I Hate My Village – Soundpark Fest, Pesaro – 8 agosto 2024
Il tour estivo della band italiana sceglie anche Pesaro per presentare il nuovo album Nevermind The Tempo
Il tour degli I Hate My Village, a supporto dell’album Nevermind The Tempo, ha toccato la città di Pesaro in occasione del Soundpark Fest e noi eravamo presenti per raccontarvelo. L’anfiteatro del Parco Miralfiore è una location immersa nel verde che ospita eventi culturali durante i mesi estivi. È particolarmente suggestiva seppur non sia molto capiente e ha il difetto di mischiare platea in piedi a posti a sedere. Tenete l’icona aperta su questa tematica, ci torneremo a breve.
Gli IHMV si esibiscono intorno alle 22.15 dopo che sul palco sono saliti i Korobu, quartetto bolognese capace di mixare elettronica a sonorità più standard e già percorse, forse un filo ripetitivi ma da tenere d’occhio.
Rapporto tra musica e AI, ai giorni nostri
Riuscirà l’intelligenza artificiale a sostituire la produzione artistica dell’essere umano?
La domanda è attuale ed è impossibile rispondere oggi. Il ragionamento è il seguente: più la produzione artistica è standardizzata, più è alto il rischio che ciò avvenga. Ecco, se parliamo degli I Hate My Village il rischio sembra essere vicino allo zero. Il super quartetto composto da Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion) alla chitarra, Fabio Rondanini (Afterhours, Calibro 35) alla batteria, Marco Fasolo (Jennifer Gentle) al basso e Alberto Ferrari (Verdena) a chitarra e voce, ha saputo sviluppare un linguaggio musicale originale e difficilmente replicabile. La loro musica attinge a piene mani dai generi più disparati ed è frutto della contaminazione e della sperimentazione più spinta. Si parte dai ritmi tribali – certo non aspettatevi i bonghi ma l’idea è quella – conditi da un sapore mediorientaleggiante. Ritmi che viaggiano a bordo di chitarre acide i cui fraseggi strizzano spesso l’occhio a legati dal suono non propriamente melodico e spinti dalla ritmica incessante di batteria che non lesina sui tamburi. Il tutto condito con la voce di Ferrari, distorta al limite del riconoscibile. Anche l’elemento (neo?) psichedelico ha la propria centrale importanza.
“Possiamo fare ciò che vogliamo”, persino inserire come tape di inizio Minghi e Mietta
Per raccontare gli IHVM prenderemo in prestito le parole di Giorgio Moroder. Avete presente il pezzo Giorgio by Moroder contenuto nell’album Random Access Memory, dei Daft Punk? Ecco, la frase del maestro che vogliamo usare come sponda è la seguente: “quando ci liberiamo dal concetto di armonia e della musica considerata corretta, possiamo fare ciò che vogliamo”.
Se qualcuno se li fosse trovati davanti per la prima volta si sarebbe subito accorto che gli IHMV, sostanzialmente, fanno quello che gli pare e non fanno niente di ciò che è comandato e per loro le parole di Moroder sono molto centrate. Tramp, il pezzo di apertura tratto dal primo disco, arriva a spettinarci sulle note della tape Vattene Amore ed è un bel compendio di ciò che abbiamo detto fin ora. I quattro sembrano divertirsi sin da subito ma a scombussolare le carte ci pensa la spia di Viterbini che inizia a fare le bizze sulla terza canzone. Che problema c’è?! Il chitarrista ne approfitta per uscire dal suo cono di suono, venire verso la platea, e lanciarsi in un assolo stridente che sorprendentemente ben si incastona con i suoni di tutti gli altri componenti del gruppo.
A concerti come questi si può stare seduti?!
Marco Fasolo più volte, tra una canzone e l’altra, invita il pubblico presente sulle gradinate ad alzarsi in piedi e unirsi a quello in platea che danza e ciondola lento. L’invito purtroppo non viene raccolto ed è quasi inspiegabile dal nostro punto di osservazione poiché la musica degli IHMV è trasportante, trabordante, magnetica, difficile da godere stando fermi.
Anche Alberto Ferrari tenta di ridar vita alle persone sedute che sono più immobili dell’esercito di terracotta dell’imperatore, anche lui senza successo. L’impressione è che Alberto non sappia nemmeno quanta gente ci sia intorno a lui avendo cantato sempre rivolgendo il profilo alla platea. D’altronde Ferrari sembra sempre vivere un po’ in un mondo suo, un mondo fatto di demoni che in qualche modo sono quelli che porta sul palco quando urla qualcosa di inudibile nel microfono o quando canta nell’asta dello stesso avendo invece il microfono in mano (sic), quando si innervosisce per un pedale che non funziona per poi tornare con la stessa espressione svampita di sempre pochi istanti dopo.
In scaletta trovano spazio Acquaragia, Water Tanks, Jim, Tony Hawk Of Gana e tanti altri pezzi per un set totale di poco più di un’ora e quindici minuti.
Non è finita qui…
Dopo gli I Hate My Village, a concludere la serata del Soundpark Fest all’interno del polmone verde di Pesaro, ci pensano i turchi Lalalar. Risparmiano la catalogazione, dovuta per dovere di cronaca, auto-definendosi “Sonic Psychedelic”. Strana scelta da parte degli organizzatori quella di far suonare i Lalalar dopo quelli che, di norma e per promozione, sono gli headliner della serata. Come prevedibile, il parco si svuota per più di metà lasciando però la band di Istambul quasi indifferenti, al grido (ideologico) di “pochi ma buoni”.
a cura di
Illary Terenzi
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