“I miei stupidi intenti” di Bernardo Zannoni
I miei stupidi intenti, opera prima di Bernardo Zannoni (Sellerio 2021) ha vinto il premio Campiello 2022. Questo libro mi è stato caldamente consigliato da un utente della biblioteca dove lavoro; ed io, prontamente, l’ho cercato e letto con estrema curiosità, chiedendomi appunto cosa avesse di speciale.
Ora che l’ho letto sono io a consigliarvelo, certamente per la trama e i personaggi, ma soprattutto per la capacità dell’autore di dare alla storia quella suspense che, pagina dopo pagina, ti prende sempre più. Inoltre, il tema trattato in questa favola moderna (la morte e soprattutto l’idea di lasciare qualcosa di sé stessi, attraverso la scrittura) mi ha dato molti spunti di riflessione che proverò a condividere con voi.
La trama de I miei stupidi intenti
Il bosco è il luogo in cui la storia è ambientata e i personaggi sono animali. Archy è una faina rimasta zoppa a causa di un incidente di caccia, ed è il protagonista dell’intero romanzo.
Inizialmente Archy vive con la mamma, rimasta vedova, e i suoi fratelli. Già dalle prime scene ci si immerge nel mondo animale dove gesti feroci o incestuosi sono all’ordine del giorno.
Ma dato che non c’è da mangiare per tutti e visto che Archy è zoppo, quindi non è utile per la caccia, sua madre decide di cederlo dietro il pagamento di alcune galline all’usuraio Solomon, una vecchia volpe che vive con un cane, Gioele.
Archie vive male questo distacco e un giorno riesce ad allontanarsi dalla tana dell’usuraio per tornare a casa, ma scopre che la sua famiglia non è più lì. Sua madre ha accolto un’altra faina sotto il suo stesso tetto e la sua amata sorella Louise, dopo aver subito abusi proprio da questo nuovo compagno, è stata uccisa.
Archy è costretto, così, ad accettare la sua nuova vita e inizia a lavorare per Solomon con devozione, che nota la sua intelligenza e gli insegna a leggere e a scrivere facendogli conoscere la Parola di Dio.
Quando Solomon capisce che il suo tempo si sta sempre più riducendo chiede ad Archy di scrivere la sua biografia celebrativa, dipingendolo come un animale che ha agito in nome di Dio e omettendo tutte le sue azioni disoneste e malvage.
Alla sua morte Archy si ritrova a dover gestire la fattoria e a proteggere i tesori della vecchia volpe, come il libro contenente la parola di Dio.
I miei stupidi intenti, i personaggi e la storia
Archy, grazie anche all’incontro con Solomon, acquisisce consapevolezza di sé stesso. Si confronta con i suoi istinti e con le sue debolezze e prova a superarli: come quando, con astuzia, riesce ad ottenere la mano di Ania, la faina con la quale metterà su famiglia.
Ma questo incontro lo metterà davanti anche a molte sfide e soprattutto aprirà la sua mente alla conoscenza, umanizzandolo.
“Scoprii che in alcune zone chiamavano Solomon la volpe con la memoria lunga, e questo mi fece riflettere sul potere della scrittura, quanto fosse immune al tempo. Continuavo a trascrivere il suo libro, mentre lui mi dettava altre frasi, cambiando la sua stessa storia”
La morte e la scrittura sono due elementi utilizzati in contrapposizione. La morte è ciò da cui non si può sfuggire, la volpe lo sa, e anche Archy lo impara, per questo usa la scrittura per fissare i suoi pensieri, in modo che rimangano “senza età, salvi dai giorni e dalle notti”.
Essere un animale, privo di coscienza della morte e del passato, imprigionato nel presente e nei propri istinti è un modo che Dio ha utilizzato per mettere alla prova?
Essere uomini consapevoli della propria mortalità dispensa dal provare la paura di morire?
La scrittura è un antidoto alla paura?
Questo si chiedono i protagonisti. Ma quando la morte si avvicina ogni “stupido intento” appare ancora più insensato.
È una favola moderna, intensa, a tratti crudele come solo la natura sa essere, a tratti un po’ contorta, ma intensa ed emozionante, di sicuro non vi lascerà indifferenti.
a cura di
Anna Francesca Perrone
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