Liam Gallagher & John Squire – Fabrique, Milano – 6 aprile 2024
Unica data italiana sold out per Liam Gallagher e John Squire, una delle super band di quest’anno. Gli assoli di chitarra blues stellari di Squire e lo stile da “bad boy” di Liam Gallagher hanno infiammato il pubblico italiano e non solo
Una giornata splendidamente primaverile ci accoglie a Milano. Rinfrancati da questo ci accingiamo ad assistere a uno dei concerti più attesi del weekend e unica data italiana. Liam Gallagher e John Squire con l’album omonimo, hanno dato vita a una delle formazioni più interessanti dell’anno e il tour che ne è seguito ha suggellato questo progetto.
Un Fabrique strapieno per un sold out già annunciato da settimane. Noi siamo riusciti ad assicurarci il post pre-ordinando il disco in uscita entro il 30 gennaio. Un’operazione che le case discografiche stanno adottando visti i sold out sempre più frequenti di artisti mainstream.
La legge di Murphy..dei concerti
Troviamo un pubblico per lo più dai quarant’anni in su. Con un “ragazzo” di questi, con tanto di barba “hipster di ordinanza”, scherziamo sulla regola che caratterizza tutti i concerti: ci sarà sempre uno più alto di te a occuparti la visuale. Insomma la classica “legge di Murphy dei concerti”. Per di più vogliamo quasi piangere sulla spalla uno dell’altro perché non “fuma” nessuno intorno. Insomma non arrivano “odori strani” ad allietare lo spettacolo di noi spettatori.
Come dicevamo, pubblico variegato. Coppie brizzolate e qualche gruppetto di vecchi amici cresciutelli. E poi inglesi o olandesi belli fuori già prima del concerto. Altri che portano con fierezza felpe vintage dell’Adidas (per lo più rosse e ne ho una anch’io presa in un mercatino a Liverpool, ma non ditelo a Liam) e copricapi bucket-hat “da pescatore”. Magliette degli Oasis e qualche “provocatore” con quella dei Blur (!).
Il concerto
Ad aprire il concerto quel bravo ragazzo di Jake Bugg. Fa tenerezza vederlo “strummare” con l’acustica e darci dentro a cantare le sue canzoni.
Alle 21.15 ecco fare l’ingresso sul palco Liam Gallagher e John Squire con la band. “Just Another Rainbow” apre le danze. Forse uno dei brani di punta dell’album, il più legato alle influenze blues-psichedeliche care a John Squire. Con “I’m a Wheel” Liam si presenta come “un vecchio ca**ne che canta una canzone blues” in un’accento smaccatamente mancuniano.
Con “Love you forever”, brano dalle chiare influenze hendrixiane, la band si lascia un po’ andare all’improvvisazione finale. Sì perché il sound ha una bella botta e la band si dimostra all’altezza della situazione ma sembra quasi che, per la maggior parte, si limitino a fare il buon compitino. La durata del concerto (praticamente un’ora compresa una breve pausa prima del bis) ne è la dimostrazione.
Suonare “alla vecchia”
Il sound della chitarra british-blues di John Squire però è una garanzia. Suonano tutti “alla vecchia” senza “simulatori digitali di amplificatori” sempre più usati dai chitarristi di ultima generazione. John Squire sfoggia tre casse Marshall che sembra quasi Jimmy Page degli anni d’oro.
Il resto della band fa il lavoro in maniera egregia soprattutto Chris Madden, membro stabile della band di Liam Gallagher. Si riesce persino a distinguere il suo lavoro all’hammond organ e il piano che rimanda a Nicky Hopkins, vecchio collaboratore degli Stones (e qui il cerchio quasi si chiude). Ma come non citare il bassista Barrie Cadogan (Morrissey, Primal Scream) e il batterista Joey Waronker (batterista dell’album ma anche di REM, Beck e molti altri).
“Raise your hand” chiude il set. Dopo poco ritorna la band. Liam annuncia “Volete sentire un brano dei Rolling Stones?” e parte una “Jumpin’ Jack Flash” impeccabile ma senza infamia né lode. Come abbiamo detto, durata del concerto un’ora esatta. Liam era stato categorico sulla durata e sulla mancata concessione di cover degli Oasis. In mancanza di ciò però abbiamo potuto ammirare la sua classica posa mentre canta chino con le mani intrecciate dietro la schiena. Ma attenzione Liam, quella posa trent’anni fa era segno di stile ora rischia di essere un “poser modello umarell” di quelli che vediamo ai cantieri la mattina.
a cura di
Beppe Ardito
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