“Vite vessanti”, il senso di abbandono e di impotenza raccontato da Chi Li

“Vite vessanti”, il senso di abbandono e di impotenza raccontato da Chi Li
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Scritta nel 1987, e riadattata in ben tre versioni, Vite vessanti è la novella più conosciuta della scrittrice cinese contemporanea Chi Li. Tradotto in inglese con il titolo Troubled life, il racconto breve è ambientato nella Wuhan degli anni Novanta, diventata il simbolo della politica discriminatoria delle Riforme della seconda metà del Novecento

Dopo la stesura della sua prima novella dal titolo Nice moon, Chi Li riesce a guadagnarsi il benestare della critica cinese scrivendo Vite vessanti (烦恼人生) con non poca difficoltà. Nella letteratura cinese contemporanea, è facile trovare scrittrici cinesi capaci di saper coltivare il proprio dono artistico, ma faticano sempre a rimanere note nel lungo periodo. In questo alto clima di competizione, soltanto Chi Li riesce a mantenere vivo l’interesse del lettore, arrivando ad essere tanto amata dal suo pubblico da diventare un’icona del panorama neorealistico cinese.

Nonostante la grande fama, Chi Li è da sempre la scrittrice silenziosa che fatica a socializzare nei circoli letterari. Questa sua indole solitaria e alienata si ripercuote nei suoi racconti brevi, creando personaggi frustrati e inesorabilmente abbandonati a loro stessi. Come lei afferma: “Se la mia asocialità è vista come un difetto, allora lo ammetto sono una persona con un difetto”. Vite vessanti è l’affresco veritiero e significativo di molteplici situazioni che stavano trovando terreno fertile nel tessuto sociale cinese degli inizi degli anni Novanta, narrati da lontano, e da coloro che non ne avevano accesso.

Le vicissitudini di persone comuni

Il protagonista di Vite vessanti è un uomo “demascolinizzato” attorniato da tre donne che ne hanno forgiato e definito il carattere. In questo racconto breve si descrive la classica giornata di Yin Jiahou, un giovane operario di una fabbrica comune sposato e con un figlio di otto anni. La breve narrazione inizia con le urla strazianti della moglie, traumatizzata per la dolorosa caduta dal letto del figlio, e si conclude con il rientro a casa titubante di Yin Jiahou, dove ritrova una sorte di riappacificazione con la petulante consorte.

Una volta giunto al lavoro, l’operaio viene costantemente assediato controvoglia dalla stagista pazzamente innamorata di lui ma non ricambiata. Stupito dalle avance dell’affascinante maestra delle elementari del figlio, la cui fisonomia ricorda la vecchia fidanzata da lui tanto amata, Jiahou ripudia ogni tentativo di una probabile corrispondenza amorosa. Nonostante le avvenenti tentazioni, l’uomo cerca di comportarsi da marito fedele ad una moglie per cui non sembra provare alcun slancio emotivo.

Non solo il protagonista tenta di ricondurre alla ragione le due belle spasimanti declinando le loro offerte amorose, ma si vede anche sottrarre il premio di produzione che gli aspettava a favore di un collega incapace, ed è persino costretto a nominare il comitato d’accoglienza per la delegazione giapponese procurandosi così le antipatie dei suoi colleghi patriottici e nazionalisti. L’epilogo perfetto di una giornata iniziata e finita nella mediocrità.

La “demascolinizzazione” dell’uomo

A differenza di altri autori del tardo Novecento, che analizzano la “demascolinizzazione” dei propri personaggi come l’impotenza di gestire i continui cambiamenti che la società cinese stava vivendo in quegli anni, Chi Li ricorre all’uomo che pecca in virilità come mezzo per affrontare la questione di genere. I protagonisti maschili delle sue novelle diventano sia la piattaforma che il punto di vista principale attraverso cui è possibile scoprire e approfondire una moltitudine di personaggi femminili. Come Chi Li afferma nell’incipit della novella Andirivieni: “La vita reale di molti uomini comincia con una donna”. I piccoli uomini descritti, per quanto possano arrivare a raggiungere aspirazioni lavorative, sono comunque personaggi inetti dalla vita privata fallimentare.

La scelta di descrivere minuziosamente la vita senza successo di giovani cinesi, alle prese con il delicato equilibrio matrimoniale e i problemi di tutti i giorni legati al lavoro e alla gestione dei figli, regala un’immagine vivida di com’è la società cinese ancora oggi. Non c’è nulla di speciale nella vita di questi uomini ma le loro esperienze sono così veritiere che, attraverso la narrazione di Chi Li, è possibile sentire la loro sofferenza. Schiacciato dal peso di marito devoto alla moglie, Yin Jiahou accetta di vivere miseramente una storia d’amore al capolinea, reprimendo i propri desideri. Una realtà del tutto prosaica, fatta di una serie di dolorosi confronti e tristi eventi, che ledono le speranze dell’uomo di vivere una vita da sogno e non una misera realtà.

“Ascoltate, un poeta giovane ha composto una poesia fatta di una sola parola. Si intitola La vita e il testo è “Rete”. Che ve ne pare? Straordinario no? Chi di voi non vive dentro una rete?”. A questo punto Yin si riscaldò. “Ti propongo una poesia abbinata. Il titolo è uguale, si tratta ugualmente di una poesia di un’unica parola”. Tutti gli sguardi si posarono su di lui mentre lui pronunciava tranquillamente: “Sogno”. “Bravo bravo”, gli dissero.

Una “penna delicata” per dar voce a Wuhan

La scrittura di Chi Li è definita spesso dai critici letterari cinesi come gentile e leggera. In effetti, la lettura di Vite vessanti è gradevole e scorrevole, quasi a contrasto con i temi importanti che emergono dalla novella. In selezionate pagine, Chi Li rievoca non solo l’inadeguatezza dell’uomo nell’affermarsi come individuo capace di realizzare le proprie aspirazioni, ma permette anche al lettore di conoscere una realtà cinese poco conosciuta come quella di Wuhan. Questa città al centro della Cina incarna perfettamente le contraddizioni dell’era delle Riforme e dello sviluppo difforme della Cina contemporanea.

La politica del tardo Novecento a favore di un progresso economico, sociale e tecnologico è riscontrabile soltanto nelle regioni cinesi più orientali. Wuhan trovandosi nell’entroterra cinese, è sempre stata parzialmente toccata dalle riforme progressiste, anche quando le aree più occidentali vennero riqualificate. Nel periodo finale degli anni Novanta, Wuhan venne notevolmente marginalizzata perché non era né troppo sottosviluppata da catturare l’attenzione politica, né abbastanza occidentale da attrarre investimenti. La centralità di questa città non regala ai suoi abitanti motivo di vanto, anzi, evoca un senso di perdita causata dalla trascuratezza del governo centrale. Una città perfetta per ambientare i personaggi abbandonati di Chi Li.

a cura di
Elisa Manzini

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