Gli albi illustrati sono i protagonisti quasi assoluti della Bologna Children’s Book Fair che prosegue il lavoro di ricerca e proposta dell’editoria

Agg. e s. m. [dal lat. absurdus, propr. «stonato», der. di surdus «sordo»]
Scegliere l’aggettivo assurdo è un rischio, ma è stata la prima parola che ho sentito quando, per il secondo anno di fila (decisamente poco tempo rispetto ai più di sessant’anni di attività della BCBF), mi sono incamminata dentro queste mura, a Bologna. Gli albi illustrati sono per me un pozzo senza fine, un mondo in continua evoluzione. Ma sono anche tranquillità, la possibilità di aprire e chiudere qualcosa di non sempre definito e definitivo. E qui, ancora una volta, è stato tutto tanto. Lo scorso anno ho vissuto l’esperienza come Alice nel paese delle meraviglie, dove sperimentai l’incanto che piano piano si tramutava in attacco di panico; un piano non lo avevo, invece questa volta sembravo sicura di me, sapevo cosa fare.
Ovviamente mi sbagliavo.
Mediatori di relazioni e altezze
Il piano era questo: arrivare, parcheggiare, correre a cercare la Sala Suite per sedermi e dare un volto a persone magnifiche, cercare la sala per abbracciare quelle con cui collaboro. Cercare e sedere lì, in ascolto di qualcosa che non sappia già, qualcosa che sia per me scintilla.

E per fortuna che ho trovato tutto quello che cercavo, in questo mare di illustrazioni e parole. Ho trovato l’intervento della Dott.ssa Anna Cascone, esperta di psicologia positiva e dell’invecchiamento. Quell’età in cui per qualcuno è tornare bambini, l’età che non conosco, di cui ho paura come ho paura di quella 0-3. Ho ascoltato tutto, ho sentito voci dietro di me che si assicuravano di far sapere che loro, quei libri, li conoscevano. Ho sentito la meraviglia farsi strada negli occhi di altri. Insieme a lei Irene Greco a moderare e le Dott.sse Maria Sole Pipino e Valentina Mossa.
La prima cosa che esclama chi mi vede per la prima volta e chi mi ri-vede, è: ma quanto sei alta!?
Proprio un’esclamazione, di quelle da fumetto con la punteggiatura a direzionare e rafforzare il suono della voce. E io che penso che sono alta normale, che però mi sento sprofondare, che guardo le persone e questi hangar come se fossi in un film di Dario Argento: io così piccola, rispetto al resto.
Pensare ai social
Mentre passo da un corridoio all’altro, le pareti sembrano venir giù – let the sky fall direbbe Adele – e crollare come Sant’Agnese in Agone di Piazza Navona, a Roma; quella della leggenda dell’astio tra Borromini e Bernini, per intenderci. Cammino a passo svelto, penso che dovrei registrare, fare foto e video ma non posso, il telefono è irrimediabilmente scarico e non c’è una sola presa disponibile. Alzo lo sguardo, leggo Estonia in ogni dove perché quest’anno è lui il paese protagonista. Vorrei sfogliare, conoscere altro da me, ma il ricordo dell’illustratore dell’anno prima mi fa tornare sui miei passi.
Io, quando sono colta alla sprovvista, non sempre reagisco bene, capita di bloccarmi, di avere la risposta in un’altra lingua proprio lì nella testa, che mi tappa il naso come il raffreddore. Ma non esce, smetto di parlare. Per questo mi sono fatta indietro, perché a volte il giubbotto di salvataggio non c’è.
Cerco di non perdere di vista chi mi ha accompagnata in questa giornata, cerco di non rispondere al telefono ma continua a suonare senza sosta. Cerco di concentrarmi sui pannelli espositivi degli illustratori scelti di tutto il mondo. Penso che il tratto di una mano italiana è riconoscibile come lo è un volto; non so, a guardare queste cornici faccio a gara fra me e me per indovinare da dove provengono. La cosa mi fa sentire tranquilla, mi permette di perdermi nella luce di Sydney Smith, per esempio.

Cercasi gamba!
Mi sono lasciata trasportare da una sedia senza una gamba. Una sedia tecnicamente rotta, che non può assolvere alla sua funzione. Così mi viene raccontata da persone che lo sfogliano nei giorni avvenire. La guardo e penso che quella sta lì, che è diventata semplicemente altro da sé, che chiunque passi di lì aggiunge toglie e sostituisce la gamba con qualcosa. Come ci si sente a essere sedia?
In un attimo il silent book di Irene Frigo e pubblicato da Carthusia mi riporta a quelle immagini che poco tollero della performance di Marina Abramovic dove chiunque, senza un limite imposto, poteva accedere in ogni forma possibile al suo corpo. Un corpo come tela, come risultato di un pensiero, un’intuizione. Corpo, il tuo, su cui non hai potere alcuno. Ecco, a me la sedia ha rimandato lì, al passaggio di mani, sole e idee.

Continuo a pensare di trovare un incontro, un dibattito o un workshop da seguire, ma sono tutti pieni, pochi posti, su prenotazione. Non riesco a seguirne nemmeno uno, arrivo mi siedo e quello è già finito, come sono finiti anche gli altri che, però, sono sparsi ovunque. Questa volta ho capito che per la mappa e le indicazioni con gli stand è necessario scaricare l’applicazione, bisogna iscriversi, bisogna seguire i canali, bisogna fare un sacco di cose che io proprio non ho il tempo di fare, o guardo il telefono o mi guardo attorno: ogni cosa sembra dissolversi un attimo dopo, ti volti e il corridoio di riferimento non c’è più.
Libri per bambini

Libri per bambini e ragazzi, ma poi trovi un libro come questo che è ingegno, artigianalità e inventiva. Il Braille che non è più solo relegato a strumento per chi non vede ma diviene strumento anche per tutti. Una finestra sul mondo tattile che porta i polpastrelli a stare non più reclusi nella criniera del leone di stoffa, ma liberi di spaziare e sperimentare oltre i riflessi abituali che leggiamo sugli scaffali 0-3 anni.
Gli albi illustrati sono questo, sono quello, ma alla fine di tutto, cosa sono?

Sono tante cose insieme, luci e ombre, parole e silenzi. Sono libri da esplorare, rileggere e accompagnare; sono costruzioni vere e proprie, studi di tavole. È cuore nella pancia.
Stare, in un tempo che decidi tu.
a cura di
Ylenia Del Giudice
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