La lotta unica dei Queen of Saba in “Sentimi sentimi sentimi”
A distanza di qualche mese dalla pubblicazione del loro secondo disco “Medusa”, i Queen of Saba pubblicano il videoclip del singolo “Sentimi sentimi sentimi” e annunciano delle nuove date
“Sentimi sentimi sentimi”, insieme a tutto il resto della discografia dei Queen of Saba, è la risposta a chi si chiede dove siano finite le forme d’arte impegnate socialmente e politicamente. Il videoclip del brano, infatti, è una raccolta di materiali girati sia dalla band, sia delle realtà che hanno incontrato durante il loro percorso.
I sentimenti che accompagnano Sara Santi e Lorenzo Battistel nella loro storia personale e musicale coinvolgono anche il tour partito il 20 gennaio da Bologna. Le date, infatti, sono accompagnate da una call to action che spinge i fan a partecipare attivamente ai live con manifesti, cartelli e bandiere e un vademecuum di comportamenti graditi e comportamenti meno graditi da diffondere nei club.
Avete pubblicato da poco il videoclip “Sentimi sentimi sentimi”; a chi è rivolto questo brano? Da chi volete essere ascoltatə?
Il brano comincia con una generica, cantilenante richiesta di attenzione che mano a mano nelle strofe individua il suo target: il sistema oppressivo ciseteropatriarcale capitalista e colonialista, che ha la sua mano armata nelle forze di polizia e negli eserciti, il suo potere istituzionale nello Stato che non fa altro che reiterare e corroborare le diseguaglianze, la sua voce nei media asserviti al mantenimento dello status quo che ridicolizzano la crisi climatica, perseverano nelle narrazioni tossiche dei casi di femminicidio e violenza sulle minoranze e spalleggiano l’entità sionista in Palestina. Abbiamo chiesto di essere ascoltatə fino allo sfinimento, ci hanno risposto con le manganellate, l’inasprimento delle pene e la gogna mediatica. Ora questo “Sentimi Sentimi Sentimi” è un avvertimento: non taceremo, non smetteremo di lottare, il nostro grido si spargerà e si trasformerà in una valanga che vi seppellirà.
Questo lavoro raccoglie le immagini catturate dai collettivi che avete incontrato durante il vostro percorso; quali sono le cause che vi stanno più a cuore? Qual è il manifesto ideologico dei Queen of Saba?
Quando ci definiamo “intersezionali” intendiamo proprio che tutte le cause ci stanno a cuore perché la lotta è una. Pensiamo che non ci possa essere giustizia climatica senza lotta di classe, la rivoluzione queer senza la liberazione della Palestina, la costruzione di una società transfemminista senza l’antispecismo. Negli anni abbiamo incontrato realtà bellissime, inclusive e capaci di dedicarsi con il medesimo sforzo a tutte le lotte a cui si sentivano chiamate, creando alleanze e finendo per costituire un fronte comune nel quale ci riconosciamo a pieno. Non è difficile trovare punti in comune fra la legalizzazione della cannabis e l’abolizione del carcere, tra la difesa dell’aborto libero e la battaglia per l’istituzione di un’educazione affettiva e sessuale nelle scuole. Spetta all’attivismo unire i puntini, noi ci proviamo con le canzoni.
Vi ripropongo una domanda che mi piace rivolgere a chi fa musica e, come voi, esprime delle istanze ben precise a livello politico e sociale: pensate che l’arte, da sola, possa risolvere “gli orrori del mondo” o che sia solo un megafono utile per le forme di protesta tradizionale, per “la piazza”?
Ma certo che può! Ti dirò di più, saranno proprio i Queen of Saba a risolvere tutti “gli orrori del mondo” in un paio di anni, tre massimo.
No, vorrei rispondere seriamente a questa domanda. Nessuna forma di lotta può “risolvere” alcunché da sola: le manifestazioni di piazza hanno bisogno di una narrazione, di un contesto culturale in cui far prosperare le istanze, così come le arti hanno bisogno di essere alimentate dal contesto politico. L’arte amplifica le voci delle piazze ma costruisce anche un immaginario, visivo, poetico o sonoro, un paesaggio ideale per la circolazione delle idee: permette alle persone che lottano di credere che un mondo diverso possa esistere e dà loro le parole più radicali e i colori più sgargianti per immaginarlo.
Secondo la vostra esperienza, a livello mediale, oggi in Italia, gli artisti che “sollevano un po’ la polvere, che esprimono idee rivoluzionarie, sono svantaggiati rispetto a chi esprime idee affini all’”ordine costituto”?
Sarebbe forse ingenuo pensare che il sistema non antagonizzi attivamente tutto ciò che potenzialmente lo mette in discussione, ma sarebbe anche forse pretenzioso immaginare di essere vittime dell’industria musicale o dei media. Certo, la censura di Meta esiste, è conclamato: mai come negli ultimi mesi i profili che condividono contenuti sulla Palestina, per esempio, hanno subito dal più lieve shadowban alla più grave ed estrema rimozione di quei contenuti, se non addirittura il ban dalle piattaforme.
Ci siamo chiesti più volte quanto sia legittimo urlare contro il sistema proprio utilizzando gli strumenti che il sistema fornisce, ma quale alternativa esiste per chi come noi, artisti emergenti, deve cedere al ricatto per ottenere quel tanto di visibilità che serve per rimanere a galla in un’industria giunta a livelli di saturazione dell’offerta che continuano inesorabilmente a salire? Non abbiamo una risposta, possiamo solo continuare a sperare di mettere qualche pulce nell’orecchio a chi ci ascolta e a chi ci legge, costruendo collettivamente una contro-narrazione che magari fatica ad avere spazio nel mainstream ma può sempre accendere una scintilla in chi sta con le orecchie rizzate aspettando un segnale.
A breve ripartirà il tour. Avete stilato un elenco di comportamenti graditi e non da condividere con i club per renderli gli spazi adatti a tuttə; questa idea è già stata realizzata durante qualche vostro live? Se sì, quali sono state le reazioni di chi si imbatteva in questo vademecum?
Abbiamo condiviso il vademecum con le venue che ci hanno ospitato e che ci ospiteranno fin da subito, appena l’abbiamo stilato. C’è stata una collaborazione entusiasta e senza riserve: l’elenco, corredato di indicazioni per chiedere aiuto in caso di situazioni di disagio o pericolo, è stato appeso in luoghi strategici, vicino al nostro banchetto merch, al bar, nei bagni. Le persone che hanno assistito ai concerti del tour a dicembre hanno apprezzato moltissimo l’iniziativa e ci hanno detto di essersi sentite al sicuro, come speravamo. Vogliamo che sia un segnale, una luce puntata sui temi dell’inclusione, dell’accessibilità, del consenso: la gestione funzionale e sostenibile di spazi come i club non spetta soltanto a chi organizza gli eventi, è una questione di cura reciproca e collettiva.
In base ai concerti che avete già fatto, vi aspettate un pubblico che condivide i vostri valori e che già rispetta queste “norme”?
Pensiamo che chi viene ai nostri live e condivide le nostre istanze possieda già un livello di consapevolezza che in teoria ci permetterebbe di dare alcune cose per scontate. Ci tenevamo però a ribadire anche l’ovvio, perché siamo consapevoli che in generale, e soprattutto in contesti di divertimento, a volte non è facile tenere presente le esigenze di tuttə . Il nostro è un invito a non sottovalutare l’importanza di ricordarsene costantemente, per evitare che qualcunə si senta lasciatə indietro.
A livello tecnico, ci saranno delle novità durante questo tour?
Lo dovrete scoprire venendo ai concerti 😉
a cura di
Lucia Tamburello
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