Bezimena, la violenza raccontata da Nina Bunjevac

Bezimena, la violenza raccontata da Nina Bunjevac
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Bezimena, graphic novel di Nina Bunjevac, edita da Rizzoli Lizard, è dichiaratamente ispirata al mito greco di Artemide, Dea della caccia, simbolo di forza e indipendenza femminile.

Il racconto narra che Siprete, giovane di Creta, venne colto in flagrante nell’atto di spiare la Dea mentre si faceva un bagno. Artemide, furente, lo trasformò in una donna.

Qui, l’antico mito viene reinventato: all’inizio del fumetto vediamo una sacerdotessa, disperata, andare incontro ad un’anziana donna, Bezimena. La giovane si lamenta perché degli sciacalli stanno deturpando e incendiando i lori idoli e i lori templi.

L’anziana, risvegliatasi dal suo torpore, prende la testa della giovane e la immerge nel fiume, facendole rivivere la storia di un uomo: quest’uomo è Benedict, detto Benny, un bambino adottato da una famiglia benestante di conciatori.

Il nome Benedict (“benedetto”), non è casuale: rappresenta il profondo desiderio della famiglia di avere un figlio. Egli è un bambino molto fortunato, al quale sembra non mancare nulla, ma dentro di sé nasconde parecchi lati oscuri.

È infatti ossessionato da una sua compagna di classe, la graziosa Becky, detta Becky la bianca. Questa sua ossessione lo porta a compiere atti osceni ovunque si trovi, e diventa motivo di imbarazzo per la sua famiglia e i membri rispettabili della comunità.

Il ragazzo lascia gli studi, e si isola dal resto del mondo, educato ad una disciplina ferrea che reprime tutti i suoi impulsi sessuali. Benny cresce e diventa un adulto emarginato, solo e parecchio bizzarro.

Circondato da stranezze varie, reinventa il suo mondo, e impara a tenere a bada i propri istinti.

Trova lavoro come inserviente in uno zoo, l’impiego perfetto per spiare chi vuole, e dare sfogo alla sua torbida immaginazione senza essere scoperto. Diventa un “maestro della dissimulazione, tracciando i confini dei parchi lasciando una scia di seme come un miserabile cane in calore”.

Gli animali che lo circondano sono gli unici testimoni silenziosi del suo segreto.    

Fino a quando, un giorno, davanti al recinto dell’orso polare, rivede la sua vecchia compagna di classe, Becky, ancora più graziosa, che chiacchiera con una sua amica. L’antico desiderio per lei si riaccende, e Benny decide di seguirla fino a casa: una grande villa immersa nel bosco.

L’uomo attende la sera e, quando i grilli cominciano ad intonare il loro canto notturno, si mette a spiarla dall’unica finestra illuminata del piano terra. Becky si sta preparando per un bagno caldo, con l’aiuto della sua giovane cameriera.

Quando Benny la vede entrare nella vasca, non riesce più a contenersi e fugge via, col cuore in gola, che batte all’impazzata.

Allo zoo aveva trovato un quaderno che apparteneva a Becky, un quaderno pieno di disegni erotici che lui interpreta come un segno del destino: un chiaro invito a mettere in pratica le sue fantasie, non solo con Becky, ma anche con la sua cameriera, e la sua amica, che aveva visto allo zoo.

In realtà, alla fine dell’opera, scopriremo che è solo la sua mente perversa a fargli vedere quelle immagini.

Quelle che a Benny appaiono come illustrazioni erotiche, rappresentazioni di rapporti sessuali tra lui e queste ragazze, sono in realtà semplici disegni di animali.

Quella che inizialmente sembrerebbe un’innocua fantasia sessuale, in realtà, si rivelerà essere una violenza vera e propria, perpetrata ai danni di tre giovani donne.

La nascita e l’evoluzione di uno stupro sono rappresentati egregiamente da Nina Bunjevac, con le sue tavole bianco/nere e l’atmosfera onirica che circonda l’intera opera.

Il carattere innovativo dell’opera sta nel fatto che la visione che viene proposta è quella del carnefice: fino a quando non viene rivelato il vero contenuto del quaderno, noi pensiamo che quelle raffigurate siano fantasie ricambiate anche dalle vittime.

Invece si tratta della visione distorta di una mente malata.

Tramite la continua raffigurazione degli occhi, quelli dei gufi che lo osservano mentre compie le sue malefatte o che lo scrutano dalla finestra della sua stanza, scopriamo l’incubo di Benny: quello di essere scoperto.

In uno dei sogni c’è anche lui che, da un buco della serratura, osserva le  fantasie su Becky prendere forma. Gli occhi rappresentano il carnefice che spia le sue vittime, ma anche gli occhi giudicanti delle persone della comunità.

Ad un certo punto, Benny sogna di trasformarsi in un cervo, e di essere inseguito da un branco di cani inferociti, riferimento al mito di Artemide che trasformò Atteone in cervo e lo fece sbranare dai suoi stessi cani.

In un’altra immagine onirica compare una donna che “consegna” una bambina ad uno sconosciuto in cambio di soldi. Quest’ultima raffigurazione è una citazione di un evento traumatico vissuto  dall’autrice stessa.

Il tema della violenza carnale è molto sentito dalla Bunjevac, che alla fine dell’opera narra la sua personale storia di violenza.

Quando era una ragazzina e viveva nella cittadina serba di Aleksinac, fu portata con l’inganno a casa di un uomo, Kristijan, che provò ad abusare di lei e filmare la violenza.

Fortunatamente riuscì a fuggire, ma, come venne a sapere molti anni dopo da una sua ex compagna di classe, non fu l’unica vittima di quell’uomo: altre studentesse della sua scuola erano finite nella sua trappola, ma non erano state altrettanto fortunate.

Scrive l’autrice a proposito di questa vicenda:

“Alcuni sostengono che le lezioni che non impariamo sono destinate a ripresentarsi, e con maggiore intensità. Nel mio caso, la lezione riguardava la fiducia cieca e lo scarso acume.”

Fu solo il primo dei due tentativi di stupro da cui la Bunjevac riuscì a fuggire nel corso della sua esistenza. Il secondo caso accadde in Canada, il paese dove tutt’ora vive, e riguardò il suo tutore legale, un uomo di cui si fidava ciecamente e che avrebbe dovuto proteggerla.

Anche questa volta riuscì a scappare, ma l’episodio la segnerà profondamente per tutta la vita.

La Bunjevac racconta di come abbia a lungo taciuto su questi fatti e della difficoltà, per una vittima di violenza, nel parlare della sua sofferenza.

Anche lei provò a raccontare questi episodi a delle persone care, accuratamente scelte, ma i loro sguardi annoiati e l’atteggiamento di disapprovazione, la scoraggiarono a tal punto che la cosa finì lì.

Alla fine dell’opera, l’autrice afferma l’importanza del dover denunciare, sempre:

“Non stupisce che così tante vittime di stupro decidano di tenere segreto il proprio dolore. Con il senno di poi, trasferirmi in Canada è stata una via di fuga semplice. Se avessi parlato dell’incidente con le mie compagne di scuola, se non avessi rinunciato tanto facilmente a denunciare Kristijan, il numero delle vittime non si sarebbe moltiplicato come invece è successo. Non mi perdonerò mai per questo, e dovrò conviverci per il resto dei miei giorni”

Nina Bunjevac è autrice di un altro capolavoro, come Fatherland, educazione di un terrorista. Si tratta di un’autobiografia illustrata che racconta della sua infanzia passata nella Ex Jugoslavia, concentrandosi in particolarmente sulla figura del padre (da qui il titolo, appunto).

A cura di
Silvia Ruffaldi

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Silvia Ruffaldi

Silvia ha studiato Scienze della Comunicazione a Reggio Emilia con il preciso scopo di seguire la strada del giornalismo, passione che l’ha “contagiata” alle superiori, quando, adolescente e ancora insicura non aveva idea di cosa avrebbe voluto fare nella vita. Il primo impatto con questo mondo l’ha avuto leggendo per caso i racconti/reportage di guerra di Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Da lì in poi è stato amore vero, e ha capito che se c’era una cosa che voleva fare nella vita (e che le veniva anche discretamente bene), questa doveva avere a che fare in qualche modo con la scrittura. La penna le permette di esprimere se stessa, molto più di mille parole. Ma dato che il mestiere dell’inviato di guerra può risultare un tantino pericoloso, ha deciso di perseguire il suo sogno, rimanendo coi piedi ben piantati a terra e nel 2019 ha preso la laurea Magistrale in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma. Delle sue letture adolescenziali le è rimasto un profondo senso di giustizia, e il desiderio utopico di salvare il mondo ( progetto poco ambizioso, voi che dite ?).

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