“La vita davanti a sé” il romanzo discusso di Romain Gary

“La vita davanti a sé” il romanzo discusso di Romain Gary
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Nel 1975 lo scrittore francese Romain Gary pubblica il romanzo La vita davanti a sé per la casa editrice Mercure de France. Il suo nome, però, non comparirà in copertina: l’autore, infatti, deciderà di utilizzare lo pseudonimo di Emile Ajar.

Il motivo di tale decisione era dettato dalle forti critiche che lo scrittore stava ricevendo in quegli anni, come spesso capita ad autori che raggiungono una certa fama.

Nello stesso anno della sua uscita l’opera vinse il Premio Goncourt, che Romain Gary aveva già conquistato vent’anni prima con Le radici del cielo. Per regolamento il premio non può essere vinto due volte dallo stesso scrittore ma, per l’appunto, a vincerlo, per la felicità di centinaia di lettori appassionati, non fu Gary bensì Emile Ajar!

La paternità dell’opera venne riconosciuta a Gary solo anni dopo la sua morte, anche perché per molto tempo l’identità di Emile Ajar venne rivendicata, falsamente, da un suo parente. Benché alcuni critici attenti ipotizzarono Gary come vero autore di La vita davanti a sé, la maggioranza rimase completamente persuasa dall’apparenza dei fatti.

In ogni caso, anche scoperta la verità, il premio non venne mai revocato in quanto legato all’opera e non al suo autore.

Fonte Pinterest
La trama

Nel quartiere multietnico di Belleville, a Parigi, c’è un folto giro di prostituzione. Donne bellissime passeggiano tra i vicoli francesi cercando di guadagnare vendendo corpi, sorrisi e compagnia ai signori danarosi.

Madame Rosa, una signora ebrea reduce dalle deportazioni della seconda Guerra, ha trovato invece un altro modo per sbarcare il lunario. Si prende cura, in cambio di una retta mensile, dei bambini nati dalle signore in strada e che non potrebbero rimanere con loro rischiando così di essere prelevati dai servizi sociali.

Le madri, dunque, pagano a Madame Rosa una pigione e lei li cresce in casa sua, in un condominio pieno di strani personaggi, come una sorta di particolarissimo orfanotrofio. Ogni settimana, o ogni mese, o ogni tanto, le mamme vanno a prendere i bambini e li portano al parco, a prendere un gelato o semplicemente passano a lasciare malinconici baci su quelle piccole fronti.

Fonte pinterest

Solo una donna, seppur puntualissima nei pagamenti, non va mai a casa di Madame Rosa a vedere suo figlio. È la mamma di Momo.

Momo è un bambino musulmano ma, a parte questo, non sa nient’altro. Sulla sua storia tutti mantengono un totale riserbo, lanciandogli sguardi compassionevoli e cercando di dargli tutto quell’amore materno mancato.

Nonostante ciò, il ragazzo cresce in salute, è spigliato e attento al mondo, anche troppo per la sua età. Un po’ scugnizzo, un po’ tenero ingenuo cresciuto troppo in fretta, entrerà subito nel cuore di Madame Rosa che avrà sempre una predilezione per lui. Tra i due sorgerà quell’amore famigliare che è sempre mancato ad entrambi. Non sono più matrona e orfano, ma due persone alla deriva che il destino ha fatto incontrare in una sorta di strana famiglia affollata.

Madame Rosa inizierà pian piano ad invecchiare. Le prostitute preoccupate non le lasciano più i loro figli e, per questo, si aggiungerà anche la povertà. Momo però non la abbandona e resta al suo fianco per curarla e sostenerla. Il suo amore per lei è grande ma soprattutto la paura di perdere l’unica persona della sua vita. Cosa ne sarà di tutta quella vita davanti a sé?

In questa vita travagliata fa la sua improvvisa comparsa un uomo che si presenta come padre di Momo e sembra sapere cosa è successo a sua madre e soprattutto perché non ha saputo mai nulla per ben dodici anni.

L’opera

La vita davanti a sé non ha una trama ricca di eventi o comunque una storia dinamica da raccontare. È piuttosto uno stralcio di vite che si trovano già in quel condominio, già in quelle condizioni e il lettore le trova già così. Dalla descrizione dei personaggi capiamo un po’ le loro storie passate, prima di quel momento, e sicuramente la storia più affascinante è quella di Madame Rosa.

Sappiamo che è reduce dalle deportazioni per le frasi urlate nei suoi incubi, per alcune parole buttate qua e la da lei stessa e per avere una foto di Hitler sotto al letto, a ricordarle che c’è sempre di peggio nella vita e che il peggio è passato. Le sue freddure, poi, sono vere e proprie lezioni di vita. 

Nonostante ciò, però, il romanzo è ricco di spunti di riflessione su aspetti della vita terribilmente attuali, al netto di prostituzione e abbandono. La tenerezza che permea le pagine è palpabile. Il senso della famiglia che supera il concetto di sangue e genetica, si lega piuttosto all’amore di un ragazzino per la sua matrona.

Ancora, le vite dei personaggi di passaggio nel condominio sono ulteriori storie nella storia, che quasi vien voglia di approfondirle, di immaginarne  le origini e i contorni.

Il linguaggio utilizzato è semplice e scorrevole, come se a scrivere fosse stato proprio il dodicenne Momo e le sue frasi ingenue ce lo fanno immaginare ancora di più tra le strade malfamate di Parigi.     

Allo stesso tempo la profondità degli argomenti trattati rivelano un Gary saggio quanto un centenario.

Insomma, un Premio Goncourt veramente meritato! Bravo Emile Ajar!

a cura di
Rossana Dori

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