“Cari fottutissimi amici”: l’esperimento ben riuscito degli Zen Circus

“Cari fottutissimi amici”: l’esperimento ben riuscito degli Zen Circus
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“Cari fottutissimi amici” è una festa in stile Zen Circus fatta album. Le dieci collaborazioni del disco esprimono tutta la voglia di sperimentare del gruppo toscano che dopo ventitré anni di carriera riesce sempre a mettersi in gioco e ad evolversi

I fan di lunga data degli Zen Circus sono già abituati ai cambiamenti. La band parte cantando in inglese, esordendo con il punk più ingenuo e viscerale per spostarsi sempre di più negli anni verso il pop e il cantautorato italiano anni ’60. Nonostante questo cambiamento, il primo album pubblicato con parte della formazione attuale (Andrea Appino, Ufo e Karim Qqru), “Doctor Seduction“, e il penultimo pubblicato nel 2020, “L’ultima casa accogliente”, mantengono la stessa impronta inconfondibile.

The Zen Circus, la copertina dell'album "Cari fottutissimi amici"

Cari fottutissimi amici” è la massima rappresentazione di questa tendenza al cambiamento. È un album totalmente inaspettato e imprevedibile, si muove tra generi diversi e nuove sonorità guardando alla storia musicale del gruppo, ma senza rimanere esageratamente fedele ad essa. La popolarità non ha mai spento l’irrequietezza del circo Zen che continua a mantenere la stessa urgenza espressiva e la stessa attitudine della giovane band che provava nelle cantine pisane.

Vecchi senza esperienza

I primi due pezzi appaiono come la celebrazione della vecchiaia, evidenziano le riflessioni, le gioie e i dolori che essa comporta. “OK boomer”, il brano con Brunori Sas che ha anticipato l’uscita del disco, mette a confronto la generazione degli autori con le nuove evidenziando come in fondo non siano così diverse. Dimostra come lo scontro generazionale tra giovani e adulti oggi sia più vivo che mai e non troppo diverso da quello di quaranta anni fa.

Voglio invecchiare male”, la seconda traccia suonata con i Management, invece, dà il benvenuto alla rassegnazione e al nichilismo per esorcizzare la paura del tempo che scorre. Il resto dei brani non ha un filo conduttore dal punto di vista tematico.

Dalle origini ai suoni nuovi

Il pezzo più spiazzante del disco è “Caro fottutissimo amico” che, nato dalla collaborazione con l’amico Motta, si discosta da qualsiasi lavoro precedente della band. Appare eccessivamente sperimentale e ricercato con un finale lungo e ampolloso. A riequilibrare il disco ci pensano “Ragazza di carta” e “Johnny” che ricollegano l’album alla discografia degli Zen. I brani, scritti rispettivamente con Luca Carboni e i Fast Animals and Slow Kids, con una chitarra acustica, pochi accordi e un testo prorompente, ricordano i maggiori successi del gruppo.

Il resto dell’album è un viaggio attraverso un’incredibile varietà di generi. Si va dal rap di Speranza con “Figli della guerra” all’ambient con la collaborazione di Musica da Cucina in “Salut les copains” passando per i fiati coinvolgenti presenti in “Il diavolo è un bambino” con Emma Nolde. “118”, il primo singolo che ha anticipato l’uscita della raccolta di featuring, con la partecipazione dell’attore Claudio Santamaria, potente e ossessivo, è il pezzo più energico dell’album. Mentre “Meravigliosa”, scritto con Ditonellapiaga richiama il pop anni ’80 e a tratti la dance, ma una chitarra elettrica ci ricorda le origini rock degli Zen Circus.

Il disco appare meno sofferto rispetto ai precedenti, ma non freddo e distaccato. Non tira in ballo il vissuto di Appino, ma descrive in maniera coinvolgente dei tratti di vita generici riprendendo i contenuti dei dischi precedenti degli Zen. “Cari fottutissimi amici” è l’ennesimo pugno nello stomaco della band toscana. Ha la capacità di rappresentare diversi aspetti della vita raccontando le emozioni più oscure e profonde che una persona possa provare. Gli Zen Circus si sono messi in gioco senza paura riuscendo a portare a buon fine un esperimento coraggioso.

a cura di
Lucia Tamburello

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Lucia Tamburello

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