Kublai ci racconta traccia dopo traccia “Sogno Vero”
Si intitola “Sogno Vero” ed è il nuovo disco di Kublai, progetto di musica inedita di Teo Manzo, fuori il 12 aprile
Quattro tasselli che come paradossi vanno ad incastrarsi perfettamente uno nell’altro, quello che vanno a creare è un mondo onirico che risulta così simile al vero da sembrare reale. Dove finisce quindi il sogno e inizia la realtà e viceversa? “Sogno Vero” è infatti il racconto di più situazioni vissute che essendo al limite con l’assurdo sembrano appartenere al mondo dei sogni. Il titolo infatti si riferisce alla parte del risveglio, più che al momento dell’assopimento: il risveglio vissuto come consapevolezza del proprio corpo e di quest’ultimo nel mondo. Ed è da questa presa di coscienza che Kublai intende tracciare una linea che possa collegare la forma con il contenuto e così la canzone con il canto e, perché no, il sogno/incubo con la realtà.
La pienezza di una fine, un oceano di inchiostro con cui scrivere per non annegare, un corpo inerte che si fa approdo e riparo, una festa sul tetto accessibile solo se dormi.
Kublai
Dopo aver ascoltato con attenzione un’opera così saggiamente intessuta, abbiamo chiesto all’artista stesso di raccontarcela traccia dopo traccia per essere sicuri di non perderci nessun significato lasciato indietro.
UNA NOTTE PIÙ LUNGA
Una notte più lunga è l’ouverture di Sogno vero. Il brano spalanca da subito un baratro ai piedi dell’ascoltatore, con la promessa che lo accompagnerà per l’intera durata dell’album. Non parliamo qui di un abisso minaccioso, ma di un vuoto che occupa spazio, che completa, che informa. L’attesa, la sospensione, la precarietà che la canzone ci chiede non sono più insopportabili, e il nostro paradosso è – infine – contemplabile.
UN FINE PIÙ GRANDE
Un fine più grande è il secondo singolo tratto da Sogno vero. Ci troviamo in un sogno, è estate, la spiaggia non può essere lontana. Quando arriviamo, il mare è una distesa di inchiostro: scrivere è l’unico modo per non annegare. Raggiungere un fine più grande era solo un desiderio, un’astrazione. Ora è un istinto vitale, necessario, non più rimandabile.
L’ARMADIO
Ne L’armadio si consuma un altro paradosso. È mattino presto, siamo in una camera da letto, l’unica uscita sembra essere la porta di un grande armadio. Cerchiamo l’abito adatto, che ci trasformi, ci allontani da noi stessi, ci renda qualcun altro. Notiamo però una persona stesa sul letto, addormentata. La sua figura, nella penombra, assume le sembianze di un’isola che emerge dalle onde-lenzuola. Qui capiamo di essere noi l’orizzonte, l’approdo lontano. La nostra fuga, forse, non è più necessaria.
ATTICO
Attico è l’ultimo brano di Sogno vero, al contrario dei precedenti però l’ambiente è tutt’altro che onirico: siamo svegli, vigili, stesi su un letto in attesa. Sentiamo i rumori di una festa provenire dal tetto, ma non vi è accesso possibile se non addormentarsi e sognare di parteciparvi. Siamo condannati all’insonnia, che qui però è sinonimo coscienza, conoscenza, presenza a noi stessi. Sappiamo che esistono luoghi inaccessibili, come la mente delle altre persone, verità che non possediamo, follie che non conteniamo. Questa stessa consapevolezza è la nostra sopravvivenza, il senso della nostra veglia, il nostro restare.
a cura di
Redazione
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