Napoleone: “Vi racconto com’è avere quasi trent’anni”

Napoleone: “Vi racconto com’è avere quasi trent’anni”
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Napoleone ha uno pseudonimo importante, ma è semplicemente il suo cognome. Nonostante la giovane età, ha già scritto per nomi importanti della musica italiana, ma non ha la spocchia di chi si sente arrivato.

Da qualche mese ha dato vita ad un suo progetto personale, ogni brano aggiunge un tassello al racconto di questa storia che arriva dalla Costiera Amalfitana e ha la pretesa di arrivare a più persone possibili.

Porta Pacienza è il titolo del suo nuovo singolo, continua la storia di Vito Manzo, protagonista un amore d’altri tempi, una storia che arriva dal passato, ecco cosa ci ha raccontato.

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Hai un cognome importante, quando hai pensato ad un tuo progetto personale, non ti è venuto in mente di usare uno pseudonimo?

Ho sempre avuto un rapporto altalenante con il mio cognome, soprattutto da bambino. All’inizio quindi mi nascondevo spesso dietro il nome di una band o appunto usavo pseudonimi. Adesso sono sereno, anche se mi fanno complimenti per il nome d’arte e non ci crede mai nessuno che è il mio cognome.

Alla soglia dei 30 anni, qual è il tuo bilancio ?

“La fine dei vent’anni è un po’ come essere in ritardo e trovare parcheggio”

“Porta Pacienza” è il titolo del tuo nuovo singolo, continua la storia iniziata con il brano precedente, spiegaci chi è questo Vito Manzo…

Vito Manzo è il sud. Nonostante la guerra, le bombe e la miseria, Vito è rimasto aggrappato ai suoi sogni fino alla fine dei suoi giorni. Ha continuato a sognare la musica e il suo grande amore “Maddalena”. Ho deciso di raccontare la sua storia perché è anche la mia.

In questa scelta di raccontare una storia che arriva dal passato, sembra appunto che l’obiettivo del progetto sia quello di far interessare le persone ai personaggi che ruotano intorno alle vicende, in che modo vuoi catturare l’attenzione?

Purtroppo ho perso i nonni troppo presto e ogni volta penso che avrei voluto sapere di più della loro storia. Ricostruendo la vita di questi personaggi stiamo anche scoprendo tanto di quello che era la costiera amalfitana prima e dopo la seconda guerra mondiale. Abbiamo scoperto cosa voleva dire negli anni 40/50 avere un “complesso” e andare in giro a suonare, vivere un amore non corrisposto, dovere emigrare.

La scelta di usare il dialetto napoletano non hai mai pensato che potesse essere penalizzante?

Assolutamente no.

In che modo pensi che i giovani d’oggi possano interessarsi a questa storia?

Attraverso le canzoni ovviamente.

Quali sono i suoi riferimenti musicali sia del passato che del presente?

Sono cresciuto con il brit pop e i grandi cantautori italiani. Oggi ascolto per lo più emergenti, sconosciuti e veri indipendenti. Ti sorprenderei facendoti ascoltare alcuni piccoli gioielli con al massimo 1000 plays su Spotify.

Oggi ci troviamo in un momento storico in cui escono centinaia di singoli a settimana, gli artisti emergenti escono come funghi, tutti a modo proprio cercano la strada migliore per arrivare al pubblico, c’è chi lo fa mantenendo autenticità e chi invece sceglie di percorrere strade già battute per non rischiare. Tu come ti poni davanti a questa cosa e in che modo vorresti mantenere una tua linea personale?

Ho sempre fatto musica in maniera sincera e mai per il successo, i soldi o i riflettori. Continuerò con questo atteggiamento che in qualche modo mi ha sempre salvato la vita. Ovvio probabilmente non raggiungerò mai vette altissime, non sono abbastanza stronzo. Sono felice di non aver ancora mai dovuto scrivere una brutta canzone per sopravvivere.

a cura di
Redazione

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