Variazione del concetto di museo nell’antichità
Con il passare dei secoli la concezione di museo ha più volte cambiato connotati. Facciamo mente locale sulla storia più sconosciuta dei musei, a partire dalle origini del termine stesso fino ad arrivare agli studioli.
La parola museo deriva dal greco antico museion, ovvero il luogo sacro dedicato alle Muse, figlie di Zeus e Mnemòsine, la dea della memoria. In quell’epoca, lo spazio era destinato al ritrovo dei sapienti, al fine di discutere e confrontarsi su tematiche erudite. Alla fine del IV secolo a.C. il faraone Tolomeo Filadelfo ordinò la costruzione ad Alessandria d’Egitto di un edificio che chiamò proprio Museo, all’interno del quale vennero inseriti una grande biblioteca, un osservatorio astronomico e strumenti di ricerca per studiosi e artisti. Prima della creazione del Museo di Alessandria non esistevano veri e propri musei. Le piramidi, le ziggurat, le tombe etrusche e i templi delle città greche sono ciò che più si avvicina all’ideologia di museo, seppure con uno scopo ben diverso: gli oggetti raccolti infatti erano destinati a fare compagnia ai defunti, o a ingraziarsi la benevolenza degli dèi.
L’epoca romana
Fu piuttosto in epoca romana che si iniziò a raccogliere oggetti privatamente per godere della loro bellezza, con l’esplosione di un vero e proprio gusto per il collezionismo di opere d’arte provenienti dai ricchi bottini di guerra delle campagne militari, intorno al quale fioriva un vivace mercato di opere d’arte. La disposizione e l’abitazione delle opere non era mai casuale: rispondevano infatti a criteri che verranno poi adattati nell’allestimento delle collezioni rinascimentali, ovvero quelli dell’adesione ad un progetto che istituisse una relazione tra gli oggetti e la loro distribuzione coerente nei diversi ambienti. Esemplare è il caso di Cicerone, il quale si rivolgeva ad Attico affinché gli procurasse delle sculture per abbellire la sua villa di Tuscolo con un’attenzione posta alla coerenza dei marmi prescelti con gli ambienti cui erano destinati.
Il collezionismo e la fruizione domestica dell’arte
Sia la storia del collezionismo classico che quella medievale possono essere ricostruite purtroppo solo frammentariamente. Per questo, come in precedenza, possiamo apportare pochi esempi dell’età medievale. Ci si può infatti ricondurre al cistercense Suger, abate di Saint-Denis nella Francia del XII secolo, al quale si deve la ricostruzione dell’abbazia, divenuta sepolcro per i re di Francia e depositaria di un gran patrimonio legato alla chiesa: oreficerie, reliquiari, arredi liturgici, vasi in pietre liturgiche e gemme antiche.
Differente dai musei odierni era però la modalità di fruizione delle opere all’interno di questi musei ante litteram. Nonostante fosse accessibile indistintamente a tutti i fedeli, le raccolte d’arte non dovevano essere ammirate per il loro valore estetico o storico, bensì per i poteri miracolosi che venivano affibbiati ai singoli oggetti per le loro capacità taumaturgiche, ovvero qualità atte a suscitare meraviglia e timore verso l’infinita ricchezza del creato. Nel Medioevo erano diffuse differenti correnti di pensiero circa il riutilizzo dell’arte antica. C’era chi vedeva un rimando al classicismo in chiave strumentale, in modo da rifarsi ad esso con un recupero di materiali antichi, riutilizzati in nuove costruzioni; c’era chi mirava ad un interesse per l’arte antica genuino e non condizionato da altre finalità, come il poeta Ristoro d’Arezzo; c’era chi, infine, apprezzava l’antichità nei limiti dei suoi valori simbolici ed evocativi.
Lo studiolo
Sempre in epoca medievale nasce la volontà di creazione di un luogo concepito non solo per l’attività intellettuale, ma anche per la conservazione delle opere. Si introduce così lo studiolo, uno studio dell’antico come esempio su cui modellare la propria vita. L’intenso rapporto con il passato si realizza esclusivamente in questo spazio appartato.
Ciò che distingueva gli studioli era l’appartenenza o meno ad una dinastia nobiliare. In tal caso, lo studio prevedeva anche acquisti di opere più preziose, dal momento che si puntava molto sulla decorazione. Lo studiolo di Lorenzo il Magnifico, per esempio, era collocato nella zona più appartata della villa e prevedeva una collezione ricca di dipinti religiosi, oggetti sacri che si mescolavano a preziosi materiali profani. La collezione era così vasta che si distribuiva anche all’esterno.
Con i Medici si inizia a profilare un carattere didattico della collezione, che troverà una prima conferma nella creazione dell’Accademia delle Arti e del Disegno. Unica donna rinascimentale a vantare uno studio, Isabella d’Este considerava il possesso di opere d’arte un’esigenza irrinunciabile. Essa infatti iniziò ad esibire la collezione a partire dall’inizio del Quattrocento, sguinzagliando i suoi agenti per tutta Italia alla ricerca di “cose antiche”. La collezione, nonostante esistesse sempre lo studiolo isolato rispetto alla residenza, era stata estesa anche ad altre sale della villa, ed era organizzata a seconda della volontà di Isabella.
Nuova concezione di museo con l’Umanesimo
Il gusto collezionista venne alimentato con l’Umanesimo, dove gli studiosi dell’epoca ripresero il termine “museo” per indicare i luoghi dove i principi conservavano grandi collezioni di quadri. Le raccolte principesche erano costituite da tanti oggetti differenti, che variavano a seconda dell’interesse e della cultura dei proprietari. Basti pensare alla grande galleria di Villa Medici riservata esclusivamente alla statuaria antica, utilizzando una tipologia espositiva che sarebbe poi diventata sinonimo di museo. Statue, frammenti antichi, opere d’arte dei maggiori artisti dell’epoca, sono il bagaglio sul quale si basavano le collezioni del Cinquecento italiano. Il possesso della collezione aveva una finalità sia politica che economica: garantiva, infatti, un ampio prestigio e costituiva un prezioso tesoro al quale attingere in caso di necessità.
Fu invece a Firenze che si sancì un passaggio fondamentale per la storia dei musei. Il granduca Francesco I ordinò il trasferimento negli spazi degli Uffizi delle collezioni che il padre Cosimo aveva riunito nella Sala delle Carte Geografiche Di Palazzo Vecchio. In questo caso, si affermò la vocazione museale dell’edificio, dedicato all’esposizione delle collezioni dinastiche e fortemente improntato al fine politico della celebrazione dell’assolutismo mediceo.
Con matrice propagandistica, le meraviglie erano accessibili al pubblico godimento e, proprio per questo motivo, si stimolava una maggior attenzione alla salvaguardia del patrimonio artistico. Sebbene avesse le sembianze di un museo, la collezione medicea non fu la prima ad essere rinominata come tale. Fu Paolo Giovio il primo ad usare il termine Museo, che viene ora ad indicare, per la prima volta, il luogo deputato all’esposizione di opere d’arte.
La quadreria come nuovo spazio espositivo
Se lo studiolo era stato l’elemento distintivo dei palazzi aristocratici rinascimentali e la galleria d’antichità quello delle residenze principesche del Cinquecento, nel tardo Seicento e nel Settecento si impone la “quadreria” come spazio specifico destinato ai dipinti nei nuovi palazzi nobiliari. Questo spazio era completamente rivestito di quadri, e le opere interagivano l’una con l’altra senza sosta. Nonostante fossero private, non era preclusa la possibilità di visitare le gallerie se appartenenti ad un rango sociale elevato.
Le dinastie nobiliari avevano il passaggio dell’intero patrimonio tramite il fedecommesso, vincolo che rimase in vigore fino al 1865, con il nuovo Codice Civile, mentre in altri stati venne abolito precedentemente, in quanto visto come limitazione illegittima del diritto di proprietà. Questo vincolo consentì la sopravvivenza di molte collezioni che si conservano tutt’oggi, e non ostacolò la moda del Grand Tour, lunghi viaggi compiuti da nobiluomini e nobildonne desiderosi di incrementare le loro raccolte e conoscenze.
I nuovi musei
Con l’avanzare della seconda metà del Settecento, la trasformazione delle raccolte principesche in musei di pubblica utilità si espande in tutta Europa. Si parla dunque del British Museum, considerato il primo museo nazionale, nato nel 1753 per mezzo della volontà del parlamento inglese. Se ci spostiamo in Italia, invece, dovremo aspettare il 1769 per l’apertura della Galleria degli Uffizi, museo innovativo sotto tre differenti aspetti. Innanzitutto, per il totale affidamento della gestione del patrimonio a cura dello Stato; in secondo luogo, per il cambiamento di obiettivo, da collezionismo a educativo; infine, e più importante, per la separazione delle collezioni eterogenee da quelle di pittura e scultura.
Tale criterio di divisione rispecchia appieno l’approccio dell’Illuminismo, con un’ulteriore distribuzione delle opere in sequenza cronologica e per scuole. In questo processo di pubblicizzazione dei musei, la Francia del Settecento ricopre il ruolo di leader del monopolio artistico e come guida del gusto. All’organizzazione dei Salon annuali la Francia era in grado di attirare migliaia di visitatori, confermando la propria immagine di spicco.
a cura di
Annachiara Magenta
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