Palazzina LAF: un film necessario
Palazzina LAF è l’opera prima di Michele Riondino. Uscito nelle sale a dicembre 2023 non ha avuto un grande riscontro di pubblico. Ma i premi incassati durante la 69ma edizione dei David di Donatello hanno dimostrato che questo film va ampiamente riconsiderato.
I premi di cui sopra, sono: David al Miglior attore non protagonista che va a Elio Germano e David al Miglior attore protagonista a Michele Riondino. Non solo. Diodato ha vinto il David come miglior canzone originale con il brano “La Mia Terra”. E allora è il segno che questo film ha lasciato un segno nella giuria dei David, perché ne hanno saputo leggere l’attualità e lo stato critico del lavoro proprio in Italia.
Una sceneggiatura importante
Diciamo subito che il film è tratto dal libro “Fumo sulla città” di Alessandro Leogrande, purtroppo prematuramente scomparso. Un grande intellettuale che avrebbe dovuto partecipare alla realizzazione del film. Un documentarista che ha saputo descrivere le contraddizioni del meridione tra sfruttamento e oppressione. Proprio a Taranto, la sua città, ha dedicato diversi libri. Reportage accurati su una città martoriata dal centro siderurgico che ha causato, negli anni, la morte di un numero molto elevato di operai e di abitanti della città pugliese. Non solo, si tratta di uno dei più gravi disastri sanitari e ambientali della storia italiana ed europea.
Ma il film, oltre a parlare degli effetti dell’industria siderurgica su Taranto, affronta un’altra questione realmente accaduta nel 1997. La grande azienda dell’ILVA, originariamente statale, viene venduta al privato. Questo cercherà di economizzare eliminando personale, ma l’articolo 18 lo vietava. In un’area dell’impianto siderurgico chiamata appunto “Palazzina LAF” venivano così confinate maestranze (dagli ingegneri ai magazzinieri, dagli impiegati ai caposquadra) che non accettavano nuovi incarichi (spesso degradanti). Un sistema per costringere il dipendente a licenziarsi spontaneamente. Un luogo di confino che col tempo si trasformò in una sorta di lager. Si tratta della prima denuncia per mobbing collettivo denunciato e finito nelle aule di tribunale.
La storia
Protagonista del film un operaio Caterino Lamanna (Michele Riondino), che vive in una masseria in disuso e sogna di venire a vivere in citta, a Taranto, per avvicinarsi al lavoro e sposare la sua ragazza, Anna. Avvicinato dal dirigente dell’ILVA Giancarlo Basile ( Elio Germano), accetterà di fare da spia e comunicare a lui le attività sindacali del suo collega Renato Morra. Informato dell’esistenza di questa Palazzina dove i dipendenti vengono pagati per “non fare niente”, Caterino chiede di essere trasferito lì anche lui. Pur non rinnegando la sua scelta, si accorgerà delle condizioni a cui sono sottoposti i suoi colleghi.
Senza scadere nella retorica, il film denuncia il continuo disfacimento di un territorio e lo sversamento di veleni. Nella Palazzina LAF poi veniva operato un sistema di oppressione e di svilimento della persona. Le vicende che si sono succedute negli anni riguardo l’impianto siderurgico dell’Ilva sono di un fallimento delle politiche italiane e europee nell’ambito non solo del lavoro ma anche dello sviluppo di un territorio affascinante del Sud. Il vero protagonista è comunque Caterino. Riondino ne riesce a caratterizzare il bieco opportunismo e l’individualismo degli operai di oggi incapaci di valorizzare il loro ruolo e i propri diritti.
“Caterino non ha gli strumenti, ma non ha neanche la voglia di capire e di riconoscere, nella condizione di confinati, una precarietà. Caterino ha l’abitudine di considerare la propria condizione come quella di uno schiavo e vede il “non lavoro” dei suoi colleghi come una condizione favorevole. Ma conoscendoli sviluppa una coscienza.”
Michele Riondino
Lascio scoprire a voi da che parte si schiera Caterino. Quella presa di coscienza lo porrà di fronte ad un bivio: solidalizzare coi colleghi costretti a una condizione quasi disumana o prendere le parti del più forte per non dimostrare debolezza.
Il film ha, a nostro parere, la forza delle opere di Elio Petri. La reazione di Caterino è la reazione della grande maggioranza degli operai di oggi. E’ qui che il teatro degli eventi diventa lo spettacolo della classe operaia di oggi. E così, come Gian Maria Volonté in La classe operaia va in Paradiso fu l’interprete credibile di quella condizione, Riondino anche qui dimostra carattere e trasporto. Una figura tragicomica, un perdente illuso e testardo che rimanda anche alle prime interpretazioni di Giancarlo Giannini magnificamente diretto da Lina Wertmuller.
Una parola la merita anche Elio Germano. Durante la premiazione ai David di Donatello ha invitato sul palco Michele Riondino e ha dichiarato:
“Vorrei condividere questo premio con Michele, puoi venire sul palco per favore? Questo ruolo volevi farlo te. Io mi sono rifiutato di fare il protagonista, noi dobbiamo fare delle lotte insieme e questo film è stato una lotta. Anche noi andando in giro per l’Italia abbiamo capito che questa storia è molto attuale perché parla di lavoro che ci riguarda tantissimo. Taranto è una città meravigliosa, violentata dal profitto. Il cinema non può cambiare le cose, ma magari lo sguardo”.
Elio Germano
Un altro fattore di pregio del film è anche la volontà di crearne un’opera. A questo ha contribuito il lavoro della sceneggiatura affidata a Maurizio Braucci, al montaggio (col bravo Julien Panzarasa). A volte sono le immagini a parlare più che i dialoghi. Accenni che descrivono la condizione di un territorio, il contrasto fra la bellezza rustica e una cattedrale siderurgica che non ha prodotto lavoro e progresso come si era prefissato. Notevole poi il commento musicale affidato a Teho Teardo. Last but not least, la canzone che chiude il film, affidata ad un altro tarantino doc come Diodato.
Conclusione
In definitiva un film che non è solo un tassello nell’impegno di Michele Riondino verso la città di Taranto, che continua in maniera attiva da tanti anni, ma anche un film necessario. E’ la rappresentazione dello stato del lavoro nel nostro paese ma anche nel mondo. Una logica del profitto che ha mortificato i valori e le lotte del movimento operaio. Una classe lavoratrice venduta al padrone per trenta denari e per una riduzione sistematica di risorse e potenziale umano. Il profitto che uccide gli investimenti verso maestranze che vanno coltivate e che rappresentano uno sguardo aperto verso il futuro.
a cura di
Beppe Ardito
Seguici anche su Instagram!