“After the Bridge”: l’attentato di Londra del 2017 attraverso gli occhi di Valeria Collina, madre di uno dei terroristi

“After the Bridge”: l’attentato di Londra del 2017 attraverso gli occhi di Valeria Collina, madre di uno dei terroristi
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Dopo essere stato mostrato lo scorso 28 aprile all’Hot Docs – Canadian International Documentary Festival di Toronto, “After the Bridge”, documentario diretto da Davide Rizzo e Marzia Toscano, verrà presentato il 10 giugno in anteprima nazionale a Bologna in occasione della 19esima edizione del Biografilm Festival.

Valeria Collina
Fonte: cartella stampa

Ci sono momenti che scandiscono per sempre le nostre vite.
Attimi che aprono dentro di noi una ferita talmente profonda e dolorosa che mai riuscirà davvero a sanarsi.

È ciò che è accaduto a Valeria Collina, la cui esistenza è stata per sempre segnata dai tragici eventi del 3 giugno 2017, quando suo figlio Youssef, insieme ad altri tre attentatori, ha seminato panico e terrore sul London Bridge, uccidendo otto persone prima di trovare la morte.

Il documentario, diretto da Davide Rizzo e Marzia Toscano e prodotto da Sayonara Film con la collaborazione di Rai Documentari e Al Jazeera Documentary, non si concentra tanto sull’attentato in sé, ma ha come obiettivo principale quello di delineare il profilo di una madre sconvolta e permanentemente segnata dalle azioni terroristiche del figlio.

Gli eventi del 3 giugno hanno infatti stravolto la vita di Valeria Collina, lasciandola in balia di una serie di domanda destinate – probabilmente – a restare senza risposta.
“Perché Youssef ha compiuto queste azioni?”, “Quanto sono responsabile per ciò che ha fatto mio figlio?”.

Domande che si sommano a quelle rivoltele dalla marea di giornalisti che, nei giorni seguenti all’attentato, si sono riversati alle porte di casa sua.

After the Bridge”: tra passato e presente

Nella sua casa di Bologna, in un continuo ping pong tra passato e presente, Valeria Collina parla della sua infanzia, del padre e della madre, della sua vita prima del trasferimento in Marocco. Grazie alle immagini d’archivio e in Super 8, infatti, i due registi ci permettono di conoscere le tante sfumature della giovane Valeria: adolescente, studentessa, femminista, artista.
Tutto ciò che era prima della conversione all’Islam.

Fonte: cartella stampa

Valeria, infatti, spiega come dopo l’incontro con un ragazzo marocchino, suo futuro marito, abbia deciso di trasferirsi in Marocco per abbracciare una nuova vita, un nuovo paese, una nuova religione. Per poter però attuare un cambiamento così radicale, come lo definisce lei stessa, la giovane donna ha dovuto dimenticare tutto ciò che era fino a poco tempo prima.

Come enuncia all’inizio del documentario, guardando in camera, “serve un terreno scavato e svuotato per ricevere fondamenta”.

Ecco, quindi, che Valeria si lascia alle spalle amici, abitudini, famiglia, tutto ciò che conosce.
Abbandona persino il suo nome per adottarne uno nuovo, Khadija. In Marocco costruisce nuovi ricordi, una nuova vita, una nuova casa, che diventa la “sua Isola”.

L’inizio dell’incubo

È l’inverno del 2015 quando Khadija prende la decisione di voler rientrare in Italia, non prima però di concludere la scuola coranica, così da ricevere il diploma, e non prima che Youssef termini il suo anno accademico. Alla scelta del marito di prendere una seconda moglie, Khadija non sente più nessun obbligo o responsabilità nei suoi confronti, così decide di rientrare in Italia pur mantenendo ovviamente contatti con la sua famiglia.

È proprio in Italia che, due anni dopo, Khadija riceve la notizia dell’attentato, inizialmente ignara di un coinvolgimento del figlio. La paura e la preoccupazione sorgono a partire dal giorno successivo, quando il marito la informa che non riesce a contattare Youssef. L’agitazione e lo sconforto crescono quando vengono rese note le facce di due dei tre attentatori del London Bridge: uno dei due era un amico del figlio.

Fonte: cartella stampa

Attraverso il suo racconto in prima persona, che accompagna l’intera visione del documentario, Khadija parla dell’angoscia e dell’incredulità provati al momento dell’apprendimento della terribile notizia: Youssef è stato riconosciuto come il terzo attentatore della notte del 3 giugno. Una notizia che, come affermato da Valeria, “ha aperto una voragine, una crepa” nella sua vita.

Inizia qui il periodo più difficile, che per giunta ha dovuto affrontare quasi da sola, considerando che molti familiari e amici si sono allontanati, prendendo le distanze ed etichettando Khadija come la “madre del terrorista”.

“Il loro modo di dire “madre del terrorista” non coincideva con il mio sentirmi madre di Youssef. Non c’entrava niente”.

Khadija

La testimonianza dolorosa di una madre

Nel corso di questi anni, Valeria spiega come abbia tentato di fare qualche passo verso Youssef, pur non potendone mai comprendere o accettare le ragioni che da figlio amoroso lo hanno trasformato in seminatore di morte, tanto da portarla a non prendere parte al suo funerale.

“Non sono voluta andare perché non ho accettato quello che lui ha fatto. Era un modo per dire: «Non sono d’accordo con te!»”.

Khadija

In questo racconto c’è tutta la devastazione emotiva di una madre, restituita con grande efficacia e potenza dalla scelta dei due registi di lasciare interamente la parola a Khadija/Valeria. Con chiarezza e decisione la donna condivide la sua storia, ciò che ha provato nei momenti immediatamente successivi al doloroso annuncio e ciò che ancora prova adesso, a distanza di anni.

Nel corso del documentario vediamo e ascoltiamo una Valeria che cerca quindi di fare i conti col suo passato, di interrogarsi su ciò che possa aver mosso il figlio a compiere un atto così brutale e sanguinoso. Allo stesso tempo però, nel corso della sua testimonianza, apprendiamo anche come senta il bisogno, in quanto madre, di riavvicinarsi al figlio, nel tentativo di trovare pace con il suo ricordo.

“Ho fatto dei passi in più, non verso la comprensione perché non credo ci arriverò mai, però verso Youssef sì. Come quando lui era in Inghilterra e gli chiedevo: «Mandami dei video, delle immagini di dove abiti oppure di dove lavori», perché avevo bisogno di collocarlo in un ambiente.
E anche adesso l’ho collocato e credo che mi abbia fatto bene.”

Khadija

Davide Rizzo e Marzia Toscano confezionano il racconto fortemente emotivo di una madre che cerca di ricostruire un ponte tra sé e il figlio.

Quel ponte che è rumorosamente crollato dopo gli atti violenti e incomprensibili commessi da Youssef la sera del 3 giugno 2017.
Atti che hanno condannato il cuore di sua madre ad un eterno oblio, dal quale la donna sta cercando di risorgere, nel tentativo di fare pace col ricordo del figlio.

a cura di
Alessandro Michelozzi

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