Joji: tra estetica e R&B

Joji: tra estetica e R&B
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Parliamo del nuovo disco di George Miller, in arte Joji. In questo articolo si racconta gran parte della sua storia: è webstar prima, cantante poi. Quando l’esponenziale popolarità del suo alter ego Filthy Frank diventa opprimente, Joji nasce per riappropriarsi di quella parte di sé che non trovava più spazio.

Joji non è una novità: è Will He il primo singolo ad aprire la spaccatura tra il prima ed il poi, successivamente il suo canale YouTube viene costellato di brani e video musicali ad hoc. In Tongues e BALLADS 1 sono i suoi primi due dischi, entrambi del 2018, ed a settembre è uscito il terzo: Nectar.

Nella copertina di Nectar Joji mostra il suo volto per metà illuminato e per metà in ombra. È così che si presenta: uno sguardo spento con pesanti occhiaie, un mood malinconico ed un modo d’essere passivo, a tratti arreso.

La metà illuminata l’abbiamo imparata a conoscere in questi due anni: Slow Dancing In The Dark, Will He sono solo alcune delle ballads lo-fi che ci ha proposto, facendoci conoscere uno stile già solido e personale, riconoscibile. La metà in ombra, invece, ce la presenta con questo nuovo lavoro.

Nectar: lo-fi, falsetti, R&B

Nectar è una raccolta di ben 18 tracce quasi indipendenti tra loro. Sono canzoni brevi, pillole ben riconoscibili. L’unico fil rouge del disco è la voce: l’effettistica, il modo e la metrica con la quale la usa; mentre le sonorità, i temi ed anche le influenze sono infatti spesso diversi traccia dopo traccia.

Con la voce infatti riesce a non essere mai banale: canta, modula, rappa e si distende in falsetti impeccabili. Le basi, dall’altra parte, cercano di non essere da meno: piani, pad, sintetizzatori lo-fi e riverberati sono i grandi protagonisti assieme a bassi, kick, hi-hat e snares tipici delle produzioni trap e hip-pop.

I testi affrontano le tematiche più disparate, dall’amore all’ego, trattate però con una nota di solitudine, di amarezza. Come se anche le cose belle venissero filtrate dal dolore.

La prima traccia Ew setta il mood e l’intensità del resto del disco: un falsetto potente domina un giro di piano piuttosto malinconico, è un canto alla solitudine dalle batterie lente e le note lunghe. “Quietly still / In a lie / Oh Goodnight / I don’t mind”. Modus è invece la classica traccia alla Joji: alternanza tra cantato e un rap melodico su una base d’influenza trap, con bassi potenti e suoni delicati.

Ascolta l’album qui

Tracce come Tick Tock, Daylight (nella quale vede la collaborazione di Diplo) e Gimme Love sono di tono più allegro, quasi hit più commerciali ed aperte al pubblico, ma ugualmente interessanti. In Tick Tock ad esempio si nota la cura nei dettagli: il sample che si sente ogni due giri di piano, una sorta di coro, viene direttamente dalla hit anni novanta Dilemma di Nelly feat Kelly Rowland.

Brani come 777 e Like You Do confermano la sopracitata varietà di generi. Rap melodico, R&B ed un pop sperimentale dominano il disco, ma in queste tracce notiamo influenze differenti. In 777 si sfiorano produzioni metalliche ed elettronico; in Your Man, brano che vuole chiudere il disco, un’atmosfera dance dalla cassa dritta e dagli ampi sintetizzatori.

Joji: video, universo, estetica

I dischi di Joji hanno con i video uno stretto rapporto simbiotico. Diretti, co-diretti o interpretati da lui, riescono sempre a completare il brano aggiungendone spessore e significato, tessendo trame che accompagnano perfettamente l’ascolto. In Gimme Love, ad esempio, una frenetica carrellata di spezzoni di vita che si susseguono a ritmo di cassa raccontano la storia di un impiegato della NASA, che fa carriera e sta per realizzare il suo sogno; infine una scena lunga, lenta ed in corrispondenza del bridge, spezza la frenesia di prima e conclude la storia.

Nella maggior parte dei video è lui il protagonista: una faccia sommessa, un atteggiamento grigio in scenari però surreali e spesso fantascientifici. Un contrasto strano ma ilare, sotto alcuni punti di vista. “Joji walks the fine line of meme and beauty” recita un commento sotto uno dei suoi video.

Joji vestito da astronauta
La Recensione

George Miller unisce le due arti che meglio conosce e crea delle storie: il disco è un viaggio nella sua mente. Il mix di generi e collaborazioni (Diplo, Lil Yachty, Omar Apollo, rei brown ed il produttore Clams Casino) viene tenuto ben saldo da un mood costante e dalla sua voce.

La scrittura non è sempre originale, ma funzionale a metrica ed al senso della canzone; mentre le sonorità spaziano dal lo-fi, al pop, ad R&B. Il disco non vuole abbandonare il primo Joji, lo tiene stretto regalandoci delle tracce molto simili a quanto già ascoltato in passato, ma allo stesso tempo prova ad allontanarsi a piccoli passi verso generi differenti.

In definitiva il disco si colloca non distante dalle due precedenti opere, pur dandosi qualche libertà in più: una triangolazione di Khalid, Post Malone e Frank Ocean comunque non lo descriverebbe al 100%.

Nel suo immaginario il protagonista è il perdente, alla costante ricerca di quello che gli manca. Come recita il singolo Run “Guess I’m not enough / like you used to think / so I’ll just run” Joji corre lontano da sé, senza liberarsi però mai di sé stesso.

È impossibile dividere George Miller da Joji, com’è impossibile dividere l’artista di oggi dalla webstar che era, poiché è la loro simbiosi a caratterizzare questo suo genio complesso.

Il tutto si risolve in un ritratto carnoso, per metà illuminato e per metà in ombra. Ma Joji lo sapeva già e l’ha messo in copertina.

a cura di
Nicolò Angel Mendoza

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