Saltburn di Emerald Fennell: una falena ed un angelo
Salltburn di Emerald Fennel è uscito il 22 dicembre su Prime video. Un film bello da vedere con dei grandi e fondamentali difetti
Emerald Fennel, dopo Promising young woman torna a scrivere e dirigere un altro lungometraggio: Saltburn, uscito il 22 dicembre su prime video. In America era già stato distribuito in sale limitate il 17 novembre.
Cast tecnico ed artistico
Per questo film le aspettative erano molto alte, per diversi motivi. Il cast: Jacob Elordi (Euphoria, Priscilla, acque profonde) Barry Keoghan (il sacrificio del cervo sacro, Dunkirk, eternals), Rosamund Pike (L’amore bugiardo- Gone girl, I care a lot, Orgoglio e pregiudizio, Il caso Thomas Crawford), Richard E. Grant (Dracula di Bram Stoker, The Iron Lady, Logan – The Wolverine e Star Wars: L’ascesa di Skywalker), ma non solo gli attori sono i nomi noti legati a questo film.
La produttrice è Margot Robbie, che ha già prodotto il precedente film di Fannell ed il direttore della fotografia è Linus Sandgren (collaboratore abituale di Damien Chazelle, Don’t look up, American Hustle – L’apparenza inganna). Per queste ragioni, tra cast e produzione, Saltburn era un film promettente.
I luoghi del film e la fotografia
Il film, in un formato 1:1 è, grazie al direttore della fotografia, una sequenza di immagini piacevoli e suggestive. Grazie a lui, i pochi luoghi in cui si svolge il film sono capaci di prendere forme diverse e creare diverse suggestioni: il divertimento e la leggerezza delle sequenze estive diventano poi oppressione, smarrimento e disagio, quando il film prende pieghe più drammatiche.
La potenza di questa fotografia non sta nel far mutare i luoghi ma più nel fatto che i luoghi non sembrino mai gli stessi. Il film dona un senso di smarrimento in cui solo pochissimi luoghi sono riconoscibili, restituendo i pochi punti di riferimento che ha chi è estraneo ai luoghi. Grazie anche a questo punto, capiamo che il punto di vista assunto per narrare la storia è quello del protagonista: Oliver.
Il presupposto del film
Oliver è un emarginato che si ritrova ad Oxford con un unico amico. Nel tempo stringe amicizia con Felix. Felix è come il sole: tutti gli girano intorno, emana luce che illumina e riscalda tutti, tutti hanno necessità di stargli vicino. Questo viene detto e ripetuto, forse più detto che mostrato, e questo è un gran peccato. Oliver e Felix, in seguito ad un lutto subito da Oliver, che perde il padre per tossicodipendenza, decidono di passare l’estate insieme a Saltburn. Felix ha lì tutti i suoi affetti più cari: I genitori, la sorella, il cugino, che è come un fratello adottivo.
Man mano che Oliver vive questa casa si rende conto delle dinamiche che la regolano: feste, sregolatezza, stravaganza, non sono un problema, anzi, sono la loro normalità. Quando comunicano sparlano, indagano, origliano, analizzano la vita di ognuno senza farsi scrupolo alcuno, protetti dal loro privilegio di vedere tutto dall’alto. È sorprendente come Oliver, dopo poco tempo, entri a far parte di queste dinamiche. Comincia, anche lui, a parlare di tutto come se lo vedesse dall’alto, lui che in alto non c’è mai stato.
Dopo poco tempo che Oliver vive a Saltburn inizia ad essere uno di loro, li studia per smettere di essere ospite ed iniziare ad essere abitante. Semina bugie dove gli conviene, aspettando che cresca la pianta che lui aveva programmato, aspettando che faccia ombra su qualcuno, e che metta in luce lui. Noi spettatori vediamo questo lento processo, ci abituiamo alle personalità e agli abitanti di Saltburn ed aspettiamo. Aspettiamo cosa? Esattamente quello che succede, la trama è già scritta, sin dai primi minuti del film, ed è questo il grandissimo difetto, un difetto strutturale, che lo fa crollare come un castello di sabbia.
I difetti del film
Questo è il principale difetto del film, ma non è l’unico. Se prendiamo l’esempio della scena in cui l’amico di Oliver urla verso di lui creando imbarazzo e silenzio nella sala vediamo un gesto che rimanda al surrealismo e alle atmosfere dei film di Lanthimos e di Lars Von Trier, o almeno vorrebbe. Ecco l’altro principale difetto del film: voler essere disturbante e risultare, invece, solo una spiacevole imitazione. Il film si ispira chiaramente a film d’autore europei ma sembra copiato male, riproposto in modo più digeribile, come se Fennel avesse paura di lasciar andare, di esagerare, ma nei film con questo tipo di scene bisogna esagerare per renderle grottesche, altrimenti solo solo farse.
Le scene di autoerotismo e adulazione verso l’oggetto del desiderio con cui si condivide estate, casa, famiglia e bagno, sembrano copiate ed incollate da Call me by your name dove però il gesto avveniva al culmine di una tensione sessuale costruita in modo matematico.
Il contrasto bello/brutto, ricco/povero, amante/amato, corpo/parassita, è spinto al limite. Felix è il bello, amato, ricco. Oliver è il brutto, povero, amante. Felix è il corpo, Oliver il parassita che toglie vita a quel corpo per sopravvivere. Felix è l’angelo, il sole, Oliver è la falena, che va dove c’è luce. Non c’è sfumatura. Oliver è il conquistatore e Felix è la terra da conquistare. Il fatto che Oliver ci riesca viene messo in conto e quasi dato per scontato dal primo momento. Tra “Promising young woman” e “Saltburn” il passaggio è stato la perdita di complessità. Questo film è lo slogan “eat the rich” senza possibilità di scegliere.
A cura di
Emma Diana D’attanasio
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