Francesco Sacco, spiritualità e rivoluzione

Francesco Sacco, spiritualità e rivoluzione
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Il 20 maggio è uscito “A – Solitudine, Edonismo, Consumo” il nuovo album di Francesco Sacco

Cantautore e polistrumentista, Francesco Sacco vive a Milano, dove ha suonato per la prima volta l’album il 21 maggio nei giardini di Triennale.

Noi di TheSoundcheck lo abbiamo intervistato per saperne di più su di lui e sul suo lavoro. Abbiamo parlato di industria musicale, Milano, spiritualità e nuove generazioni.

Iniziamo con una domanda che riguarda il primo singolo uscito di questo album, Kabul: la cosa che mi ha colpito è che in un pezzo di denuncia sociale, argomento tipico del rap, scegli di usare un linguaggio che si avvicina molto al cantautorato, che ormai parla prevalentemente di amore. Come mai questa scelta? 

Innanzitutto sono contento che tu abbia colto questo aspetto, è vero. Il mondo che dici tu, del cantautorato classico, esisteva molto sotto forma di protesta e di denuncia. È iò che ha reso importante il cantautorato in determinati momenti storici, penso ad esempio a Bob Dylan. Ma non è un linguaggio attuale nel 2022.

Ho pochissimi ascolti hip hop ma la cosa che mi affascina del genere è questa dimensione della denuncia sociale, per cui ho cercato di fare un mash-up. Una specie di Frankestein musicale. Il testo è effettivamente un testo arrabbiato, di denuncia ma anche di satira. C’è una dimensione ironica, che prende per il culo quello che stiamo vivendo in questo momento storico: il tardocapitalismo, il rapporto con la merce… e ho cercato di legarlo ad un discorso musicale abbastanza diverso, anche per sottolineare la dimensione ironica della canzone parlo di playlist, di entrare in classifica…

Ascolta l’EP su Spotify
A tal proposito ti avrei infatti chiesto, molto banalmente: cosa ne pensi dell’industria musicale in cui ti muovi? Anche se credo sia ovvio che nessun artista è felice di dover in qualche modo sottostare ad un mercato e avere quindi delle limitazioni nell’espressione della sua arte.  

C’è questa dimensione sia di critica al mercato, sia anche di chi ne fa parte e contribuisce a determinarlo.
Un artista da solo può fare poco, ma se consideriamo un’intera scena scontenta: degli algoritmi di spotify o del fatto che anche se fai un milione di ascolti poi ti ci paghi una pizza…

Ma la maggior parte degli artisti lo prende come un dato di fatto. Invece penso ci sia una misura di manovra in cui è possibile fare qualcosa. Dire “ma perché devo fare così? non posso fare qualcosa per discostarmi?”.

In Kabul ho voluto sottolineare questa cosa con una dimensione musicale molto lontana da quello che ho fatto in passato. Un po’ da hit dance, quasi Daft Punk come arrangiamento. È molto lontano dal cantautorato o da un’elettronica più complessa. Ma mi è sembrata la confezione migliore per dire quelle cose, per criticare il sistema musicale e tutto il discorso legato al playlisting e a spotify.

Nei tuoi brani citi spesso Milano, città dove vivi. Com per un’artista vivere a Milano? Molti cantanti che conosco non la sopportano, la vedono solo come un luogo dove devono passare per forza per adempiere ad alcuni doveri, ma subito dopo scappano. Di solito preferiscono città più “romantiche” come Bologna o Roma.

Come ogni storia d’amore, il mio rapporto di Milano ha molte zone d’ombra. Di Milano adoro il ricambio, l’offerta.
Il fatto che se voglio andare ad uno spettacolo guardo cosa c’è in città e c’è sicuramente qualcosa. Può essere teatro, arte contemporanea o altre cose di cui mi appassiono.

Per altri aspetti è una città che non guarda in faccia nessuno, devi essere bravo a ritagliarti una tua dimensione e una tua nicchia all’interno della quale stai bene. se te la vivi in pasto alla città è una città molto faticosa.

Milano la cito spesso giocando con lo stereotipo “figa, lavoro, soldi”, che però è in parte vero. È una cosa che sicuramente c’è stata massivamente negli anni 90, quando neanche c’ero. Penso però che si stia creando tanta scena a Milano. Vedo che qui stanno confluendo tante energie nuove, tanti musicisti nuovi, tante situazioni. Questa è una cosa molto interessante che non tutte le città hanno.

Infatti credo che la cosa più bella di Milano sia la quantità di stimoli che ti dà, e come artista immagino sia importante avere sempre mille riferimenti culturali diversi da cui trarre ispirazione.

L’aspetto degli stimoli è quello che mi tiene qui, infatti durante le varie zone rosse quando non si poteva andare agli eventi ho pensato “alla fine potrei andare un anno in Marocco!”

Infatti sabato suonerai per la prima volta l’album in Triennale, un luogo davvero interessante perché fonde l’arte tradizionale, quella da museo, al mondo della musica e della performance.

Mi piace molto la programmazione di triennale, condivido profondamente il pensiero dei curatori. Principalmente quello di Umberto Agnellini che è il direttore di musica teatro e arti dal vivo della triennale. Tiene ben presente la che Triennale ha una serie di possibilità che vanno oltre il semplice museo.

È proprio stata fondata come palazzo delle arti, quindi come luogo dove le varie arti possono comunicare. Siamo cresciuti con l’idea della cultura come di una cosa importante, ma un po’ pallosa; invece creare luoghi di cultura che siano vivi. Luoghi dove puoi vedere una mostra, ma anche sdraiarti sul prato e bersi un gin tonic.

Secondo me è molto importante perché dà una visione non impostata a quelle branche dell’arte che siamo abituati a vivere con noia.

A proposito di commistione tra le arti, ho visto che le copertine dell’album e dei singoli sono curate da Lucrezia Testa Iannulli, fotografa e performer che collabora con istituzioni come il MACRO di Roma. Hai scelto appositamente di collaborare con un’altra artista?

La collaborazione con lucrezia è nata in modo casuale ma folgorante, perché non ci conoscevamo e come spesso succede ci siamo scritti su instagram. Mi ha invitato già da lei, in un paese in provincia di Viterbo che si chiama Tuscania. 

Le immagini di Lucrezia sono effettivamente molto bucoliche e viene usato sia il corpo umano che quello animale. Alcuni scatti ti ritraggono infatti con un cavallo: questa scelta di collega in qualche modo al brano “ogni uomo ogni donna è una stella” in cui parli molto degli animali e del loro dio?

Il disco ha un po’ di metafore animali, specialmente in ogni uomo ogni donna è una stella c’è questo paragone per ricordarci che siamo la specie terreste che ci fa più problemi di tutte. Quindi c’è questa dimensione di confronto col mondo animale.

Quello che mi è piaciuto della su fotografia è che sembra fuori dal tempo, fai fatica a capirne l’ambientazione temporale, è molto astratta. Mi è sembrato un modo interessante per visualizzare la mia musica, i miei testi infatti hanno aspetti legati alla contemporaneità ma anche riferimenti antichi, religiosi, e si proiettano verso un futuro ipotetico in cui non sappiamo come sarà la società.

Al di là di questo, sono immagini che a me hanno comunicato subito molto.

Francesco Sacco
Parlando proprio del brano “ogni uomo ogni donna è una stella” sinceramente mi aspettavo parlasse d’amore, invece mi ha sorpresa molto. Con tutti i riferimenti che fai a dio, mi viene spontaneo chiederti: com’è il tuo rapporto con la spiritualità e con il concetto di dio?

Sono appassionato di esoterismo di magia e anche di religione in un certo senso, pur essendo ateo. È molto interessante il discorso che riguarda dio e il soprannaturale dell’esistenza.

La citazione che dà il titolo al brano è di Aleister Crowley, un esoterismo dell’ottocento che scrive un libro sulla legge che si riassume nel motto “Fa ciò che vuoi, questa è l’unica legge”. Aleister Crowley prende degli elementi religiosi, legati al cristianesimo e all’ebraismo, e li reinterpreta in chiave simbolica da ateo.

La parte interessante di questo libro è la rivalutazione dell’individuo: spesso nelle religioni l’individuo viene sminuito. Pensa nel cristianesimo, spesso c’è una mortificazione del corpo.

Anche il martirio ha a che fare con questa percezione…

Esatto. Mentre nell’inizio di questo poema Crowley tenta di creare un nuovo umanesimo che non escluda una dimensione fortemente spirituale.

“Un ateo mi ha detto che ogni uomo ogni donna è una stella” lo paragono al rapporto dell’uomo con il tempo e con il lavoro. il lavoro come cosa negativa legato all’ambizione e al denaro è qualcosa di molto presente anche nel cristianesimo.

Il tema del lavoro a me è molto caro, e ho sentito anche altre persone dire lo stesso specialmente dopo lavanderia che ha portato molte persone a dire “ho capito il valore del tempo”. Poi sai la mia generazione ha visto padri tornare a casa stanchi dall’ufficio dopo otto ore di un lavoro che non gli piaceva con solo 15 giorni di ferie ad agosto, è sicuramente qualcosa che ci ha fatto molto riflettere su questo tema. Ora ogni giorno apri un social e c’è qualcuno che dice che i giorni non hanno voglia di lavorare e che hai suoi tempi era tutto diverso

In molti paesi si stanno facendo dei passi avanti in tal senso, invece l’Italia sembra ferma a 30 anni fa

Anche questo è molto legato ad un ottica del sacrificio, anche qui c’entra il cristianesimo. sembra che se non soffri non va bene, che la sofferenza sia un elemento indispensabile per meritare le cose.

Ascoltando il tuo album e, negli stessi giorni, anche quello di Tutti Fenomeni, mi sono resa conto che parlate entrambi molto di spiritualità e del rapporto con la religione cristiana, sopratutto riguardo alle cose che non vanno più di quel modello spirituale. Poi Tutti Fenomeni vive a Roma e quindi sente anche molto l’influenza del papato. Dato che avete su per giù la stessa età, secondo te la nostra generazione sta cercando di instaurare un rapporto nuovo con la spiritualità?

Ho ascoltato l’album di Tutti Fenomeni ed è una bomba. Ho trovato anche io molte analogie con il mio lavoro. Il suo primo album non mi aveva fatto impazzire, mentre questo mi ha totalmente shockato.

Ho trovato anche io analogie di testi e anche di approccio, sia per i riferimenti ad altre canzoni sia per i testi un po’ ironici e a presa in giro.

Per quanto riguarda la dimensione spirituale ti dico: sì, vedo anche io questo avvicinamento della nostra generazione al mondo della spiritualità, anche ad esempio tramite tarocchi e oroscopo.

Veniamo da una crisi di valori, di quello che era il mondo dei nostri genitori dove c’era la religione e un ideale fortemente condiviso anche nella politica – penso ai movimenti hippie, agli anni 70 e gli ideali che avevano le persone in quegli anni. C’era una dimensione spirituale in cui si credeva in determinate cose, mentre noi abbiamo visto il crollo di questo mondo di valori. Abbiamo quindi avuto bisogno di inventare una nuova spiritualità e l’abbiamo cercata nell’esoterismo o nei tarocchi, abbiamo rimesso insieme a modo nostro cose che già esistevano.

Ti dico già che la seconda parte di questo album, la parte “B” riguarderà la spiritualità

Infatti questa era la mia ultima domanda, cosa dobbiamo aspettarci dal lato “B” del progetto?

L’idea era esattamente quella di fare un lato A dedicato al mondo fuori e un lato B dedicato al mondo interiore. Quindi il lato B tratterà di tutte queste tematiche di cui abbiamo appena parlato.

Un viaggio nel mondo e poi nella tua interiorità, mi sembra molto bello e rappresentativo della nostra generazione.

Sono contento che sia capito, vedo le persone giovani che mi intervistano e sento che mi capiscono, quindi è probabile che sia proprio una tendenza generazionale.

A cura di
Alessia De Santis

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