La Zero: “Il napoletano è la vera forza del mio progetto”

La Zero: “Il napoletano è la vera forza del mio progetto”
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La Zero è Manuela Zero. Cantautrice, attrice e artista poliedrica inizia a studiare danza classica all’età di sei anni e successivamente musica al TEATRO SAN CARLO di Napoli. Nel 2018 partecipa a Sanremo Giovani con l’intenso e poetico brano Nina è brava, storia di una bambina che vive in carcere con la madre, che riscuote un ottimo successo di critica e pubblico.

Venerdì 17 aprile è uscito Mea culpa, il nuovo singolo dell’eclettica cantautrice napoletana LA ZERO. Mea Culpa è uno dei sedici brani finalisti al Festival della Canzone d’Autore MUSICULTURA 2020, il cui comitato artistico quest’anno è composto da prestigiosi personaggi della cultura e dello spettacolo come Dacia Maraini, Carmen Consoli, Brunori Sas, Vasco Rossi e molti altri.

Mea Culpa è una moderna ballad, tra italiano e napoletano, che rompe gli schemi tra il genere pop urban, il cantautorato “classico” e la musica popolare, unendoli insieme nel racconto di una storia vera. La storia di un perdono che non arriverà mai, di un amore impossibile tra una giovane suora ed un uomo che concepiscono insieme un bambino che non verrà mai alla luce perché lei, per paura e vergogna, deciderà di togliersi la vita.

L’abbiamo incontrata virtualmente per farci raccontare qualcosa in più sul suo progetto.

Iniziamo questa chiacchierata parlando di Napoli (una città a cui sono molto legata e che mi manca assai), se dovessi descriverla con una poesia o con dei versi ispirati dal momento, che parole useresti?

“Mi manchi ca me tremmano e mani, m’incanti comm’ cu’e’ marinari ‘e sirene”. Questo è un verso di una mia canzone, “Sirene”, scritta  con Lelio Morra e non ancora pubblicata. Questa frase riflette perfettamente la mia nostalgia di casa. P.S. Ti capisco 🙁

Come mai hai scelto di usare un nome d’arte per il tuo progetto e da cosa hai tratto ispirazione?

Non è un nome d’arte, Zero è semplicemente il mio cognome. Poi ti dirò la verità, mi sono ritrovata a Sanremo, con il brano “Nina è Brava”, davvero inaspettatamente, quindi Francesco Facchinetti, che ai tempi non seguiva ancora il mio progetto, ma comunque mi dava parecchi consigli, mi disse: “Troviamo un nome veloce, efficace”. Fu allora che il mio ex ragazzo pensò “La Zero”. Io in preda al panico, perché nella vita mai avrei pensato di  cantare per la prima volta su un palco così importante (facevo l’attrice, “Nina è Brava” è stata la prima canzone che ho scritto), dissi: “Ok sì, va bene”. Che storia incredibile.

Hai deciso di cantare anche in dialetto, di usare le parole per esprimere meglio concetti che in altro modo suonerebbero forse diversamente. Ti sei mai sentita discriminata in questa scelta o pensi che oggi anche la musica abbia un linguaggio universale?

Credo che il napoletano sia la vera forza del mio progetto, rende tutto più autentico, arriva dritto al punto.  È stata una scelta naturale che sta avendo molti riscontri positivi. Sono tutti affascinati da questa contaminazione. Quindi no, non direi che in questo senso mi sono mai sentita discriminata, anzi. Mi sono sentita più discriminata per il mio essere un’attrice danzatrice che poi ha cominciato a scrivere. All’inizio ci sono stati diversi pregiudizi in merito a questo, poi naturalmente, dopo che sono usciti i singoli, la percezione di quello che stavo facendo è cambiata. Un altro aspetto non semplice è stato quello di raccontare storie vere, spesso anche forti, essendo credibile, senza mai perdere la mia femminilità. Se ci fai caso, soprattutto negli ultimi tempi, spesso le cantautrici in Italia hanno un’immagine molto maschile. Come se la femminilità e l’eleganza fossero simbolo di debolezza. A Sanremo, per scelta, decisi di indossare un saio, forse perché pensai che il messaggio sarebbe arrivato senza distrazioni. Oggi ho voglia di raccontare la mia musica usando sia il cervello, che il mio viso, il mio corpo, le mie gambe, naturalmente sempre in modo artistico. Non ho voglia di nascondere nulla.

Mea culpa è il titolo del tuo nuovo singolo, una storia molto particolare. Ti va di raccontarcela?

“Mea Culpa” è la storia vera di una giovane suora che si innamora di un ragazzo. Concepiscono un bambino, che non verrà mai al mondo, perché questa donna per paura decide di togliersi  la vita. La sua storia è un pretesto per raccontare tutti noi. “Mea Culpa” è il viaggio di ognuno di noi, il percorso attraverso la nostra vita. È una canzone che parte, si ferma, riparte, si riferma. “Mea Culpa” ci mette tutti sullo stesso piano, siamo tutti esseri umani, tutti peccatori, tutti incazzati, tutti felici, tutti disperati, tutti uguali. È una storia di libertà, che riflette anche su una società che spesso detta giudizi e lascia poco spazio al perdonarsi. Comunque ci sono una marea di cose dentro, non la potrei mai riassumere in un’intervista. Sto preparando, per quando ritorneremo a suonare e cantare, una performance, che possa rendere l’idea.

Dal punto di vista musicale, quali suoni pensi che rappresentino meglio il tuo mondo?

Le chitarre di Alessio Rossetti sono molto importanti nel mio progetto, ricordano in parte Napoli e in parte un mondo latino. Per ogni brano io e il mio produttore Sedd (Alessandro Manzo), facciamo una ricerca di suoni. Ad esempio in “Mea Culpa” ci sono i tamburi delle processioni nere di Sorrento, che vedevo da bambina affacciata al balcone di mia nonna.

Oltre alla musica, c’è anche il la recitazione tra le tue passioni. Come concili le due cose?

Probabilmente se non avessi fatto l’attrice, non sarei qui a raccontarvi la mia musica. È un valore incredibile aver vissuto il set. Ad esempio quello di Paolo Sorrentino mi ha lasciato un bagaglio immenso. Come concilio le due cose? All’inizio ho rifiutato parecchi provini per concentrarmi sulla musica, adesso ho ricominciato a fare i casting. Sono due mondi che, se riesci a far camminare sullo stesso binario, non fanno altro che arricchirsi l’uno con l’altro. 

Quando ti senti davvero Manuela senza filtri e senza maschere?

Nel momento in cui mi siedo al piano e nascono le canzoni. In quello che scrivo ci sono io. Poi nel processo successivo mi piace creare attorno a questa verità delle sfumature, uscire fuori dagli schemi, sfidarmi, travestirmi, creare dei personaggi. Se parti dalla verità, quindi da una base solida, poi puoi giocare come vuoi con la fantasia e la creatività.

Cosa dobbiamo aspettarci da te nei prossimi mesi?

Uscirà tanta musica, ma lo spettacolo più bello lo vedrete quando avrò la possibilità di fare i miei concerti, perché sto scrivendo un vero e proprio show. 😉

a cura di
Giulia Perna

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