Dove arte e musica si mescolano: la mostra degli Who a Piacenza

Dove arte e musica si mescolano: la mostra degli Who a Piacenza
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Risale a sessant’anni fa la nascita di una delle band che più ha segnato indelebilmente la storia della musica: gli Who.

Il gruppo musicale, capitanato da Roger Daltrey e accompagnato da Pete Townshend (chitarrista e autore della maggior parte delle canzoni), John Entwistle (basso elettrico), e Keith Moon (batteria), celebra anche un secondo anniversario: i cinquanta anni della rock-opera “Quadrophenia. Pertanto, quale miglior occasione per commemorare il loro successo? La giornalista Eleonora Bagarotti coglie l’occasione dell’anniversario per realizzare una mostra suggestiva, dove rock è la parola d’ordine. La mostra “THE KIDS ARE ALRIGHT – 60 anni di The Who” sarà disponibile fino al 5 novembre a Palazzo Biffi a Piacenza.

Ciao Eleonora, è un piacere intervistarti su The Soundcheck! Da cosa è nata l’idea di creare una mostra interamente dedicata ai The Who?

Grazie! L’idea di una mostra dedicata agli Who nasce dal desiderio di omaggiare una band, che quest’anno festeggia i 50 anni della rock-opera, capolavoro rock assoluto, “Quadrophenia” e il prossimo anno i 60 anni di carriera. Seguo e amo gli Who sin da ragazzina e la condivisione di questa passione con alcuni amici artisti è stata una miccia che ha acceso l’idea della mostra.

La mostra avviene a ridosso del sessantesimo anniversario della creazione della band. È stato un caso o l’intento iniziale era ricordare ed omaggiare il gruppo musicale?

Ovviamente non è stato un caso, ma è pur vero che l’idea di omaggiare gli Who con un catalogo in italiano e in inglese, con racconti ed esperienze di alcuni amici e foto inedite, doveva realizzarsi qualche anno fa per un importante editore. Nonostante un contratto firmato, l’editore vendette baracca e burattini e il progetto saltò. Per certi aspetti, una parte di quel progetto è diventato ora il catalogo della mostra “The Kids Are Alright. 60 anni di The Who”, in corso fino al 5 novembre alla galleria Biffi Arte di Piacenza.

Come è avvenuto il processo di reperimento delle fotografie, opere e di organizzazione pratica della mostra?

Con molte notti insonni, tantissime telefonate via skype, email e incontri diretti. Ci sono voluti alcuni mesi per capire su chi potevo contare e su quali opere, incluse le immagini ufficiali i cui diritti ci sono stati concessi da Londra. L’estate è stata dedicata a una selezione che creasse un percorso esaustivo e interessante. Qualcuno non è stato inserito: se avessi avuto a disposizione un Museo, e non un galleria d’arte, avrei sicuramente aggiunto altre sezioni.

Aveva mai lavorato ad un progetto in cui musica e arte figurativa si mescolano fra di loro?

Era il tema del primo libro che ho pubblicato, “L’eredità del sogno” per Cortina Editore, con testi e disegni. E quello della mostra “Let It Be… astles” allestita a Palazzo Farnese, a Piacenza, che ho curato in passato insieme al collezionista Alberto Dosi, con pannelli dedicati alle copertine degli album del gruppo. George Martin inviò un saluto prima dell’inaugurazione: fu una grande emozione.

In che modo ha deciso di predisporre il percorso espositivo? Attraverso un ordine cronologico o piuttosto tematico?

Sicuramente tematico – con omaggi espliciti a “Tommy” e a “Quadrophenia” – anche se l’aspetto cronologico emerge da alcuni dettagli. Idealmente ad aprire la mostra è un quadro di Kosmo Vinyl, che cita gli High Numbers – il nome che la band aveva prima di chiamarsi The Who. E finisce con un’immagine di Pete e Roger mentre parlano a Firenze, dopo il concerto: l’ha scattata Marco Zatterin, in un momento quasi privato, e successivamente Francesco Cabras, fotografo e regista, l’ha lavorata. S’intitola “Tea & Theatre” come una canzone del penultimo album degli Who e mostra esattamente ciò che sono, oggi, Pete e Roger. L’ho acquistata io, quella foto. Tutte le immagini e i dipinti sono infatti in vendita e, così come il catalogo, i proventi andranno interamente al Teenage Cancer Trust.

Per lei, questa mostra ha un valore affettivo e diciamo affettivo?

Ha un valore artistico, estetico ed effettivamente affettivo. Lo ammetto nell’introduzione al catalogo, che è una sorta di lettera pubblica a Pete Townshend, una delle persone più importanti della mia vita. Aggiungo che il catalogo è dedicato a Keith Moon, a John Entwistle ed anche ad Antonio Ruotolo, un caro amico che aveva fornito alcune immagini, prima di morire prematuramente. Quindi, la componente affettiva è sempre stata presente – non solo in me. E’ ciò che, ad esempio, ha spinto un grande attore come Matt Dillon a realizzare un trittico intitolato “Happy Jack” per la mostra, un gesto amichevole ma anche il segno di una grande passione musicale condivisa.

La mostra è ad ingresso libero, mentre il ricavato per l’acquisto dei cataloghi andrà all’associazione benefica sostenuta dagli Who; la Teenage Cancer Trust. Può spiegare meglio di cosa si tratta?

La gratuità dell’operazione, condivisa anche da chi ha realizzato opere e prestato immagini, è ciò che ha contraddistinto tutto il lavoro. La pubblicazione di un catalogo, con testi, immagini e opere in mostra, è stata fortemente voluta per sostenere, nel nostro piccolo, il Teenage Cancer Trust, un progetto benefico avviato dagli Who per offrire cure e ricerche rivolte agli adolescenti ammalati di tumore. Per me non poteva esistere un’iniziativa che raccontasse i 60 anni degli Who e che non tenesse conto del loro impegno sociale e della loro attenzione nei confronti dei giovani più fragili, che sono da sempre il soggetto primario delle loro canzoni.

a cura di
Annachiara Magenta

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