita e di come i suoi primi impulsi creativi siano stati rappresentati dalla musica.
Martin, non solo un regista, ma uno di noi
La Masterclass di Scorsese è stata anche una grande lezione di vita. Martin si è aperto al pubblico, rendendolo partecipe del suo entusiasmo e della sua profonda passione per il cinema. Il suo modo di esprimersi e di parlare non è distaccato, la sua voce non è quella di uno che siede sulla vetta di una montagna, guardando gli altri dall’alto in basso.
Il regista non si è dimenticato la vita che si è lasciato alle spalle. Anzi, la sua genialità è quella di raccontare storie di persone, di cui quasi nessuno vorrebbe curarsi. Indiani d’America, gangster, emarginati, gente sola e abbandonata, persone considerate rifiuti della società. Gente che ha tanto da raccontare, se qualcuno glielo permette. Il cinema di Martin è questo.
E ieri sera tra la folla del red carpet, e nell’aula gremita del cinema Massimo, c’era un ragazzo, quello stesso ragazzo di Elizabeth Street di nome Martin, che guarda ancora il mondo con gli occhi pieni d’amore per il cinema e per la sua “gente“.
a cura di
Maria Raffaella Primerano
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