La strada “graffiata” di Simone Massi: l’intervista in esclusiva

La strada “graffiata” di Simone Massi: l’intervista in esclusiva
Condividi su

Simone Massi, italiano di Pergola (Pesaro-Urbino) è uno dei maggior esponenti e autori del cinema di animazione e un vero e proprio appassionato innovatore per la tecnica di disegno prescelta: il chiaroscuro che lo contraddistingue è dato dalla sottrazione del colore dei pastelli ad olio stesi sul foglio tramite l’utilizzo di strumenti incisori. In questo modo dona un volto e un corpo alle storie a lui care, che hanno sempre un’anima e una responsabilità sociale.

Il profondo legame con la terra natia emerge nel suo lavoro artistico. Simone Massi predilige i racconti della civiltà contadina, le storie tramandate a voce dagli anziani e lo scenario storico che contraddistingue l’Italia che rimane in sottofondo accogliendo in primo piano la vita vera.

In esclusiva per The Soundcheck abbiamo avuto il piacere di intervistare Simone Massi dopo l’uscita del suo meraviglioso Invelle, uscito al cinema lo scorso 29 agosto.

Da dov’è nato il suo amore per il cinema, in particolare per quello d’animazione?

Sia il cinema di finzione che quello di animazione per molti anni sono stati semplice intrattenimento. Crescendo ho scoperto il cinema d’autore e me ne sono innamorato a tal punto da non riuscire più a guardare altro. E’ subentrata, cioè, una vera e propria intolleranza ai film commerciali e alle grandi produzioni, in particolare americane. La stessa cosa è successa in seguito con il cinema d’animazione, nel momento in cui l’ho scoperto, alla Scuola del Libro di Urbino prima e nei festival internazionali poi.

Qual è la sua opera di animazione preferita? Che pensiero ha sul cinema d’animazione in Italia?

Probabilmente L’uomo che piantava gli alberi di Frédéric Back.
Il cinema d’animazione italiano è stoico. Nel senso che da almeno tre decenni ha raggiunto una dimensione internazionale, conquistandosi uno spazio di rilievo nei maggiori festival internazionali. E tutto questo è successo nonostante il disinteresse generale, esclusivamente grazie ad autori che hanno operato in condizioni di lavoro proibitive. Non potendo contare su alcun tipo di sostegno e finanziamento gli animatori italiani si sono rimboccati le maniche e hanno investito tempo e passione, senza tante chiacchiere.

Quali sono o sono stati i suoi più grandi traguardi lavorativi? Perché?

Non ho traguardi, non me li sono mai dati. Da trent’anni cerco di fare al meglio delle mie possibilità quello che mi piace e per cui sono portato. Cerco di fare il mio lavoro in totale autonomia e senza alcun tipo di condizionamento esterno. Senza pensare cioè a pubblico, critica, al successo economico o a un qualsiasi altro tipo di traguardo. Mi piace disegnare e lo farò finché ci saranno le condizioni per farlo. Senza confondere il mestiere con la vita, tenendo a mente che la persona conta infinitamente di più del lavoro che fa.

Quali sono i personaggi che ha creato in questi anni di carriera a Lei più cari e significativi? Come mai?

Ho disegnato di uomini, donne, bambini, contadini, partigiani e qualche animale. Ma non ricorrono mai più di una volta, i miei personaggi non hanno un nome e cambiano di continuo, di conseguenza non penso di aver creato nessun tipo di personaggio.

Parliamo di Invelle: da dove nasce il desiderio di raccontare questa storia?

Più che un desiderio si può parlare di necessità, la necessità di raccontare un mondo, quello dei contadini, da cui proveniamo tutti e che è morto senza far rumore. Al punto che nessuno lo ricorda, nessuno lo racconta più. Esattamente per questi motivi reputo che un film come Invelle fosse necessario.

Nel film si parla di tre (purtroppo) grandi eventi della storia Italiana: da dove deriva questo sentimento e perché è importante per Lei raccontarli tramite storie “secondarie”?

Il mio film racconta principalmente di una famiglia contadina. Tre generazioni di bambini si passano il testimone e si ritrovano loro malgrado dentro la Storia, quella con la maiuscola. Semplicemente perché è successo, ci sono milioni di bambini che sono cresciuti dentro un mondo che era fatto di violenza e di guerra. Ci sono anche adesso, siamo talmente stupidi e malvagi che probabilmente ci saranno sempre.

Crede che Invelle sia di facile intuizione per il pubblico o si sta rivolgendo ad una tipologia di spettatore in particolare?

Non potevo tacere il contesto generale, ma non mi sono mai sognato di fare un film sulla Storia o, peggio ancora, dare lezioni di Storia. Mi interessava invece dar voce a chi non l’ha mai avuta, raccontare le storie, al plurale e senza maiuscola. Le storie dei disgraziati, dei vinti, di chi dalla Storia è sempre stato preso a calci. In tre decenni non mi sono mai posto domande che riguardano il pubblico o altri, sono un uomo e un autore libero. Continuerò ad esserlo.

Può parlarci più approfonditamente della tecnica utilizzata?

La tecnica di realizzazione è costituita da pastelli ad olio su carta, graffiati con strumenti da incisione. Una tecnica artigianale che utilizzo da venti anni e che richiede pazienza, costanza, dedizione. Ritengo sia giusta per il tipo di storia che viene narrata, con le figure segnate sui volti e nelle mani.

Le voci dei personaggi del film appartengono a nomi importanti: in che modo ha scelto determinati attori e come è stato lavorare con loro?

La scelta degli attori è stata mirata, ragionata, fortemente voluta. I grandi nomi sono stati scelti in base a precise caratteristiche professionali, vocali e umane. Sono molto contento del riscontro, dell’aver ottenuto la disponibilità di tanti attori, noti e meno noti. Mi sono trovato benissimo e sono grato a tutti.

Quali sono i messaggi racchiusi in Invelle che desidera che arrivino maggiormente allo spettatore?

Non sono i tipo d’autore che manda messaggi. Al contrario, cerco, indago, interrogo, ascolto, elaboro. Quando trovo qualcosa che può anche vagamente assomigliare a una risposta, la ridò indietro sempre in forma di suggestione, se non addirittura di domanda.

Ha attualmente in essere altri progetti o idee da sviluppare?

Ho qualche progetto che dorme da anni nei cassetti della scrivania o nella mia testa. Niente di originale o di nuovo, dal momento che mi interessa raccontare unicamente di mondo contadino e lotta partigiana. Non adesso, comunque Invelle è stata un’esperienza oltremodo faticosa e al momento ho bisogno di staccare, di riposarmi un poco.

a cura di
Michela Besacchi

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – “Invelle” di Simone Massi: l’opera che custodisce il ricordo
LEGGI ANCHE – “Il robot selvaggio” – la recensione in anteprima!
Condividi su

Michela Besacchi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *