Oggi e domani torna in sala per l’Halloween party Frankenstein Junior, il capolavoro di Mel Brooks. Film del 1974 ormai diventato di culto e osannato da tutti i cinefili del mondo. Con Gene Wilder, Peter Boyle, Marty Feldman, Cloris Leachman e Teri Garr.
Quando si parla di capolavori e di film cult diventa inutile soffermarsi a dire quanto siano belli e ben fatti. Arancia meccanica, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Il padrino o C’era una volta in America: guardi queste pellicole e sai già di vedere qualcosa di unico. Frankenstein Junior di Mel Brooks, rientra perfettamente in questa categoria.
Un film unico, un’esperienza mai più raggiunta in oltre 50 anni, che non ha nulla da invidiare alle altre opere sopracitate. Un lungometraggio che è riuscito a raggiungere l’olimpo con il genere solitamente più bistrattato dai cinefili più smaliziati: la commedia parodistica. Fatta questa premessa, oggi non si parlerà di questo film per convincervi a vederlo, ma per spiegarvi perché abbia funzionato cosi tanto, la sua eredità e cosa lo rende così importante.

Trama
Il film si pone sia come parodia del Frankenstein di Mary Shelley (e cinematograficamente alla trasposizione di James Whale del 1931) e sia come suo effettivo sequel. Frederick Frankenstein (Gene Wilder) è il nipote dell’originale Victor von Frankenstein. Nonostante il rifiuto e la vergogna provata verso il nonno, Frederick va in Transilvania per vedere il castello lasciatogli in eredità. Qui conoscerà il resto dei personaggi, tra cui: il buffo Igor (Marty Feldman), la bella Inga (Teri Garr) e la misteriosa Frau Blücher (Cloris Leachman).
Una notte, il nostro protagonista troverà il laboratorio segreto del nonno e i suoi appunti, convincendosi di ritentare l’impresa di dare nuovamente vita ad un corpo morto. L’esito dell’esperimento porterà a conseguenze inimmaginabili, che non provocheranno nello spettatore la più cupa delle paure, ma la più fragorosa delle risate.
La nascita del mito e la sua estetica
Non tutti sanno che l’idea originariamente non fu di Mel Brooks, ma di Gene Wilder. L’attore propose il progetto durante le riprese di Mezzogiorno di fuoco, e fu co-sceneggiatore insieme al regista. La convinzione di Wilder è percettibile in ogni frame della pellicola. A posteriori, dichiarò più e più volte, di considerarla la sua miglior interpretazione e non gli si può dare torto. Carico, energico e interamente immerso nel ruolo, divertente in ogni battuta, in ogni movimento ed espressione facciale.
Ovviamente anche la forte impronta stilistica del film fu causa del suo successo. Brooks non voleva solamente parodizzare, ma anche onorare il Frankenstein (e il suo seguito) cinematografico degli anni 30. Brooks premette contro la produzione per avere il film in bianco e nero, rifiutando anche la possibilità di proiettare la pellicola al cinema sia a colori che non. Il regista e Wilder fecero inoltre di tutto per ricreare, con estrema pignoleria, le scenografie dei precedenti film, ottenendo prop originali e collaborando con Kenneth Strickfaden, elettricista che si occupò delle vecchie pellicole.

L’iconicità di un film parte dal set
Non fu solamente l’impegno di Brooks e Wilder a rendere il film iconico, ma fu il set in generale a rendere il progetto speciale. Il regista riuscì a creare un ambiente di lavoro piacevole per tutti. In varie interviste si pose l’attenzione sulla libertà concessa agli attori, liberi di sperimentare e improvvisare in modo da rendere le scene il più divertenti e memorabili possibili. Un esempio classico riguarda la “gobba mobile” di Igor, spostata nell’altro lato da Marty Feldman, per fare uno scherzo alla troupe e successivamente inserita come gag ricorrente in sceneggiatura.
L’atmosfera nel set era talmente spensierata e positiva che Brooks inserì scene aggiuntive nella sceneggiatura per poter lavorare di più con il proprio entourage. Trovò anche un’idea geniale per verificare l’efficacia delle scene: per evitare che la troupe rovinasse le riprese ridendo, li obbligò a coprirsi il viso con un fazzoletto bianco e, successivamente, la quantità di fazzoletti alzati determinava se la scena fosse divertente oppure no.
Se volete un esempio diretto, guardatevi su Youtube i bloopers di Wilder, bastano per rendere chiara e palpabile l’esperienza sul set (oltre ad essere già di per sè molto divertenti).
I personaggi
La cura verso la scenografia ha fatto si che Frankenstein Junior diventasse un film d’autore a se stante, oltre che parodia di un’altra pellicola. Il genio comico di Mel Brooks ha creato le situazioni e le battute divertenti, ma sono stati gli attori con le loro interpretazioni ha regalare al pubblico alcuni dei personaggi più memorabili della storia del cinema.
Oltre al già citato Gene Wilder, non si possono non lodare le prove di Teri Garr e soprattutto Marty Feldman. Due spalle comiche diverse tra loro, ma che insieme a Frederick creano un trio in perfetta simbiosi. Eccellente anche il lavoro sui personaggi secondari come la Frau Blücher di Cloris Leachman, l’ispettore Hans Wilhelm Friederich Kemp di Kenneth Mars, la (troppo) pudica fidanzata di Frederick Elizabeth (Madeline Kahn). Da lodare, inoltre, la prova attoriale di Peter Boyle nella creatura, basata tutta sulla fisicità e l’espressività.
Infine, da applausi la breve prova di Gene Hackman come eremita cieco. Hackman, solitamente celebrato per ruoli più autoritari e d’azione, in Frankenstein Junior ha offerto una delle rare, ma famose, incursioni nel cinema comico, regalando una delle scene più apprezzate e divertenti in assoluto.

Battute che hanno fatto la storia
Sono tantissime le battute e le situazioni divertenti che il film offre. Dall’iconico werewolf therecastle (tradotto in italiano lupo ullulà e castello ullulì), ai cavalli che nitriscono spaventati ogni volta che viene nominata Frau Blücher. L’umorismo di Mel Brooks, che sia questo o un altro suo film, ha la magia di non invecchiare mai e di essere tuttora fonte d’ispirazione e di citazione per le pellicole a sfondo demenziale. L’esempio più azzeccato può essere la battuta “Potrebbe andare peggio. Potrebbe piovere.” Citata talmente tante volte, da essere diventata di uso comune.

L’eredità di Frankenstein Junior
Al giorno d’oggi, nessun’altra commedia a sfondo demenziale è riuscita a raggiungere l’epicità di Frankenstein Junior, neanche le successive dello stesso Mel Brooks. Ci sono stati altri film del genere a divenire cult, come la trilogia di Una pallottola spuntata, i due Hot Shots! e i primi Scary Movie (artefici a loro volta di un’altra branca del genere parodistico, non proprio di alto livello).
Frankenstein Junior fece incetta di premi ai Saturn Award del 1976 e può vantare due candidature ai Premi Oscar e due ai Golden Globe. Il film offre tuttora ispirazione anche in altri ambiti oltre quello cinematografico, dal testo della storica canzone Walk This Way degli Aerosmith fino ad arrivare ai nostri fumetti di Dylan Dog.
In conclusione
Frankenstein Junior è un capolavoro da vedere e rivedere almeno una volta all’anno. Si ride a crepapelle come se fosse sempre la prima visione, ed è un vero e proprio toccasana per l’umore. Non importa che lo sappiate a memoria o che non lo abbiate mai visto, approfittate dell’iniziativa dell’Halloween party di quest’anno e correte in sala a vederlo! Sarà senza dubbio una delle serate più belle dell’anno.

a cura di
Andrea Rizzuto
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