Tratto dal romanzo di Arianna Harwicz, Die My Love è il nuovo film diretto da Lynne Ramsay, distribuito da Mubi e uscito nelle sale il 27 novembre. Una giovane coppia pronta a diventare genitori si trasferisce dalla caotica New York agli isolati boschi del Montana. L’arrivo del primo figlio sconvolgerà le loro vite, soprattutto quella di Grace. Il dolore della sua solitudine si condensa in un viaggio sonoro assordante, capace di inglobare lo spettatore nel caos della sua mente.
La terra brucia, le fiamme divorano lo spazio, mentre un sonoro ansiolitico attraversa i nostri sensi. Die My Love si apre così, come un lungo flusso di coscienza che mette a nudo la complessità della mente, le sue contraddizioni più segrete, le sue crepe. Al centro della vicenda troviamo Grace (Jennifer Lawrence) e Jackson (Robert Pattinson), giovani e innamorati, i quali decidono di abbandonare il tumulto newyorchese per rifugiarsi nella vecchia casa di famiglia di lui, immersa tra i boschi montani.
È un ritorno alle origini, un tentativo di riconnettersi con ciò che si è davvero, di recuperare una quiete che la città sembra aver eroso. Per Grace, questo spostamento dovrebbe rappresentare l’occasione di dedicarsi alla scrittura, di finalmente dar forma a quel grande romanzo americano che sogna di confezionare da anni.
Ma la maternità irrompe d’improvviso come una forza totalizzante, mutando ogni sua aspettativa in una routine faticosa ed impersonale. Non è un caso che proprio Grace non pronuncerà mai il nome di suo figlio, appellandolo semplicemente come “the baby”. E’ la traduzione di un’assenza oltre che emblema di una figura che riduce la sua giornata ad un ciclo estenuante di cura e isolamento e più passano i giorni, più si sedimentano in lei inadeguatezza, rabbia, angoscia, spaesamento.

L’estetica sensoriale di Lynne Ramsay
La regia di Lynne Ramsay è onirica e carnale, costruita su una narrazione frammentata che rispecchia fedelmente l’immaginazione ferita della protagonista. I colori oscillano tra esplosioni vivide e un grigiore opprimente, mentre gli immensi spazi naturali finiscono per implodere: è il mondo interiore di Grace che si deforma, si spezza, si contrae. Jennifer Lawrence offre una prova attoriale notevole, sicuramente una delle migliori. Il suo corpo si fa linguaggio: desideroso di sesso ma soprattutto di contatto fisico ossia di una conferma di amore, del suo essere viva. La nudità non ha nulla di compiaciuto; è un grido di libertà perduta, un tentativo disperato di ricordarsi chi fosse prima di essere inghiottita dalla maternità.
Il comparto sonoro pertanto domina la messa in scena. Gli elementi della natura come mosche, cinguettii, latrati, risultano rumori quasi insostenibili, amplificati fino a sommergere lo spettatore, rendendolo partecipe della stessa ipersensibilità che tormenta la protagonista. Così la musica contribuisce a raccontare questo amore viscerale tra i due protagonisti, oscillante tra passione estrema e apatia quotidiana, tra intimità e alienazione. Jackson, pur affezionato, appare però sempre più disorientato, quasi un estraneo per la sua stessa compagna.
Ramsay tratteggia con crudezza i segni della depressione post partum, mentre il comportamento di suo marito oscilla tra minimizzazione e smarrimento, come fosse incapace di essere realmente un porto sicuro per sua moglie. Grace diventa così una presenza spigolosa, imprevedibile, spesso difficile da sopportare. Proprio questa esasperazione restituisce la verità di un dolore che non trova ascolto, di un distacco emotivo che la priva persino di sé stessa.
Il film vuole infrangere gli schemi e le dinamiche sull’immagine stereotipata delle madri, lasciando emergere collera, insofferenza, solitudine. Un occhio lucido, quello della regista, che aderisce alla narrazione di una maternità contemporanea, quindi un territorio ambiguo, complesso, radicale.

Una maternità come lutto dell’identità
Die My Love soffre talvolta della ripetitività di alcune allegorie e di una struttura narrativa che rischia di perdere densità, ma queste fragilità vengono compensate dalla forza dell’esperienza visiva e sensoriale che Ramsay costruisce con grande maestria registica. È un cinema che ci trascina dentro una psiche interrotta, nell’odio confuso e disperato di Grace. Un odio verso una scelta forse non pienamente voluta ed in primis verso la trasformazione irreversibile della propria identità.
Il film parla del ruolo della donna e di una maternità disancorata dal suo alone “divino”: non si tratta più di un gesto d’amore totale. In Die my Love la maternità è sospensione dell’io, rinuncia alla propria individualità, lutto per ciò che si era e per l’amore che un tempo definiva la coppia. Ramsay però non vuole offrire risposte o possibili soluzioni al deterioramento provocato dalla depressione. Piuttosto, guida lo sguardo in un’immersione estrema nella fragilità umana. In Grace il “lutto” si fa sdegno e furore, fino a incendiare ogni cosa: il bosco, la casa, l’anima stessa.
a cura di
Noemi Didonna
Articolo realizzato con il parziale ausilio di intelligenza artificiale
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