Michelangelo Merisi detto Caravaggio: il mistero dei quadri rubati, smarriti o distrutti
Michelangelo Merisi detto Caravaggio è uno degli artisti più rivoluzionari e influenti di sempre, divenuto famoso grazie alle sue opere tecnicamente straordinarie e cariche di energia drammatica, oltre che per la sua travagliata storia personale colma di delitti, crimini e malefatte.
Il celebre pittore lombardo ha lasciato dietro di sé un’eredità che continua ad essere oggetto di studi e curiosità degli esperti e degli appassionati d’arte. Tuttavia, esistono ancora opere di cui siamo a conoscenza solamente attraverso le fonti storiche, quadri mai rinvenuti e al centro di intense ricerche.
Caravaggio è quel “genio ribelle” che tanto spaventò e meravigliò il primo Seicento durante la sua breve ed intensa vita. L’esistenza tormentata dell’artista si riflette sulle sue opere, spesso protagoniste di vicende intricate. Molti capolavori sono andati perduti a causa di eventi storici, furti, oppure sono stati semplicemente smarriti nel passare da una generazione all’altra di collezionisti.
Giuditta e Oloferne: icona caravaggesca
Nonostante la sparizione di alcuni dipinti, la ricerca e gli studi condotti sull’artista hanno portato allo scoperta di tele considerate perdute per sempre o attribuite erroneamente ad allievi e seguaci. Ne è un esempio Giuditta e Oloferne, dipinto del Merisi considerato a lungo disperso e rinvenuto in una collezione privata in Francia nel 2014. Ritrovamento che ha sollevato numerose critiche e dibattiti sull’autenticità dell’opera e sulle condizioni di conservazione della stessa.
Esempio magistrale dello stile caravaggesco unisce maniera e realismo in un incontro dettato dalla luce, una fonte luminosa di taglio dall’incredibile forza teatrale. Il quadro è stato scoperto nella soffitta di un’abitazione a Tolosa e ritrae l’eroina del Vecchio Testamento nell’atto di decapitare Oloferne. Soggetto iconografico caro a Caravaggio di cui esistono due altre rappresentazioni: Giuditta che decapita Oloferne, conservato alla Galleria d’arte antica di Palazzo Barberini a Roma e un’altra versione realizzata a Napoli e scomparsa nel XVII secolo.
Gli esperti avrebbero ipotizzato che questo dipinto ritrovato sia propria la copia napoletana che si credeva sparita. L’opera sarebbe rimasta per quasi un secolo e mezzo nella soffitta di una vecchia abitazione, perfettamente conservata. Purtroppo, le opere d’arte ritrovate non possono per loro natura essere attribuite con certezza, ciò nonostante questo rinvenimento contribuisce a completare il catalogo dell’artista.
Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi: arte e mafia
Analogamente a quanto successo con la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, trafugata nel 1969 dalla Cappella Oratorio di San Lorenzo a Palermo. Una delle ferite più profonde nella storia dell’arte italiana.
La pala è stata rubata con grande facilità dal luogo che l’aveva ospitata per secoli, nella notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1969. Da subito le indagini avevano incentrato i sospetti su un gruppo di uomini incappucciati che erano entrati nel luogo di culto, soggetti mai identificati, forse per via delle intromissioni nelle indagini da parte della mafia. Il mistero degno di essere trasporto in versione cinematografica è rimasto irrisolto, seppur l’opera sia emersa più volte nelle dichiarazioni dei pentiti di mafia.
Le ipotesi sono tante, c’è chi pensa che il dipinto si trovi ancora conservato nel salotto di qualche capo mafia, come chi crede che sia marcito in qualche fienile nel tentativo di tenerlo nascosto oppure bruciato per le troppe ricerche e pressioni delle forze dell’ordine. Addirittura, esistono i sospetti di una trattativa segreta fallita messa in atto dalle autorità per recuperare il dipinto pagando un riscatto.
Segue il San Matteo e l’angelo, opera perduta per sempre. La pala, realizzata per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, sarebbe la prima versione rifiutata del soggetto tuttora visibile in una seconda versione edulcorata nella chiesa.
Il dipinto disperso fu acquistato da Vincenzo Giustiniani, grande mecenate del pittore, per poi essere venduta allo stato prussiano dai suoi eredi nel 1815. Malauguratamente, quest’opera esposta nel Kraiser Friedrich Museum di Berlino, fu vittima di un incendio che coinvolse l’edificio distruggendo moltissimi dipinti nel 1945.
San Matteo e l’angelo: esistono altre copie?
Ad oggi del dipinto rimangono solo alcune foto in bianco e nero, una riproduzione realizzata dal pittore finlandese Antero Kahila nel 2008, e una piccola copia riscoperta nel 2017 all’interno della chiesa di Saint Martin a Pullac (Bordeaux).
Quest’ultima è stata ricondotta all’opera originale per via delle diverse corrispondenze con la versione selezionata per la Cappella Contarelli. Matteo appare seduto su una sedia coperta da una grande drappo e intento a scrivere il suo Vangelo. L’espressione aggrottata e lo sguardo fissano intensamente il foglio su cui sta scrivendo, il Santo è concentrato sulla scrittura mentre l’angelo gli detta con grazia. È proprio a causa della “sensualità dell’angelo” che questa versione fu rifiutata, considerata offensiva e a dir poco eretica.
Amato e venerato da molti coetanei Caravaggio fu replicato e studiato a lungo. Fascinazione che ha creato non poche difficoltà agli storici durante l’attribuzione di svariati opere dedicate al suo lavoro.
È il caso della Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, di cui sono state realizzate decine di copie subito dopo la scomparsa dell’artista. Repliche che testimoniano l’impatto che l’opera ebbe sulla comunità artistica e la passione dei suoi mecenati che non smisero di desiderarne i lavori neppure post mortem. Molti pittori sopravvivevano letteralmente delle sue copie, soprattutto a Napoli e a Roma, città dove il pittore aveva ottenuto grande riconoscimento da parte dei collezionisti e dell’autorità locali.
In conclusione, Michelangelo Merisi detto Caravaggio continua a sorprendere, rimanendo una figura senza tempo, destinata ad essere ammirata e considerata simboli di innovazione e riforma ancora a lungo.
a cura di
Francesca Calzà
Seguici anche su Instagram!