“Donnie Darko” – 20 anni dopo con un significato ancora da scoprire
Correva l’anno 2004 quando nei cinema italiani uscì un film che, a distanza di due decenni, fa ancora parlare di se: “Donnie Darko”. Una pellicola talmente divisiva che o la si ama o la si odia, semplicemente perché non lo si capisce. Ma com’è invecchiato il film? A distanza di un mese dal suo ritorno nelle sale andiamo a vedere cosa ci ha lasciato e cosa dobbiamo capire su questo fenomeno culturale.
Correva l’anno 2001, il Sundance Film Festival era un punto di arrivo per molti registi indipendenti, ma per molti altri era la rampa di lancio per il mondo del cinema che conta. In quell’edizione presentarono Donnie Darko, primo e forse unico lungometraggio degno di nota di Richard Kelly, e il successo al festival fu immediato, ma a causa di un trailer parecchio inquietante e dei noti fatti del settembre di quell’anno fu un flop al botteghino.
E pensare che il progetto interessò talmente tanto a Drew Berrymore da diventarne una delle produttrici esecutive. Nonostante questo flop, però, l’attrice ci aveva visto lungo e come spesso accade ebbe una seconda, rigogliosa, vita in home video con un successo talmente inaspettato da far decidere di riportare il film nelle sale.
Nel 2004 la pellicola fu presentata fuori concorso alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia destando particolarmente interesse e quando uscì la director’s cut in tutti i cinema americani Donnie Darko approdò nelle sale italiane, ma nella versione originale, senza i 20 minuti in più usciti sul suolo italico solo in dvd nel dicembre 2005.
Nel 2024, a distanza di 20 anni dall’uscita nelle sale italiane, Donnie Darko riconquista i cinema del bel paese con una tre giorni nel mese di luglio che, nell’ultimo giorno, ottiene il primo posto al box office dimostrando che la pellicola suscita ancora un’ enorme interesse tra gli appassionati di cinema e non solo.
Questo preambolo fa capire solo in parte la portata di questo film e come possa essere diventato un vero e proprio cult mondiale, ma qual è il motivo?
28 Giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi
2 ottobre 1988. È notte, a casa di Donnie Darko tutti stanno dormendo, ma la quiete è disturbata da un avvenimento che lascia tutti scossi: la casa è danneggiata a causa della caduta di un motore che reca moltissimi danni oltre che scatenare la paura tra i componenti della famiglia.
La stanza del nostro protagonista è distrutta, ma lui non è presente. A causa (o grazie) al sonnambulismo, infatti, non si trova in casa, ma si risveglia sano e salvo sul green di un campo da golf, con un messaggio scritto sul braccio: 28 Giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi. Questo è il tempo che manca alla fine del mondo.
Da quel momento Donnie vede una presenza terrorizzante, un coniglio parlante di nome Frank che pilota il nostro protagonista in decisioni più o meno opinabili e ampiamente non condivisibili tornando al momento della caduta del motore.
Ad una prima lettura il film sembra semplice: un ragazzo con gravi problemi psichiatrici che vive in un mondo dissociato dalla realtà, ma che vuole a tutti i costi vivere la sua vita con normalità con quel demone interiore che lo accompagna in questo suo percorso.
Perché indossi quello stupido costume da coniglio?
Perché indossi quello stupido costume da uomo?Donnie Darko e Frank al cinema
Un’interpretazione, questa, che è riconosciuta come una delle più accreditate per spiegare il significato del film: Donnie Darko in realtà vivrebbe solo in un sogno dove nulla è reale e dove tutto ciò che accade è frutto della sua immaginazione (in tempi più recenti ci siamo affidati alla stessa teoria per interpretare il Joker di Joaquin Phoenix).
Altre teorie sul film
Nel tempo le teorie sul finale si sono moltiplicate anche a causa di una mancata presa di posizione del regista, che così facendo ha creato un alone di mistero attorno al significato della pellicola. Vediamo quindi alcune delle teorie che hanno riscosso più successo:
Oltre a quanto già citato, secondo alcune fonti il film è solo un sogno del protagonista che una volta che si risveglia alla fine della pellicola si mette a ridere, quasi come segnale che si sia trattato di un incubo.
Secondo altri Donnie è semplicemente morto all’inizio del film a causa della caduta del motore dell’aereo sulla sua casa; il film quindi sarebbe il what if della sua vita se solo fosse rimasto in vita, un’idea per cui il protagonista abbia cercato di evitare la morte attraverso il viaggio nel tempo, ma non ci sia riuscito.
Un’altra teoria molto seguita indica come Donnie in realtà sia bloccato in un loop temporale in cui succedono sempre le stesse cose in un arco di tempo di 28 giorni che hanno inizio con la caduta del motore dell’aereo.
Una delle teorie più accreditate, però, è l’idea dell’universo tangente, quello che adesso sarebbe chiamato multiverso, collegato alla linea temporale primaria attraverso un Wormhole (un condotto spaziotempo che consente di viaggiare nel tempo), dove il protagonista vive per 28 giorni accompagnato da Frank (un peloso Caronte) dove, seguendo azioni specifiche, deve riportare tutto alla condizione d’origine per salvare la razza umana.
Per ultima lasciamo forse la teoria più assurda secondo cui Donnie Darko sarebbe il prequel di Matrix, dove il protagonista è il predecessore del prescelto prima dell’arrivo di Neo.
Un cult senza tempo
Le teorie, la delicatezza dei personaggi, i messaggi più o meno nascosti del rapporto tra la persona e i disagi della psiche sono il mix per cui la pellicola è arrivata fino ai giorni nostri senza quasi invecchiare. A volte penso che il finale sospeso di questo film abbia una certa affinità con la trottola di Inception.
In questo mio pensiero è incredibile pensare come proprio Nolan, particolarmente colpito da Donnie Darko, spinse la sua casa di distribuzione a dare al film di Kelly una chance per arrivare nei cinema. Sicuramente il regista pluripremiato aveva capito il potenziale di questa pellicola ed aveva ragione!
Arrivare a distanza di 20 anni a parlare ancora di un film per quello che ha detto e ha ancora da dire è assolutamente uno dei pregi dell’idea di Richard Kelly e del suo coniglio cattivo, perché in fondo il vero fulcro di tutto il film è proprio Frank che dirige per i 113 minuti (133 nella director’s cut) il protagonista in quello che è il suo destino.
Nonostante i bassi costi di produzione (4.5 milioni di dollari), la CGI e il trucco prostetico non ne risentono, anzi risultano assolutamente a fuoco per il tipo di film che prende una direzione psichedelica, ma al tempo stesso rimane piantato con i piedi per terra grazie ad una fotografia razionale e solida e a una regia che, pur essendo alla prima prova, non perde mai di mordente, grazie anche a una sceneggiatura impressionante nei contenuti e nei tempi.
Una visione distopica del mondo che per certi versi si avvicina ai problemi e alle difficoltà di molti giovani d’oggi, che sempre più spaesati e senza guida chiedono l’aiuto di professionisti per uscire dalle tenebre e non rimanere in un loop infernale accompagnati da Frank.
12 Curiosità sul film
- È stato girato in 28 giorni, proprio il tempo indicato all’inizio del film come periodo prima della fine del mondo e tempo durante il quale si svolge tutta la pellicola.
- Il costume da coniglio di Frank è ispirato al romanzo “La collina dei conigli” del 1972.
- Prima di scegliere Jake Gyllenhaal furono valutati per il ruolo di Donnie Darko Vince Vaughn, Mark Wahlberg e Jason Schwartzman, ma rifiutarono la parte.
- La ragazza delle fantasie sessuali di Donnie non era Christina Applegate, ma inizialmente fu Alyssa Milano, che però non volle.
- Jake Gyllenhaal volle che sua sorella Maggie interpretasse sua sorella maggiore nel film.
- Donnie Darko fu il primo film in cui recitò Seth Rogen.
- Patrick Swayze ha usato dei propri vecchi indumenti degli anni ’80 per la sua interpretazione.
- I produttori chiesero il permesso ai proprietari dei diritti dei PUFFI per il famoso e contorto dialogo in cui Donnie ne parla con i suoi amici.
- La canzone Mad World, pur essendo già famosa, ebbe nuova vita nella sua versione acustica presente nella scena più inconica del film.
- Sam Raimi lasciò usare gratuitamente la scena de “La Casa” che Donnie e Gretchen guardano al cinema.
- Jake Gyllenhaal usò la strategia del battere pochissimo le palpebre per rendere più reale lo stato psicotico del suo personaggio (mentre è guidato da Frank) e trasmettere maggiore inquietudine allo spettatore.
- Il sequel del 2009 S. Darko, che venne totalmente disconosciuto da Richard Kelly, racconta la storia della sorella più giovane di Donnie Darko.
Voi l’avete visto? Qual è la vostra teoria?
a cura di
Andrea Munaretto
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