Roger Waters – Unipol Arena – Bologna – 21 aprile 2018
US AND THEM TOUR
Sullo schermo la ragazza guarda il mare, guarda l’orizzonte, guarda l’infinito. Una proiezione alle spalle del palco durata almeno due minuti e accompagnata dal suono delle onde, per preparare la strada ad un viaggio, ad un sogno.
Waters è sul palco con un look da attore di teatro, un total black di chi non vuole attirare l’attenzione su di sé ma solo sulla propria musica. La prima parte del concerto vola via tra atmosfere oniriche e lunghe performance strumentali che fanno quasi credere di aver fatto un salto nel tempo e di assistere ai Pink Floyd al completo.
L’apice viene toccato quando in scaletta si arriva a Hey You incalzata da un pubblico che in coro accompagna ogni nota. E gli applausi non fanno in tempo a svanire che un elicottero sorvola l’Unipol Arena e dodici carcerati di Guantanamo salgono sul palco, vestiti appunto con una divisa arancione e cappuccio nero.
E questo è finalmente il momento di Another Brick in the Wall. Brividi e anticonformismo esaltati dal suono distorto della sua chitarra e dal suono di una sirena allarmante che scende dal soffitto sul pubblico, che portano lo show al passo successivo: la denuncia sociale. Waters si sa, era il membro impegnato per eccellenza dei Pink Floyd e il pacifismo esce palesemente con la proiezione di immagini contro la guerra, come quella di un bambino davanti ad un carro armato.
Poi naturalmente la posizione anti Trump non tarda ad arrivare, proiettandone le frasi più salienti.
A Nation without borders is not a nation at all.
We must have a wall.
I too have a nuclear button,
but it is a much bigger and more powerful one than his,
and my button works.
Fino a toccare l’assurdità dell’infelice frase
If Ivanka were not my doughter,
perharps i would be dating her.
Scenografie magnificenti richiamano le copertine dei Pink Floyd: la Battersea Power Sation di Londra sovrasta tutto il pubblico, la sfera di Pulse vola libera nell’aria, il maiale di Pigs con la scritta “Piggy Bank of War” e per finire la piramide di laser fa sentire il pubblico in un luogo mai visto, sul lato oscuro della luna.
Uno spettacolo coinvolgente che porta il pubblico in una realtà parallela dove il tempo non segue le leggi della fisica e tre ore sono un secondo e la musica dei Pink Floyd è più attuale che mai nonostante siano passati 33 anni dal loro scioglimento, che poi è la mia età, come fosse quasi destino. Se dovessi descrivere lo show con un unico aggettivo, lo definirei visionario.
È stato un continuo salire di livello, di emozioni e di ritmo. È stato un lungo show che non ha avuto alcun momento morto dove la prima emozione non trovava il tempo di finire subito sopraffatta dalla seconda e poi dalla terza e così via. È stata un’esperienza più che un concerto.
Sono passati due giorni dall’evento. Sto scrivendo questo articolo dopo aver raccolto i miei messaggi inviati durante e post concerto alle persone, perché è da quelli e dalle espressioni sui volti di chi mi ascoltava dal vivo che ho capito di aver testimoniato ad una sorta di “Evento definitivo” tra i possibili eventi unici che un individuo può vedere.
Alla mia ragazza non ho fatto altro che scrivere “Non puoi capire”, perché su due piedi, con Waters sul palco, altro non ero in grado di scrivere.
a cura di
Alessio Bertelloni