Un album per stare “A debita vicinanza”, ecco l’esordio di Glomarì

Un album per stare “A debita vicinanza”, ecco l’esordio di Glomarì
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“A debita vicinanza” è il primo album in studio della cantautrice di Fidenza Glomarì, disponibile dal 20 novembre su tutti gli store digitali, edito da Metatron e distribuito da Artist First.

Sul disco

Si tratta di un album intimo e delicato, un inno alla fragilità nel momento in cui diventa necessità e punto di forza. Il titolo, che sembra cucito su misura sul periodo attuale, risale in realtà a tre anni fa ed è ispirato al quadro “L’adieu” di Massimo Moretti (a cui sono riconducibili gli arrangiamenti a pianoforte di “La Barca” e “A suo modo danza” dell’album stesso). Nel quadro due spiriti sono sul punto di toccarsi ma questa vicinanza estrema non sfocia in un contatto vero e proprio. Questa tensione dell’irrisolto dilata ogni cosa, rendendo impossibile la distinzione tra categorie di lontananza e vicinanza.

La coincidenza degli opposti è un po’ il “fil rouge” dell’album, dove gioia e tristezza coesistono e diventano un tutt’uno. E così, seguendo l’ordine della tracklist, ci si crogiola nell’indeterminatezza di un settembre che non è né estate né inverno, ci si punge con le spine di quel fiore chiamato insonnia, si finisce col credere alle proprie “bugie in borghese”, ci si lascia incantare dall’eleganza autentica di ciò che accade per errore proprio come i panni stesi ad asciugare al sole o si resiste al sonno per imparare a dormire.

L’intervista
Ciao! Chi è Glomarì? Raccontaci un po’ di te.

Ciao! Provo a riassumere: dopo aver terminato gli studi di architettura (durati circa 6 anni) ho deciso di darmi al cantautorato. È stato come rovesciare per terra tutti i miei scatoloni esistenziali per provare a ridisporli secondo un nuovo ordine. Sento il bisogno ciclico di “riallestirmi”, forse in un’altra vita ero un museo.

Il 20/11 è uscito il tuo primo disco intitolato “A debita vicinanza”: ci parli un po’ di questo disco? Come nasce?

È frutto di un lungo lavoro su me stessa che mi ha fatto un po’ soffrire ma per poter stare meglio. Riassume tre anni molto importanti e assai frenetici della mia vita, quelli che vanno dal 2015 al 2017 e che hanno sancito il passaggio dall’architettura alla musica. Trovo che sia la cristallizzazione ben riuscita di un mio punto di vista sul mondo.

Personalmente adoro i giochi di parole. Come ti è venuto “A debita vicinanza”?

Mi è venuto guardando un quadro intitolato “l’adieu” di Massimo Moretti (un mio caro amico, in arte Inkpromptus). Raffigura due figure sul punto di toccarsi. Mi ha impressionato come quella micro distanza fattasi abissale fosse in grado di generare una forma di vicinanza capace di trascendere la fisicità, pertanto, molto più intensa e autentica. In un certo senso la distanza genera vicinanza, e viceversa. Per questo ho voluto giocare sugli opposti, che alla fine della fiera finiscono per scambiare reciprocamente i propri significati.

Cos’è per te la “coincidenza degli opposti”?

Qualcosa di molto simile ad una donna. O all’Area 51. 

Hai curato la regia di 5 video su 10: come riesci a coniugare immagini e musica? Da cosa ti lasci ispirare per farlo?

È una delle cose che mi viene più naturale, forse grazie alla mia formazione da architetto, sono abituata a progettare partendo da immagini. La musica ispira la mia immaginazione e viceversa. È un flow!

Quali sono i tuoi valori nella musica? A cosa non rinunceresti mai?

L’autenticità e la ricerca di un equilibrio tra significato e significante. Non rinuncerei (e non rinuncerò) mai e poi mai alla dimensione ludica della conoscenza. Come diceva il buon Eraclito, l’uomo è tanto più vicino a se stesso quando più raggiunge la serietà di un bambino intento nel gioco.

Quanto del tuo trascorso/vissuto metti nella tua musica e quanto di immaginario e ideale?

Del mio vissuto in senso “didascalico” praticamente nulla. Metto l’interpretazione in chiave poetica di ciò che mi accade. Mi considero un’idealista, quindi provo a far confluire buona parte delle mie idee e dei miei ideali in quello che faccio.

Quali sono i tuoi progetti futuri, covid permettendo?

Ce ne sono abbastanza, forse troppi. Tra le cose che vorrei fare ci metto senz’altro un nuovo album (vista e considerata la mole di canzoni scritte dal 2017 a oggi), un album (o un ep) in lingua francese, un cortometraggio, un libro di poesie e ovviamente nuovi videoclip.

Consiglia le tue 3 canzoni preferite ai nostri lettori!

Beh, dipende dal periodo (e dal momento), ci sono troppe canzoni superbellissime al mondo. In questo momento avrei voglia di ascoltare “Deep water” dei Porthishead, Gymnopédie di Erik Satie e Pata Pata di Miriam Makeba. Anzi, lo faccio subito!

a cura di
Giovanna Vittoria Ghiglione

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Giovanna Vittoria Ghiglione

Giovanna, classe 1992, è un’instancabile penna incallita. Per lei, le cose importanti passano tra inchiostro e carta: tutto il resto è noia. Impulsiva come Malgioglio davanti a un negozio di pashmine floreali, ha sempre trovato nella scrittura il rimedio più efficace contro gli errori della vita: scrivere significa pensare e pensare – purtroppo – non è da tutti. La musica ha sempre giocato un ruolo primario nella sua vita e scriverne è diventato presto un obiettivo da raggiungere. E se è vero che non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace, a lei non piace proprio tutto: è passata, negli anni, da grandi classici della scena Pop dell’adolescenza, al Rock degli anni ‘90, fino all’Hip Hop – che sin da bambina ha amato grazie alla danza. Autentica sostenitrice della morte dell’Indie, oggi non ha un genere preferito nonostante le statistiche di Spotify evidenzino una grande tendenza Pop.

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