“Io Capitano”: la recensione del nuovo film di Matteo Garrone 

“Io Capitano”: la recensione del nuovo film di Matteo Garrone 
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Lo scorso 7 settembre è uscito in sala “Io Capitano”, il nuovo attesissimo film di Matteo Garrone, premiato quest’anno con il Leone d’argento per la miglior regia all’80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Una pellicola che riflette con durezza ed autenticità sul fenomeno dei flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo centrale, raccontando questa storia dal punto di vista dei suoi protagonisti. 

Mar Mediterraneo. Una moltitudine di anime deliranti urla e si dibatte, dispersa tra i flutti in mezzo al nulla, tra il caldo del sole cocente ed il sudore dei corpi accalcati. 

Spintoni, grida, il terrore negli occhi.
Il panico dilaga, dirompente, alimentato dall’isteria di uomini e donne senza un futuro, sospinti in quel viaggio senza ritorno da paura, povertà, e una vana speranza. 

Una donna incinta piange spaventata, attendendo la fine. Uomini e bambini crollano a terra, ammassati nella sala motori per ricavare spazio.
C’è chi invoca Allah, chi una goccia d’acqua.
C’è chi dorme, chi prega. Chi spinge e chi urla, con trasporto e violenza.
Nessuna regola, ognuno ha il suo dio, in quella matassa infernale. In quel groviglio di corpi. 

Perché non esiste altra scelta, per le duecentocinquanta anime ammassate su quell’angusto battello. Nessun futuro, alcun sogno. Nessuna speranza tradita da quegli occhi sbarrati. 
Nulla, paragonato alla disperazione impressa sui volti consumati dal sole e dalla fatica. 

Perché quelle voci non arrivano alle orecchie di chi non riesce ad udire. Di chi decide di volgere il capo, per non ascoltare. 

“Io Capitano”

Io Capitano è la storia di Seydou e Moussa, due ragazzi senegalesi che, pieni di sogni e tanta voglia di vivere, decidono di lasciare le loro famiglie e partire per un viaggio avventuroso verso l’Europa, in cerca di fortuna. 

Appena usciti dal Senegal, però, i due ragazzi dovranno fare i conti con una realtà ben diversa da quella che avevano immaginato: il viaggio verso la loro Terra dei Sogni non si dimostrerà per nulla semplice, costellato di numerosi pericoli. 

Lavoro e fatica, inganni e soprusi, prigione e schiavitù metteranno più volte a repentaglio la loro vita, costringendoli a lottare con tenacia, sacrificando tutto ciò che hanno. 

“La sfida è stata quella di provare a raccontare questa storia senza cadere in una serie di rischi. Raccontare la storia dal punto di vista di chi ha vissuto quel viaggio, per dare al pubblico la possibilità di riviverlo attraverso gli occhi di Seydou. Abbiamo cercato di dare una forma visiva a tutta quella parte di viaggio che in realtà non si conosce. Seydou, insieme a Moustapha, ha avuto il coraggio di entrare in questo personaggio, di dargli una dimensione e una personalità. Di recitare con quella sua purezza. 

“Io Capitano”, è una storia legata a tante storie. Contiene tanti racconti di tante persone che hanno vissuto quell’esperienza. Anche nel film, durante il viaggio, tutte le persone presenti sulla scena hanno vissuto l’esperienza del deserto. Questo è stato fondamentale per restituire a voi una verità, e non solo una ricostruzione didascalica. Era importante che ci fosse una verità. Che ogni fotogramma fosse vero. Rendere ogni momento autentico. È una cultura molto distante dalla mia, così ho capito che l’unico modo era quello di fare il film insieme a loro: ascoltarli. Mettere il mio sguardo a servizio dei loro racconti, nel tentativo di far voce a chi mi stava intorno.”

Matteo Garrone

L’Esodo dei giorni nostri 

Io Capitano racconta la storia dei nostri giorni. Quella di un viaggio senza speranza, a bordo di piccole imbarcazioni sulle rotte del Mediterraneo centrale.
Un vero e proprio esodo, compiuto da uomini, donne, giovani e bambini che, scappando dalla guerre, dalle lotte politiche dei loro territori, da una vita senza futuro già segnata in partenza, decidono – anno dopo anno – di partire, mettendo a repentaglio ogni cosa. 

Un viaggio lungo e stremante, compiuto in condizioni precarie ed umanamente insostenibili. Per alcuni un vero e proprio sogno, per altri l’unica possibilità, concreta e realmente esistente. Necessaria, per salvaguardare la loro vita. 

Le cifre parlano chiaro. Sulla base dei dati forniti dall’OIM (l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) si contano più di 2.060 persone scomparse nel Mediterraneo da gennaio a luglio 2023, con oltre 89.000 rilevamenti segnalati dalle autorità nazionali nella rotta del Mediterraneo centrale. Numeri enormi, che aiutano a comprendere la portata di un fenomeno – quello migratorio – profondamente attuale, che ci riguarda da vicino. 

Il Mediterraneo centrale rappresenta, infatti, la principale rotta per l’entrata illegale nell’Unione Europea, caratterizzata da un aumento di più del doppio (+115%) della pressione migratoria, a causa dei prezzi estremamente vantaggiosi offerti dai contrabbandieri ai migranti in partenza dalla Libia e dalla Tunisia. 

89.000 rilevamenti. 
2.060 persone scomparse. 
In quella che si profila come una vera e propria crisi umanitaria. 

Ma restano comunque solo cifre, totalmente inadeguate ed incapaci di descrivere a pieno la portata di questo fenomeno. 

Cambio di prospettiva 

Io Capitano riesce, invece, pienamente in questo: prende tutte queste cifre e le trasforma, facendosi portavoce di una vicenda profondamente umana, in grado di far riflettere attivamente lo spettatore sul profondo dramma che caratterizza tutte queste vite. 

Garrone affronta in questo film un problema molto sentito. 
Ma lo fa nel modo più umano possibile, lasciando parlare le immagini presenti sullo schermo. Nelle quali è contenuto tutto il dolore e la fatica di questo viaggio senza speranza. 

La storia è la stessa, ma a cambiare è il punto di vista. Abbandonata una visione prettamente occidentale, l’Io narrante non è più esterno alla vicenda – distante e totalmente distaccato dallo svolgersi degli eventi -, ma un ragazzo senegalese di sedici anni, che compie con le proprie gambe la traversata nel Mediterraneo.
La voce di un popolo che la vita ha messo alle strette, spogliato di tutti i suoi sogni. 

Tra favola e realtà 

Il risultato è, dunque, questo: una pellicola autentica, in grado di segnare profondamente lo spettatore, scuotendolo dal suo torpore e catapultandolo oltre il deserto, in territori lontani e sconosciuti. 

Io Capitano parte da un sogno fanciullesco, quello di due ragazzi desiderosi di stravolgere le sorti delle loro vite. Un sogno che non tarderà, però, a scontrarsi con la brutalità e la ferocia proprie di un mondo dove non sembra esserci spazio per tali desideri.

La componente narrativa del film è dunque espressa in questa duplice necessità: quella di raccontare una storia reale, con lo sguardo innocente di un ragazzo di sedici anni obbligato a crescere troppo in fretta.

“Non ho mai rinunciato a mettere il mio sguardo, la mia visione. La realtà va sempre interpretata, mai imitata. Viviamo in un’epoca che è inverosimile, ma in certi momenti mi sono ritrovato a dover togliere: c’erano racconti così disumani da sembrare finti. Così ho fatto una scelta: mostrare ciò che accade dagli occhi di Seydou.

C’è anche una componente fiabesca. Ho spesso avuto la sensazione che in questo film si fossero fusi diversi percorsi della mia carriera. In “Io Capitano” c’è tanto di “Pinocchio”: l’abbandono della mamma, così simile a quello di Geppetto. C’è Lucignolo, il Paese dei Balocchi.
E la scoperta della violenza del mondo circostante, il vero grande monito dell’opera di Collodi. Ma ci sono anche momenti di realismo che si avvicinano molto a un film documentaristico come “Gomorra”. 

Matteo Garrone

Favola e realtà si mischiano, in un alternarsi di immagini e colori. Quelli caldi e riarsi del Deserto e dei suoi miraggi, in contrasto con altri, più cupi e tormentati, nelle prigioni delle mafia libica, dove spiriti ed entità emergono dall’oscurità. 

Senza rinunciare al carattere onirico, Matteo Garrone si avvale qui di un linguaggio autentico, ripercorrendo le storie e le vite di persone realmente esiste, in un collage di esistenze segnate dalla brutalità di un mondo a noi sconosciuto. Un film che ci mostra con crudezza la realtà dei fatti; tutte le torture, le sofferenze, ed una violenza che non conosceremo mai.

Che ci fa riflettere sulla fortuna della nostra sorte e sui privilegi di cui immeritatamente godiamo, basatisi tutti su un unico ed incontestabile dato di fatto: quello di essere nati nella parte più fortunata del mondo. 

E che ci pongono di fronte ad un’ulteriore domanda: che diritto abbiamo di respingere persone che rischiano la propria vita in nome di possibilità a noi assegnate arbitrariamente fin dalla nascita? 

“Questo tema va al di là della destra e della sinistra, della politica. Il film affronta una tematica universale, che mette in luce un’ingiustizia profonda, che queste persone vivono sulla loro pelle. Il non capire il perché alcuni loro coetanei possono venire tranquillamente in vacanza nei loro Paesi, mentre loro se vogliono andare in Europa devono affrontare un viaggio di morte. Questa è un’ingiustizia profonda. Sappiamo che esiste chi migra per guerra, per cambiamenti climatici, ma c’è anche chi è giovane e vuole cercare la fortuna nel mondo. Chi vuole una spinta vitale, che lo porti a conoscere ciò che c’è là fuori.”

Matteo Garrone

Il tacito urlo di chi non viene ascoltato 

La scena finale del film ne racchiude, a mio avviso, il significato più profondo.
L’urlo liberatorio di Seydou, che grida al cielo con orgoglio, verso l’elicottero della guardia costiera italiana, “Io Capitano”, si affievolisce sempre di più, soggiacendo progressivamente al frastuono delle eliche che si fa via via più assordante. 

E rappresenta la voce di un popolo intero, messo a tacere, in un angolo, dal resto del mondo.
Che guarda dall’alto e copre il lamento, incurante di quegli scheletri umani, dei tagli, dei graffi, della sporcizia sulla pelle e i vestiti. 

Rimangono solo quegli occhi stanchi, velati dal peso delle lacrime e dalla fatica. 

a cura di
Maria Chiara Conforti

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