Grazie Barley Arts. Grazie per aver incluso VEZ Magazine tra le riviste in accredito per quella che io definirei più una esperienza di vita che un concerto.
E siamo qui, io e il mio brother da una vita Michele Morri, a vedere un gruppo, The Prodigy, che fa parte di tutti noi cani sciolti (ndr).
Un gruppo di Braintree, UK, che dagli anni novanta è sulla scena con una sperimentazione musicale che li ha portati ad essere inseriti nel filone del Big Beat, genere totalmente British che propone un mix di rock, dance, psichedelia e techno hardcore.
Vorrei sottotitolare questo articolo con “Una serata con The Prodigy ovvero quella esperienza di vita che ti mancava”.
Sicuramente mancava a me questa esperienza, dato che seguo questo gruppo da che ne ho memoria e che nel mio adorato Velvet (vedere la maglietta di Morri per questa serata su Facebook, ndr) questo sound non poteva mancare mai.
Perché poi diciamocelo, chi di noi quasi quarantenni non associa qualche momento della propria adolescenza a un gruppo come questo?
E quindi vai a un loro concerto credendo di sapere quello che ti aspetta.
Fai la fila, attendi il tuo turno al controllo borse e zaini.
E fa freddo, regaz.
Poi entri e ti fai fregare dalla tasca 15 euro che avevi appositamente inserito a casa per comprare le birre.
E sino a qui, ancora inconsapevoli, si procede come d’abitudine.
Poi tutto cambia. Un’ora e mezza di concerto durante la quale tutti noi presenti abbiamo dato l’anima, le corde vocali e i menischi.
E se non fosse che il giorno dopo mi devo svegliare alle 5:30 per andare a lavorare, probabilmente avrei lasciato volentieri sulla pista anche qualche tendine rotuleo.
Mi sono sottratta, ahimè, al pogo selvaggio e non ne vado fiera, ma non mi sono sottratta ai salti e al ballo dalla canzone NUMERO UNO.
Quell’incipit anfetaminico di Breathe che ti spinge e ti tira e ti travolge.
E poi non ci capisci niente. E dici solo WOW.
E poi Voodoo People e verso il finale Firestarter e Smack My Bitch Up.
Luci, tante luci. Fumo e nebbia e ancora luci.
E quando tutto finisce realizzi che fino a poco prima eri proprio nell’occhio del ciclone, in un vortice spazio temporale che ti ha spettinato per poi lasciarti solo con un senso di vuoto a dover tornare miseramente a casa.
È così che mi sento, mentre punto la sveglia e mi chiedo se domani riuscirò ad andare a lavorare.
Grazie ancora gentile Barley Arts e grazie allo Staff dell’RDS Stadium, perché qui a Rimini, questa sera, ci siamo divertiti.
Grazie a Barley Arts
A cura di Sara Alice Ceccarelli
Foto di Michele Morri