Sufjan Stevens: la misura del caos

Sufjan Stevens: la misura del caos
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Difficile non conoscere Sufjans Stevens: cantante e musicista statunitense che ha fatto del folk, del banjo e della sua voce sospirata un marchio di fabbrica. Partito da Detroit e arrivato a ottenere una candidatura come Miglior Canzone agli Oscar con la sua Mistery of Love, la vita di Sufjan orbita attorno alla fede, alla famiglia, alla musica. 

È Carrie & Lowell che regala Sufjan al grande pubblico (e viceversa), con un folk orchestrale fatto di relazioni e piccole cose. La progressiva trasformazione dall’acustico all’elettronico vede le tappe di Planetarium, dalle sonorità spaziali e pop, e Aporia, più dance. In questo articolo proviamo a sviscerare il suo nuovo lavoro: The Ascension.

Punto di rottura (e di vista)

Se “il secondo album è sempre più difficile”, per l’artista del Michigan l’ottavo è stato uno vero incubo. Durante la realizzazione del disco, infatti, viene travolto da una piaga di interruzioni e disagio: è stato cacciato dal suo studio e costretto a riporre la sua attrezzatura in un deposito e a casa sua, per poi vedersi la casa invasa dai topi. Questo caos, unito al momento cruciale che vive l’America in questo periodo, hanno inevitabilmente portato Sufjan ad una nuova consapevolezza. 

Un periodo di tormento e profonda disillusione verso la società americana che non solo sancisce un punto di rottura sonoro, ma anche intimo: “Ho realizzato che i miei problemi non erano più personali, ma universali e globali, […] dovremmo capire che siamo tutti coinvolti in questo insieme. Per la prima volta sono disposto ad assumermi la responsabilità di questo nella mia musica e parlare di cose più grandi, oltre me stesso”, dice in un’intervista.

La copertina di The Ascension appare come un rifugio: una cattedrale dalle luci e colori disordinate che domina la scena, imponente, fa da scudo contro l’esterno e permette all’artista di avere la parola. Sufjan vuole quindi elevarsi e lasciare sé stesso indietro, nel passato. È arrivato per lui il momento di far cadere l’uomo e far parlare lo spirito. Da questo momento in poi, l’ascesa.

La copertina del nuovo album
The Ascension

In The Ascension è l’elettronica il linguaggio dominante, l’album è una lastra di ghiaccio di un’ora e venti e 15 tracce caratterizzate da un arrangiamento electro-pop abbastanza omogeneo.

Drum machine, sintetizzatori analogici e loop dai suoni elettrici rendono il disco minimalista e ridotto all’osso, più semplice da un punto di vista musicale, più etereo da un punto di vista sonoro. Già dal primo ascolto è chiaro come il distacco stilistico dalle amate corde di Carrie & Lowell sia netto.

America è il primo singolo che anticipa il disco: un manifesto amaro di un Sufjans Stevens disilluso, che prima descrive il profondo amore per il suo Paese “I have loved you like a dream / I have kisses your Zips like a Judas in heat / I have worshipied, I belevied / I have broke your brad for a splendor of machinery” per poi, tra cori ultraterreni e sintetizzatori di sottofondo, lasciarsi andare in un grido di protesta, manifesto della sua delusione “Don’t do to me what you did to America”. 

Make me an offer I cannot refuse, Ursa Major, Lamentations sono brani caotici, freneticamente elettrici, dai ritmi spezzati e voce angelica. È questo il nuovo stile di Sufjan: una combinazione di stimoli che tiene alta l’attenzione, tenute insieme dal filo leggero della sua voce.

C’è particolare chiarezza anche nei testi: VideoGame e The Ascension non lasciano spazio a tante interpretazioni. Nel primo brano si parla di un rifiuto delle logiche moderne che, con tanto di citazione ai Depeche Mode, racconta senza giri di parole la sua disillusione ed il suo disincanto nei confronti di un mondo social e bugiardo.

In The Ascension, invece, si cela il senso profondo del disco: parla dell’uomo e del suo percorso fallato ma pieno d’amore, alla ricerca di una rivelazione che arriva troppo tardi. Per poi, alla fine, abbandonarsi ai sintetizzatori con una domanda precisa: “What now?“, e adesso?

Ascolta The Acension
La recensione

Un album di Sufjan non passa mai inosservato. Così come ogni album ha accompagnato i vari momenti della sua ormai ventennale carriera, questa nuova opera racconta il Sufjan di adesso. Non più il ragazzo col cappello da cowboy che dedica il disco alla madre e al patrigno, ma un cittadino che trova rifugio nella consapevolezza. 

Riguarda la volatilità, lo spostamento e il sentirsi privati ​​dei diritti civili“, ha detto. “Immagino che quello che stavo attraversando nella mia vita è lo stesso che stiamo attraversando come Paese. La disillusione delle istituzioni e della politica

The Ascension gode di una magnificenza ingannevole: è infatti un rimprovero a sé e agli altri, un racconto di una crisi di valori e di disordine. L’ascolto si risolve a metà tra un flusso di coscienza ed uno sfogo, che ricorda di non confondere religione e spettacolo, di non credere ciecamente ma di affidarsi alla consapevolezza e all’amore.

L’entropia è una grandezza fisica che viene interpretata come una misura del caos in un sistema e, in un caso limite, dell’universo. The Ascension nel suo minimalismo fa lo stesso: nasce dal disordine per misurarlo, lo racconta e lo trasforma in luce.

a cura di
Nicolò Angel Mendoza

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